“Matrix” è una metafora transgender
Non è una teoria come le altre: lo ha confermato la regista e sceneggiatrice Lilly Wachowski, dopo che alcuni critici lo sospettavano da anni, e il film è effettivamente ricco di indizi
Il 4 agosto, in un video realizzato per Netflix, la regista Lilly Wachowski ha confermato definitivamente una cosa che alcuni critici culturali dicevano da anni: Matrix è un’allegoria – cioè una complessa metafora – dell’esperienza di essere una persona transgender, cioè di non riconoscersi nel proprio sesso biologico. Questo è sempre stato il significato originario del film pensato dalle due sceneggiatrici e registe, Lilly e Lana Wachowski, che sono due donne transgender e all’epoca dell’uscita di Matrix erano conosciute come i “fratelli Andy e Larry Wachowski”.
Due cose sulla trama di Matrix
Brevissimo riassunto per chi non se lo ricorda. Matrix è ambientato in un futuro in cui le macchine hanno schiavizzato gli umani: mantengono in vita i loro corpi all’interno di grandi incubatrici, mentre i loro cervelli sono collegati a una neuro-simulazione che somiglia al mondo del 1999. Gli umani sono inconsapevoli della loro condizione, perché la simulazione è perfettamente identica alla realtà precedente al dominio delle macchine.
All’inizio del film non sappiamo tutto questo: come il protagonista, l’informatico Thomas A. Anderson (hacker noto col nickname Neo), vediamo solo la simulazione. Dopo aver incontrato alcune persone consapevoli della vera natura della “realtà”, Neo sceglie di vedere a sua volta come stanno davvero le cose nella famosa scena della pillola rossa: Morpheus, il capo della resistenza contro le macchine, gli chiede di scegliere appunto tra ingerire una pillola rossa, per scoprire la verità, e una pillola blu, per dimenticare tutto e tornare alla sua vita inconsapevole.
Neo sceglie la pillola rossa e così si risveglia nel suo vero corpo, all’interno della propria incubatrice. Da quel momento in poi comincia la sua lotta nella resistenza, fuori e dentro da Matrix, cioè il mondo virtuale.
Perché Matrix è un’allegoria dell’essere trans
Lana fece coming out come donna transgender nel 2012, Lilly nel 2016. Per via dell’identità di genere delle sorelle Wachowski molte persone – in particolare persone transgender – avevano visto in Matrix un’allegoria dell’esperienza trans anche prima della recente conferma di Lilly e del suo accenno all’argomento in Disclosure, un documentario sulla rappresentazione delle persone transgender nel cinema, disponibile da giugno su Netflix.
Tra queste c’è la critica e scrittrice Andrea Long Chu, che nel provocatorio saggio Femmine spiega:
Il simbolismo della trama è facile da intuire: la doppia vita di Thomas Anderson (durante la notte è un hacker), il nome che si è scelto (Neo), la sua vaga ma esasperante sensazione che il mondo abbia qualcosa che non va («una scheggia nella testa» la chiama Morpheus, il capo della resistenza). Neo ha una disforia. Matrix è il binarismo di genere. Avete capito.
Rivisto con nuovi occhi, il film è pieno di indizi che suggeriscono questa interpretazione: Netflix recentemente li ha riassunti su Twitter. Per esempio c’è la scena in cui l’Oracolo, il personaggio interpretato da Gloria Foster, dice al protagonista, riferendosi a un pannello di legno su cui si legge la frase latina “Temet Nosce“: «Sai cosa dice quella scritta? “Conosci te stesso”. Voglio confidarti un piccolo segreto: essere l’Eletto è come essere innamorato. Nessuno può dire se sei innamorato, lo sai solo tu. Te ne accorgi per istinto». La stessa cosa si può dire dell’essere transgender.
Un’altra cosa che fa vedere l’allegoria era stata notata nel 2016 dalla studiosa e programmatrice Eleanor Lockhart: l’agente Smith, il principale antagonista del film, interpretato da Hugo Weaving, chiama Neo solo con il nome che ha rifiutato, «Mr. Anderson», con un’enfasi particolare sul «Mister». Una dinamica nota alle persone transgender, che la subiscono da parte di chi non accetta la loro identità.
Ma è soprattutto la questione della pillola rossa, cioè lo strumento grazie a cui Neo riesce a uscire dal sistema che vuole controllare la sua identità, a mostrare l’allegoria. Lo spiega sempre Andrea Long Chu in Femmine:
E poi c’è la pillola rossa: più che una metafora per la terapia ormonale, un ormone vero e proprio. Nelle discussioni in rete, molti hanno sottolineato come negli anni Novanta il farmaco a base di estrogeni che si acquistava dietro prescrizione medica fosse effettivamente rosso: la compressa di Premarin da 0.625 mg, prodotta in stile Matrix dall’urina di giumente incinte, è di un morbido color granata tendente al cioccolato.
