La storia di Guia Soncini e il suo consiglio a Antonella Elia
Un "coming out" autobiografico su Linkiesta per suggerire di non tacere sulle violenze e prepotenze dei maschi
Guia Soncini, giornalista collaboratrice di diverse testate e ultimamente autrice quotidiana sul sito Linkiesta, ha scritto sabato un articolo – prendendo a esempio una storia che riguarda l’attrice Antonella Elia – per “sputtanarmi per dire a lei e alle altre che se ne esce. Coi propri tempi, e coi propri gesti simbolici”: riferendosi all’indulgenza di Elia per il suo compagno, dopo che quest’ultimo aveva detto di lei “le cose più atroci” in un seguito programma televisivo.
Ho avuto un’adolescenza ordinaria. Detestavo mia madre, non mi andava di studiare: le solite cose. I miei avevano un matrimonio ordinario: mio padre detestava essere sposato con mia madre, la riempiva di corna, e poi trovava modi per farsi perdonare, come tutti. Il modo di mio padre di farsi perdonare non era comprare gioielli a mia madre, ma bancarmi di botte su sua richiesta.
Una sera, nella seconda metà degli anni Ottanta, ci fu una scena particolarmente violenta. Il pretesto era che avevo preso uno dei foulard di Hermès della mamma: mi ero fatta fare una complicata treccia dal parrucchiere, e volevo proteggerla dal disfacimento notturno. La treccia non sopravvisse a quello che a Bologna chiamavano «un liscio e busso», e ancora me ne dispiaccio.
Mentre mi riempiva di mazzate, mio padre mi urlava delle cose così atroci che, benché mi balocchi da anni con l’idea di farne un libro, non ho ancora trovato un modo di ripeterle che non mi faccia sembrare un incrocio tra Fassbinder e Bergman.
Questo è il punto della storia in cui, nei film, la madre insorge e, pur di proteggere la prole dalla violenza, se ne va di casa. Questo è il punto della storia in cui, nella realtà, mia madre dice la più antonellaeliaca delle frasi: «Abbassa la voce, vuoi che finiamo sul giornale?».
Cosa-dirà-di-noi-la-gente è il grande filone narrativo che unisce mia madre, preoccupata di cosa penseranno i vicini, il fidanzato della Elia, che motiva la propria aggressività con «io non esco da qui come un coglione», sicuro che la stronzaggine sia più telegenica del vittimismo, e la Elia, che non ha la forza di mollarlo ma non può sopportare che pensiamo a lei come una che si tiene in casa l’ultimo degli stronzi.
La mattina dopo quella serata degli anni Ottanta, come tutti i mariti che picchiano le mogli che avrei letto in cronaca nei decenni successivi (le dinamiche storte mica cambiano, se si tratta di figlie invece che di mogli), mio padre si presenta fuori da scuola con un mazzo di fiori. Come spesso accadeva, io però a scuola non ci ero andata (a Bologna si chiamava “fare fughino”).