Le tre donne che vogliono mettere fine al regime in Bielorussia
Sono le mogli e la direttrice della campagna elettorale di tre candidati di opposizione esclusi dalle elezioni di domenica, e stanno riempiendo le piazze come non era mai successo
Quando a tre dei principali avversari politici del presidente uscente bielorusso Alexander Lukashenko fu impedito di partecipare alle elezioni presidenziali di domenica 9 agosto – due perché arrestati, uno perché costretto a lasciare il paese temendo la stessa sorte – era sembrata inevitabile un’altra larghissima e contestata vittoria dell’uomo che dal 1994 guida quella che è considerata “l’ultima dittatura d’Europa”. Ma è successa una cosa insolita: le mogli di due dei leader estromessi dalle elezioni, insieme alla coordinatrice della campagna elettorale del terzo, si sono unite in una coalizione che da giorni sta suscitando un entusiasmo e una partecipazione mai visti prima nel paese.
Svetlana Tikhanovskaya, a capo della coalizione d’opposizione e candidata presidente, ha un programma semplice: essere eletta per rimuovere dal potere Lukashenko, e convocare nuove elezioni trasparenti nel giro di sei mesi. «Non voglio il potere. Rivoglio indietro i miei bambini [che ha portato fuori dal paese per sicurezza] e mio marito e voglio continuare a friggere le mie cotolette. Quando votate per Tikhanovskaya non votate per una politica, ma per i cambiamenti che arriveranno e per delle nuove elezioni legittime» ha detto in un comizio domenica scorsa.
Lukashenko, che ha 65 anni e nel 1991 fu l’unico deputato bielorusso a votare contro il dissolvimento dell’Unione Sovietica, ha un saldo controllo sul paese e ha vinto ogni elezione dal 1994, grazie a un sistematico controllo dei media e a una meticolosa repressione delle opposizioni. A livello internazionale, è riuscito a giustificare una conduzione autoritaria del potere mantenendo uno strategico – e ambiguo – equilibrio nei rapporti diplomatici e nei legami economici con la Russia da una parte e l’Unione Europea dall’altra.
Ma a questo giro di elezioni le cose sono diverse: a gennaio la Russia ha fatto saltare i vantaggiosissimi accordi per le forniture energetiche bielorusse, compromettendo la già precaria situazione economica del paese, e poi ci si è messa l’epidemia da coronavirus, che ufficialmente in Bielorussia ha fatto meno di 600 morti ma che è stata negata e ridicolizzata da Lukashenko, che per questo è stato ampiamente criticato.
Sembrava insomma che ci fosse qualche possibilità in più per le opposizioni, ma a partire da maggio i principali candidati sono stati esclusi dai giochi. I due principali sfidanti erano Sergei Tikhanovsky, blogger e youtuber notissimo nel paese, e Viktor Babaryko, banchiere che secondo alcuni sondaggi non autorizzati aveva più del 50 per cento dei consensi. Tikhanovsky è stato arrestato a inizio maggio per la sua partecipazione a una protesta lo scorso dicembre, mentre Babaryko è stato arrestato intorno alla metà di giugno con l’accusa di frode fiscale. A entrambi è stata negata l’autorizzazione a partecipare alle elezioni. A fine luglio anche un terzo candidato, l’imprenditore Valery Tsepkalo, ha dovuto lasciare il paese dopo aver saputo che il suo arresto era imminente. Gli arresti sono stati estesamente accusati di essere motivati politicamente, e ci sono state grosse proteste in cui sono stati detenuti complessivamente un migliaio di manifestanti.
Ma intanto stava succedendo qualcosa di insolito: subito dopo essere stato escluso dalle elezioni, Tikhanovsky aveva iniziato a raccogliere firme per candidare sua moglie, Sviatlana Tikhanouskaya, un’ex insegnante di inglese e traduttrice, ora casalinga 37enne. In un’intervista al Financial Times ha detto: «Credo che mi abbiano fatto registrare per ridermi dietro. “Vediamo se la gente firmerà davvero per una donna di cui nessuno sa niente”». Tikhanouskaya invece ha raccolto le firme necessarie, e nel giro di qualche settimana si sono unite alla sua coalizione anche Veronika Tsepkalo e Maria Kolesnikova.
In un paese guidato per oltre 25 anni da un uomo che di recente ha detto che «la nostra costituzione non è fatta per una donna, e la società non è abbastanza matura perché una donna diventi presidente, perché la costituzione dà poteri forti al presidente», Tikhanouskaya, Tsepkalo e Kolesnikova hanno suscitato rapidamente un entusiasmo che in tanti dicono non avere precedenti nella storia bielorussa. Al comizio nella capitale Minsk hanno partecipato oltre 60mila persone – il più grande nella storia del paese – ma ad aver sorpreso gli osservatori è stata la partecipazione agli eventi organizzati nei centri più piccoli e rurali, dove spesso si sono radunate migliaia di persone.
Qualcuno le ha paragonate a delle supereroine, perché agli eventi elettorali posano spesso con un gesto distintivo: Tikhanovskaya alza il pugno, Tsepkalo fa il simbolo della pace e Kolesnikova fa un cuore con le dita. Secondo Tikhanovskaya, permettendole di candidarsi Lukashenko ha creato una valvola di sfogo per il dissenso represso in tutti questi anni: «Abbiamo unito tre gruppi molto diversi in uno solo, e mi voteranno come simbolo di cambiamento e non come presidente» ha detto Tikhanovskaya.
Lukashenko sta facendo una campagna elettorale basata sull’urgenza di ristabilire l’ordine e la sicurezza interni, accusando le tre donne di essere manovrate dalle potenze straniere, e che facciano parte di un più ampio complotto per rimuoverlo dal potere, un’accusa analoga a quella mossa contro il marito di Tikhanovskaya, che i procuratori stanno cercando di collegare con la Russia. Ma la scelta di non avere un vero programma politico sembra tenere al riparo almeno in parte le tre donne da queste accuse: oltre alle elezioni trasparenti, hanno promesso anche un’amnistia politica per permettere a chiunque lo voglia di candidarsi.
Nonostante l’apparente entusiasmo, non è facile farsi un’idea di come potranno andare le elezioni di domenica, perché nel paese sono vietati i sondaggi indipendenti. Una delle ultime rilevazioni ufficiali dava in larghissimo vantaggio – oltre il 70 per cento – Lukashenko, e le opposizioni dicono di non aspettarsi delle elezioni regolari. Visto che non sono stati formalmente invitati, però, non ci saranno inviati dell’OSCE a osservarne lo svolgimento, nonostante il capo del dipartimento per le istituzioni democratiche e i diritti umani Ingibjörg Sólrún Gísladóttir abbia espresso preoccupazione per l’intimidazione e l’arresto dei candidati di opposizione.