Un altro pezzo dell’allegoria sull’esperienza trans è quello che riguarda il personaggio di Switch, un membro della resistenza reclutato da Morpheus, che nel film è interpretato dall’attrice Belinda McClory. Nella versione originale della sceneggiatura Switch avrebbe dovuto essere un uomo trans e presentarsi come uomo nel mondo reale e come donna in Matrix, cioè nella simulazione creata dalle macchine. Poi le Wachowski avevano rinunciato all’idea e nella versione finale del film Switch è semplicemente una donna con uno stile androgino.
L’allegoria poi si vede anche in piccoli dettagli da impallinati. Ad esempio nel fatto che una delle prime cose che si vedono scritte all’inizio e alla fine del film è proprio la parola “trans”.
Call it a wild coincidence if you will, but it’s worth noting that one of the very first and last things you see on screen in THE MATRIX is the word “trans.” ???? pic.twitter.com/W105y6RKtF
— NetflixFilm (@NetflixFilm) August 6, 2020
Secondo lo studioso di studi di genere Cael Keegan, anche gli effetti speciali di Matrix fanno parte dell’allegoria: sarebbero un modo per rappresentare le sensazioni legate alla disforia di genere, il disagio di trovarsi in un corpo in cui non ci si riconosce o la sensazione di «vivere in più di un corpo». Per esempio, secondo Keegan le scene in cui Neo schiva i proiettili danno «la sensazione di due piani temporali coesistenti… un effetto che risuona con l’esperienza della transizione di genere e i vari corpi attraverso cui si passa nel tempo».
Look at bullet time: a technique to split time. Or as Keegan puts it, bullet time “gives the sensation of two temporalities at once… an effect resonant with the experience of gender transition and its multiple embodiments across time.” pic.twitter.com/VjuAYWuLwP
— NetflixFilm (@NetflixFilm) August 6, 2020
Nella scena finale del film infine si vede qualcosa che sembra confermare tutte le suggestioni accumulatesi fin qui. Si vedono delle linee di codice e l’immagine si ingrandisce in corrispondenza della scritta “SYSTEM FAILURE”, cioè “ERRORE DI SISTEMA”. Mentre la voce di Neo dice «So che avete paura di noi, paura di cambiare», ci si avvicina sempre di più al centro della scritta, cioè nello spazio tra le lettere “M” e “F”: quello spazio, secondo l’allegoria, sarebbe lo spazio oltre il binarismo di genere, cioè oltre “M”, “maschio”, e “F”, “femmina”.
In the final scene of THE MATRIX the camera zooms towards the words “System Failure” in code. Neo says, “You’re afraid of us. You’re afraid of change” as the camera pushes through the letters “M” and “F,” quite literally creating a space in between, and beyond, the gender binary. pic.twitter.com/djH5uJUw2T
— NetflixFilm (@NetflixFilm) August 6, 2020
Cos’altro ha detto Lilly Wachowski
Nel video del 4 agosto, parlando del significato allegorico trans di Matrix, Lilly Wachowski ha detto: «Sono felice che sia venuto fuori. Era l’intenzione originale, ma il mondo non era ancora pronto. O meglio, le case di produzione non lo erano». Qualcuno ha accusato Wachowski di aver confermato l’allegoria per convenienza e facendo del revisionismo, dato che solo ora, dopo più di vent’anni dall’uscita del film e quattro dal suo coming out, ha parlato di questo significato del film. Non bisogna dimenticare però che non si diventa transgender, lo si può solo essere: le persone che scrissero e diressero Matrix erano donne trans anche nel 1999.
A margine: alla luce di tutto questo, è paradossale che negli anni la pillola rossa sia diventata invece il simbolo di alcuni gruppi di uomini (in parte sovrapponibili agli incel) che, su forum online e social network, condividono teorie sessiste. Dal loro punto di vista la pillola rossa è la «scomoda verità» secondo cui uomini e donne hanno profonde differenze biologiche tali per cui gli uomini sono portati naturalmente a riprodursi con il maggior numero di donne, in particolare se belle (qualità per loro oggettiva), mentre le donne sarebbero selettive e cercherebbero un unico compagno il più possibile potente (e ricco) e aitante, secondo i modelli machisti.
Nella visione dei cosiddetti “redpiller”, la pillola rossa sarebbe un sistema per liberarsi dal “lavaggio del cervello” fatto dal femminismo.
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