Chi avrà per primo il vaccino per il coronavirus?
E quanto ci metteranno ad averlo gli altri, specialmente i paesi più poveri, per i quali l'epidemia potrebbe durare molto più a lungo
Mentre i vaccini contro il coronavirus attualmente in fase di sviluppo sono oltre 165, di cui 27 in fase di sperimentazione sull’uomo, si stanno iniziando a delineare scenari e ipotesi su come funzionerà la fase successiva alla scoperta e all’approvazione del vaccino, che si presume arriverà a un certo punto del 2021. È quella della sua distribuzione nel mondo, considerata ancora più complicata. A preoccupare è soprattutto l’eventualità, che ad oggi sembra quantomeno plausibile, che per un periodo ad avere accesso immediato al vaccino o ai vaccini per il coronavirus saranno solo i paesi ricchi, e che il resto del mondo dovrà aspettare più a lungo il suo turno.
Si sta già parlando di “nazionalismo del vaccino” per descrivere le strategie attuate da diversi paesi, Stati Uniti e Regno Unito in testa, per prenotare decine di milioni di dosi di vaccini che al momento sono ancora in sperimentazione, e sulla cui efficacia quindi non ci sono ancora garanzie. Sono praticamente delle scommesse, che gli stati hanno fatto investendo decine o anche centinaia di milioni di euro per accordi con le case farmaceutiche che, in diversi casi, sono stati criticati per la loro scarsa trasparenza.
Attualmente, la ricerca di un vaccino contro il coronavirus è la principale priorità mondiale per quanto riguarda la salute pubblica. Dalla rapidità e dall’efficacia del vaccino passerà un gran pezzo del futuro dell’economia globale, ma ci sono grossi segnali che la strada che porta fuori dalla pandemia non sarà percorsa all’unisono. Le principali potenze mondiali sono impegnate in una specie di gara per essere tra i finanziatori del primo vaccino efficace. Riuscire in questa operazione potrebbe garantire una notevole influenza e potere negoziale a livello internazionale, con probabili conseguenze sui rapporti di forza tra i più potenti paesi del mondo.
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Gli approcci visti fin qui sono stati diversi. Stati Uniti e Regno Unito stanno investendo enormi quantità di denaro e si stanno accaparrando in anticipo grandissime quantità di dosi con accordi giudicati da molti troppo opachi: Russia e Cina invece stanno sperimentando sull’uomo in modi che in tempi normali sarebbero giudicati troppo frettolosi e provocherebbero grandi discussioni etiche.
Uno dei vaccini di cui si è parlato con maggiore speranza è quello sviluppato dall’Università di Oxford, che a marzo aveva ricevuto un finanziamento di oltre 70 milioni di euro dal governo britannico. Dietro alla ricerca di Oxford ci sono anche soldi dalla Germania e dalla Norvegia, e c’è già un accordo di commercializzazione con l’azienda farmaceutica AstraZeneca, che a sua volta ha già venduto 100 milioni di dosi al Regno Unito e altri 400 milioni tra Paesi Bassi, Germania, Francia e Italia, che a giugno hanno appositamente formato una Alleanza per un vaccino inclusivo (IVA). L’obiettivo è quello di coordinare gli accordi con le case farmaceutiche in modo da garantire la distribuzione del vaccino in Europa, per poter competere con Stati Uniti e Regno Unito.
Fuori dall’Europa, AstraZeneca si è già accordata con il Serum Institute of India, la più grande azienda al mondo per dosi di vaccino prodotte, per produrre 1 miliardo di dosi da distribuire tra l’India e paesi più poveri. Ha poi assicurato anche 300 milioni di dosi agli Stati Uniti, con un accordo del valore di 1,2 miliardi di dollari. Non è l’unico firmato dall’amministrazione Trump, che ha già ordinato 600 milioni di dosi del vaccino che stanno sviluppando le case farmaceutiche BioNTech e Pfizer, spendendo quasi 2 miliardi di dollari, e 100 milioni di quello dell’azienda Novavax.
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Vista la quantità di accordi bilaterali tra singoli paesi e case farmaceutiche, dei tre scenari possibili sullo sviluppo e la distribuzione del vaccino il più ottimista sembra già sfumato. È quello in cui i governi internazionali lavorano insieme per coordinare la produzione e garantire un accesso equo alle dosi disponibili. Tra quelli che rimangono, ce ne sono due che sembrano più plausibili. Nel primo, alcuni paesi ricchi ottengono accesso prioritario al vaccino, ma grazie al lavoro di organizzazioni internazionali come l’ONU e l’OMS si riesce comunque a distribuirlo nel mondo in maniera relativamente equa e rapida.
Il terzo è quello in cui ogni paese fa per sé: chi può, scommette su diversi vaccini e, non appena uno si rivela efficace e sicuro, se ne accaparra più dosi possibili, usando a proprio vantaggio questo potere negoziale e compromettendo così l’accesso ai paesi poveri. C’è poi anche un’altra possibilità, quella in cui i vaccini che funzionano sono diversi, ma non si riesce subito a stabilire quali siano più efficaci, sicuri o duraturi, con un grande caos internazionale conseguente e la possibilità di scelte affrettate e poco prudenti da parte dei governi.
Le previsioni, in ogni caso, sono difficili anche perché sappiamo poco degli accordi stretti tra i governi e le case farmaceutiche. La questione più importante è come sarà gestita la proprietà intellettuale sulla formula del vaccino: a seconda delle modalità economiche con cui la casa farmaceutica che deterrà il brevetto lo metterà a disposizione del resto del mondo, la facilità di accesso al vaccino per il coronavirus potrebbe cambiare drasticamente. Per questo da mesi ci sono campagne perché venga condiviso gratuitamente, in modo da semplificarne la produzione anche per i paesi non ricchi.
