Perché non riusciamo a smettere di scrollare
Per esempio prima di dormire, quando apriamo l'app di un social network e un post tira l'altro, e un altro, e un altro: c'entrano l'istinto di sopravvivenza e il web design
Ad aprile il fumettista e musicista americano Tommy Siegel ha disegnato una striscia in cui si vede una donna mettersi a letto, di sera. Nel primo e nel secondo riquadro la donna pensa: «Che bello andare a dormire in quarantena! È il momento di spegnere la luce, mettersi comode e…». Nel terzo riquadro, dove la donna è circondata dalle fiamme e tormentata da un diabolico virione di coronavirus, il pensiero si completa più o meno così così: «…scrollare ossessivamente fino all’alba».
ahhh, bedtime in quarantine pic.twitter.com/FLxHUJOsCk
— Tommy Siegel (@TommySiegel) April 27, 2020
Nei mesi passati chiusi in casa per la pandemia, forse più del solito, era facile lasciarsi prendere dal ciclo delle notizie e dai continui aggiornamenti sui social network, quelli che spingono appunto a scrollare, cioè a consultare le app scorrendo con il pollice verso il basso, e, la sera, a ritardare il momento in cui si prende sonno. Scrollare compulsivamente lo schermo prima di dormire non è una gran bella abitudine perché può influire negativamente sui propri cicli di sonno e veglia. Tuttavia per qualcuno, specie nei periodi in cui ci sono molte cattive notizie, è un comportamento a cui non riesce a sottrarsi, che crea una sorta di dipendenza.
Ispirata dalla striscia di Siegel, la giornalista Sunny Fitzgerald ha intervistato sul Washington Post alcuni esperti di dipendenze e del rapporto che abbiamo con la tecnologia per capire come mai. La risposta, in generale, è che tendiamo a scrollare senza riuscire a fermarci per via dei nostri istinti di sopravvivenza, da un lato, e di come sono disegnate le piattaforme social dall’altro.
Ned Presnall, direttore del centro per la terapia contro le dipendenze Plan Your Recovery di St. Louis, in Missouri, ha spiegato a Fitzgerald: «Può sembrare un controsenso che non riusciamo a staccarci dalle cattive notizie. Ma il cervello umano si è evoluto per gestire gli stimoli in modo gerarchico, partendo prima da quelli che sono più rilevanti per la sopravvivenza». Insomma, se leggiamo una cattiva notizia sentiamo il bisogno di saperne di più perché se si è informati è più facile mettersi al sicuro. Sun Joo Ahn, direttrice del Games and Virtual Environments Lab dell’Università della Georgia, ha aggiunto che non è che siamo ossessionati dalle cattive notizie, ma quando ne leggiamo una il nostro istinto ci spinge a darle più attenzione.
A questo istinto si aggiungono gli effetti del modo in cui le notizie e gli aggiornamenti sui social network ci vengono presentati. Da un lato chi si occupa di produrre contenuti (a partire dai giornalisti) cerca spesso di suscitare alcune delle nostre emozioni più primitive, la paura e la rabbia, per attirare la nostra attenzione. Sono le emozioni che attivano, appunto, la parte del cervello che si occupa della sopravvivenza. Dall’altro lato il fatto che i contenuti realizzati in questo modo attirino effettivamente la nostra attenzione ha come risultato che gli algoritmi delle piattaforme, fatti per imparare cosa ci interessa dal modo in cui le usiamo, ci fanno vedere sempre più contenuti di quel tipo.
«La tecnologia provoca sempre più assuefazione perché è così che è progettata», ha detto Presnall. Il fatto che scrollando continuiamo a trovare sempre nuove cose da guardare o leggere è uno strumento del web design: si chiama infinite scroll. Il suo scopo è non lasciarsi mai distrarre dall’azione di scrollare: non ci sono interruzioni nel flusso di contenuti che ci sono presentati, quindi non abbiamo il tempo di distrarci e metterci a fare altro.
