Le grandi proteste contro la violenza sulle donne in Turchia
In migliaia hanno protestato per fermare il ritiro del paese dalla Convenzione di Istanbul, accordo internazionale sui diritti delle donne
Mercoledì 5 agosto in diverse città della Turchia ci sono state grandi manifestazioni di protesta contro la violenza sulle donne. Le manifestazioni vanno avanti da alcune settimane, ma quelle di mercoledì sono state le più partecipate, con migliaia di donne che hanno protestato in tutto il paese. Ci sono state proteste nella capitale Ankara e nelle città meridionali di Adana e Antalya. A Smirne la polizia è intervenuta per bloccare la manifestazione delle donne, 10 delle quali sono state arrestate.
Il numero di donne uccise dagli uomini in Turchia è aumentato negli ultimi anni, ma a inasprire le proteste è stata l’ipotesi che il paese si possa ritirare dalla Convenzione di Istanbul, accordo internazionale promosso dal Consiglio d’Europa nel 2011, ed entrato in vigore nel 2014, per prevenire e combattere la violenza contro le donne, lo stupro coniugale e le mutilazioni genitali femminili e che la Turchia era stata il primo paese a ratificare. Al Jazeera scrive che secondo un’associazione che monitora la violenza contro le donne, in Turchia nel 2019 sono state uccise almeno 474 donne, la maggior parte dagli attuali o dai precedenti compagni, dai familiari o da uomini che volevano avere una relazione con loro.
Prima ancora delle voci sull’ipotesi che AKP, il partito al potere del presidente Erdogan, volesse ritirarsi dalla Convenzione di Istanbul, il mese scorso aveva provocato una diffusa indignazione e proteste l’omicidio della studentessa ventisettenne Pinar Gultekin, uccisa nella provincia sud-occidentale di Mugla dall’ex fidanzato che aveva poi confessato durante gli interrogatori dopo l’arresto.
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La prossima settimana il direttivo di AKP si riunirà per decidere sul ritiro della Turchia dalla Convenzione di Istanbul. Il tema però sta dividendo anche la famiglia del presidente Erdogan. Kadem, un’associazione che si occupa dei diritti delle donne turche e di cui è vicepresidente Sumeyye Erdogan Bayraktar, la figlia maggiore del presidente, ha diffuso un comunicato in cui difende la Convenzione di Istanbul e ne indica l’importanza nella «protezione delle donne contro ogni tipo di violenza». Per l’associazione inoltre «non si può più parlare di “famiglia” in una relazione in cui una parte è oppressa e soggetta a violenza». Per Tugva, invece, fondazione giovanile a cui appartiene Bilal Erdogan, un altro dei quattro figli del presidente, è «la religione che determina i nostri valori fondamentali, la nostra visione della famiglia». Tugva ha chiesto che la Turchia si ritiri dalla Convenzione.
Per Anna Błus, ricercatrice sui diritti delle donne di Amnesty International, che la Turchia voglia ritirarsi dalla convenzione che porta il nome della città di Istanbul è «un’amara ironia». Anche perché, secondo Błus, la situazione è peggiorata durante il lockdown dovuto all’emergenza coronavirus che ha portato a un picco «di violenza contro donne e ragazze con molte di loro intrappolate in casa con i loro maltrattatori o incapaci di accedere facilmente servizi di aiuto e sostegno».
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