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Come ha scritto il sito The Conversation, nel caso di AstraZeneca, i contratti firmati finora con alcune organizzazioni internazionali specificano che il vaccino sarà distribuito “senza profitti” durante la pandemia: non sappiamo cosa succederà quando l’OMS dichiarerà finita la pandemia da coronavirus, che però presumibilmente continuerà a circolare in molte aree del mondo.
Il più importante progetto internazionale per garantire un accesso più equo e condiviso al vaccino è la COVAX (Global Vaccine Access Facility), creata da GAVI Alliance, un’organizzazione internazionale fondata nel 2000, insieme all’OMS e alla Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (CEPI). COVAX punta ad assicurarsi 2 miliardi di dosi entro la fine del 2021 finanziando vari vaccini candidati, diversificando così gli investimenti dei paesi che vi partecipano in un modo che sarebbe impossibile singolarmente. COVAX dice di voler garantire il vaccino per il 20 per cento delle popolazioni dei paesi partecipanti, sia quelli più ricchi che finanziano sia quelli più poveri che vengono finanziati.
Per i paesi più ricchi, che hanno già stretto accordi bilaterali con le case farmaceutiche, partecipare a COVAX potrebbe non essere molto allettante, pur aumentando il numero di vaccini finanziati e quindi le probabilità di ottenere quello efficace. Finora, comunque, 75 paesi hanno espresso interesse per l’adesione, ha detto l’OMS, che si aggiungono ai 90 paesi più poveri che saranno inclusi nel programma, per un totale di 165 paesi e del 60 per cento della popolazione mondiale. Non è ancora chiaro, però, come verranno definite le priorità quando COVAX chiederà le forniture di vaccini a produttori che hanno già accordi bilaterali con i singoli stati.
Ci sono poi istituti di ricerca che hanno preferito non fare accordi esclusivi con una casa farmaceutica: l’Imperial College di Londra, che sta a sua volta sperimentando sull’uomo un vaccino, ha preferito creare una nuova società – la VacEquity Global Health – per coinvolgere produttori in tutto il mondo e assicurare una condivisione rapida ed economica del vaccino, se sarà efficace. Non è detto, comunque, che questo tipo di approccio risulterà più efficace per una distribuzione internazionale equa del vaccino.
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Come ha spiegato Politico, le compagnie farmaceutiche sanno bene che quando verrà trovato il vaccino si ritroveranno in mezzo ai paesi ricchi che lo vorranno per sé in grandi quantità e le organizzazioni internazionali che chiederanno una distribuzione più uniforme. Thomas Cueni, capo della International Federation of Pharmaceutical Manufacturers and Associations (IFPMA), ha già detto che è un rischio che le aziende del settore non vogliono correre, e per questo sostengono progetti come COVAX.
Kate Elder, consulente sui vaccini di Medici Senza Frontiere, ha detto a Politico che effettivamente le case farmaceutiche stanno dando qualche segnale che fa ben sperare, ma che dovrebbero negoziare meglio gli accordi bilaterali con i paesi ricchi e che per questo andranno ritenute responsabili di quello che succederà.
Dai principali leader internazionali sono arrivati diversi messaggi che danno una certa speranza per quanto riguarda la volontà dei paesi più ricchi di garantire un accesso più ampio possibile al vaccino. La cancelliera tedesca Angela Merkel lo ha definito «un bene sanitario pubblico per tutta l’umanità», le stesse parole usate dal presidente francese Emmanuel Macron, mentre la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha detto che deve essere distribuito a prezzi modici «in tutti gli angoli del mondo».
Simili dichiarazioni non si erano mai sentite prima, ha detto Elder a Politico, ma ci sono ancora grandi dubbi su quanto saranno effettivamente messe in pratica quando sarà il momento. Come ha ammesso il ministro della Salute britannico Matt Hancock, il Regno Unito si impegnerà nella distribuzione del vaccino nel mondo, ma «prima di tutto» si assicurerà che ce ne sia abbastanza per i suoi cittadini. Tenere per sé un vaccino potrebbe essere piuttosto facile, imponendo un blocco sulle esportazioni simile a quelli visti nelle prime settimane di epidemia per le mascherine.
A quel punto, la disponibilità del vaccino nel resto del mondo dipenderà dagli accordi economici per poterne replicare la formula. In tempi normali, i brevetti che certificano la proprietà intellettuale sono strumenti fondamentali per le case farmaceutiche per rientrare degli enormi costi di sviluppo di un vaccino. Ma vista la portata senza precedenti della pandemia da coronavirus, le richieste e le pressioni perché il vaccino venga considerato un bene pubblico sono e saranno sempre più diffuse.
È possibile che le case farmaceutiche non siano disposte a creare un precedente simile, rendendo gratuito il brevetto per il vaccino, ma che cerchino invece un sistema per produrlo anche per i paesi poveri senza rinunciare alla proprietà della formula. Oppure potrebbero intervenire anche i singoli governi o le organizzazioni internazionali, per autorizzare esplicitamente alcuni produttori a usare brevetti altrui per farmaci considerati fondamentali in un momento di emergenza. A seconda di quello che succederà, la pandemia potrebbe avere durate, evoluzioni e conseguenze molto diverse nel mondo.