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Anne McLaughlin, psicologa della North Carolina State University, ha spiegato che l’infinite scroll sfrutta anche un altro fenomeno psicologico inconscio, l’automaticità. La sperimentiamo spesso, per esempio quando, alla guida, percorriamo una strada familiare, come quella che porta a casa o al nostro posto di lavoro, anche se eravamo diretti altrove. Continuare a scrollare anche se sarebbe ora di andare a dormire è un comportamento simile perché automatico: ci fa perdere il senso del tempo e solo a tratti ci rendiamo conto di quello che stiamo facendo. A un certo punto magari pensiamo “È tardi, dovrei smetterla”, ma poi è facile distrarsi e continuare a scrollare, magari dopo essersi detti “Guardo solo altri tre post”.
Fermarsi è difficile anche perché in quei tre post successivi potrebbe esserci qualcosa di particolarmente interessante. Un altro meccanismo psicologico che entra in gioco quando scrolliamo infatti è la ricerca della gratificazione, sempre presente quando si fanno attività che causano assuefazione. Per qualcuno la gratificazione arriva nella forma di un video di un animale puccioso, per altri in un post indignato contro un politico oppure in un messaggio complottistico. Anche se questi contenuti gratificanti sono dispersi in mezzo a messaggi poco interessanti e foto noiose, sapere che tra una o due scrollate potremmo trovarne uno ci spinge a continuare a scorrere col dito verso il basso. Per McLaughlin per scongiurare quest’effetto bisognerebbe avere la possibilità di disattivare in qualche modo l’infinite scroll, ma per i social network abbandonare questo modello non sarebbe vantaggioso.
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Qualcosa però si può fare per cercare di sfuggire a questa tendenza o almeno evitare di finire in un ciclo di notizie negative. Il punto di partenza è avere coscienza di come funzionano gli algoritmi delle piattaforme, almeno a grandi linee. A quel punto si può cercare di “educare” gli algoritmi, sforzandosi di cliccare sulle fonti di contenuti che riteniamo affidabili, magari evitando di informarsi da una sola.
Poi si possono prendere iniziative più drastiche. Ad esempio, consiglia la psichiatra Nina Vasan, fondatrice e direttrice di un laboratorio di salute mentale dell’Università di Stanford, di seguire un trucco suggerito a tutte le persone dipendenti dal proprio smartphone: farlo diventare grigio, e dunque meno attraente. I colori accesi degli schermi infatti stimolano il nostro cervello. Se si ha un iPhone, per vedere lo schermo del proprio smartphone in scala di grigi basta andare su Impostazioni, poi su Accessibilità, Schermo e dimensioni testo e infine Filtri colore. Selezionando l’opzione per i filtri si può impostare la visualizzazione in scala di grigi. Per i sistemi operativi Android ci sono diversi metodi a seconda del modello per ottenere lo stesso risultato.
Un’altra iniziativa drastica per aiutarsi a essere meno dipendenti dagli schermi è scaricare una app che, come un genitore proibitivo, limiti il tempo che possiamo passare su Twitter, per dire, o su Instagram. Alcuni smartphone hanno già la possibilità di usare questa funzione, senza dover installare app aggiuntive. In alternativa ci si può imporre un tempo massimo da passare scrollando impostando un timer. Il consiglio di Vasan è di usare come sveglia una canzone che si ama molto, in modo che possa fare da gratificazione alternativa e sia così più efficace a farci distogliere l’attenzione dallo schermo.
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Un altro suggerimento di Vasan è tenere sul proprio schermo, vicino alle app dei social network, app con cui fare attività meno passive e ossessionanti dello scrollare: per esempio app di meditazione, di yoga o per fare allenamenti in casa, o ancora app per imparare le lingue. In questo modo possiamo essere messi di fronte alla scelta di fare qualcosa di diverso rispetto a scrollare senza fine.
Infine per essere meno dipendenti dagli schermi si può sempre decidere di non usare lo smartphone nell’ultima ora prima di andare a dormire e in altri momenti della giornata. Per esempio si può lasciare a casa quando si va a fare una passeggiata, si cena con un amico o si va a fare la spesa.
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