La situazione a Beirut
Le ricerche dei morti proseguono, gli ospedali rimasti in piedi sono pieni e le scorte di grano sono scarse, mentre pulizia e ricostruzione sono condotte più da volontari che dallo stato
A poco più di una settimana dall’enorme esplosione che lo scorso 4 agosto ha devastato una parte di Beirut, in Libano, le operazioni di recupero dei corpi dalle macerie sono ancora in corso e ci sono grandi difficoltà ad affrontare le scarsità alimentari e i problemi sanitari causati dall’esplosione stessa. Ieri decine di manifestanti si sono radunati davanti alle rovine del porto della capitale per ricordare le vittime di quello che hanno definito “il crimine del secolo”, mentre la situazione già precaria del governo sta diventando ancora più instabile.
Earlier next to #Beirut port people gathered for a candlelight vigil and march to honor those killed in the explosion one week ago. #Lebanon pic.twitter.com/C2Al8CujXq
— Michael Downey (@mgdowney) August 11, 2020
Secondo diverse stime, a seguito dell’esplosione circa 300mila persone sono rimaste senza casa. Lunedì secondo alcuni giornali online i morti erano 220 e i dispersi 110 (il ministero della Salute ha invece parlato di 171 morti confermate). I feriti sono più di 6mila. Gli ospedali della città, molti dei quali sono stati danneggiati, non riescono ad accoglierli tutti e il più vicino all’esplosione ha dovuto occuparsi di alcuni pazienti per la strada perché non aveva abbastanza spazio. Altri due ospedali sono completamente fuori uso, e ci sono stati dei morti anche tra il personale sanitario: il sindacato delle infermiere libanesi ha confermato che almeno cinque infermiere sono morte nell’incidente. Un ulteriore pericolo è che la nuova emergenza favorisca la diffusione del coronavirus, sovraccaricando ulteriormente le strutture sanitarie.
Il numero di morti e feriti aumenta di giorno in giorno, perché le ricerche delle persone rimaste sotto le macerie sono ancora in corso. Secondo diverse fonti, i lavori di pulizia delle case distrutte, la ricerca dei corpi e il sostegno materiale a chi è rimasto senza un tetto sono portati avanti principalmente da cittadini volontari o da organizzazioni non governative, più che dal governo.
Nel frattempo c’è un serio problema alimentare, perché l’esplosione ha distrutto il porto da cui il paese riceveva la maggior parte del grano importato e un magazzino dove erano conservati i maggiori quantitativi di scorte private. A differenza di altri paesi che dipendono dalle importazioni di grano, il Libano non ha delle scorte governative di emergenza da rendere disponibili in caso di crisi. Si stima che con le scorte private rimaste a disposizione dopo l’esplosione il paese possa andare avanti circa sei settimane.
Martedì le Nazioni Unite hanno annunciato che avrebbero inviato 50mila tonnellate di grano in Libano. Quando le scorte arriveranno, però, sarà comunque necessario trovare un posto dove scaricarle e conservarle: il porto di Tripoli, la seconda città più grande del paese, dove saranno dirottati i carichi, a differenza di quello di Beirut non è attrezzato per ricevere grosse quantità di grano. L’ex ministro dell’Economia Raoul Nehme ha rassicurato la popolazione dicendo che non ci sarà alcuna carestia dovuta alla mancanza di farina o di pane, sottolineando che con le scorte già presenti e quelle delle Nazioni Unite il paese potrà sopravvivere quattro mesi.
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Intanto dalle ricostruzioni sulle cause dell’esplosione risulta che nonostante i molti avvertimenti e gli appelli per lo smaltimento, il nitrato di ammonio non fu mai portato via dal magazzino del porto. Le quasi tremila tonnellate del composto chimico, che può essere usato come fertilizzante o per costruire bombe, erano al porto di Beirut dal 2013, quando vi arrivarono a bordo di una nave mercantile di proprietà russa. BBC ha spiegato che il nitrato di ammonio, che normalmente è sotto forma di piccoli cristalli, se mal conservato diventa sempre più pericoloso con il passare del tempo, perché il contatto con l’umidità dell’aria lo rende compatto. In questo stato, a contatto con il fuoco genera un’esplosione molto più intensa. La causa immediata dell’incendio è stata probabilmente individuata in una saldatura in corso il giorno dell’incidente sulla porta del magazzino che conteneva il nitrato di ammonio.
A Beirut proseguono anche le manifestazioni contro il governo che secondo molti è responsabile delle morti causate dall’esplosione. Ieri, all’ingresso del porto si sono radunate centinaia di persone, per la maggior parte vestite di bianco, per rendere omaggio alle vittime. E per la quarta notte consecutiva ci sono stati scontri tra manifestanti e polizia vicino alla sede del Parlamento di Beirut. Dieci feriti sono stati trasferiti in ospedale e 32 sono stati curati sul posto, ha fatto sapere la Croce Rossa locale.
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Lunedì scorso il governo ha dato le dimissioni. Ieri il coordinatore speciale delle Nazioni Unite per il Libano, Jan Kubis, ha chiesto di formare rapidamente un nuovo esecutivo che vada incontro alle «aspirazioni del popolo libanese, goda del loro sostegno e possa affrontare le urgenti e numerose sfide che il paese si trova di fronte».