I tempi del vaccino contro il coronavirus

La ricerca sta procedendo a una velocità senza precedenti, ma difficilmente ne avremo uno ampiamente disponibile prima della metà del prossimo anno

(Marcelo Hernandez/Getty Images)
(Marcelo Hernandez/Getty Images)

Più di 165 vaccini contro il coronavirus sono in fase di sviluppo o di sperimentazione in giro per il mondo, in uno sforzo senza precedenti per trovare una soluzione che possa contribuire a fermare la pandemia in corso. Una trentina dei vaccini sperimentali sviluppati finora è nella fase di test su volontari, sia per assicurarsi che siano sicuri sia per valutarne l’efficacia. In pochi mesi si sono ottenuti grandi progressi e le notizie ricorrenti sul tema – talvolta con i loro eccessi di ottimismo – rischiano di dare l’idea che un vaccino sia ormai quasi pronto e che possa essere disponibile per tutti. Le cose sono in realtà più complicate e secondo gli esperti saranno necessari ancora diversi mesi prima di avere un vaccino.

A che cosa serve il vaccino?
Da inizio anno, il coronavirus ha infettato milioni di persone in tutto il mondo e ha causato la morte di centinaia di migliaia di individui, a causa delle complicazioni dovute alla malattia che causa, la COVID-19. Il distanziamento fisico, l’impiego delle mascherine e buone pratiche igieniche (come lavarsi spesso e bene le mani) hanno permesso di superare la fase più intensa dell’emergenza sanitaria in diversi paesi, come l’Italia, dove sono state inoltre adottate soluzioni temporanee estreme come i lockdown per diverse settimane.

Un vaccino potrebbe contribuire a migliorare la situazione enormemente, facendo ridurre il rischio di nuove ondate dell’epidemia, che potrebbero mettere nuovamente sotto forte stress i sistemi sanitari e la loro capacità di fornire assistenza alle persone più a rischio. Senza un vaccino, dicono diversi esperti, sarà piuttosto difficile tornare alla normalità, impedendo al coronavirus di continuare a diffondersi.

Che cosa fa il vaccino?
Semplificando molto, il vaccino serve al sistema immunitario per imparare ad affrontare un agente infettivo, senza la necessità che ci si debba ammalare della malattia che provoca, con tutti i rischi del caso. Di solito si impiegano versioni depotenziate del virus o porzioni del suo materiale genetico, che vengono iniettate nell’organismo in modo da suscitare una risposta immunitaria.

L’obiettivo è fare in modo che il sistema immunitario non solo impari ad affrontare la minaccia depotenziata, ma anche che ne serbi memoria in modo da riuscire ad affrontarla in futuro nella sua versione normale. A oggi non sappiamo se questo sia possibile per il coronavirus, ma i ricercatori sono piuttosto ottimisti considerato come si comportano le nostre difese contro altri coronavirus, come quelli che causano il raffreddore comune o altre malattie respiratorie gravi come la SARS.

A chi serve il vaccino?
Il vaccino contro il coronavirus sarà soprattutto importante per le fasce più a rischio, come gli anziani e gli individui con altre malattie. In generale, però, un vaccino è utile se viene somministrato al maggior numero di persone possibili, anche tra quelle che potrebbero sviluppare solo sintomi lievi, ma che sarebbero comunque contagiose durante la fase acuta dell’infezione.

Più persone sono vaccinate, più è probabile che si possa raggiungere la cosiddetta “immunità di gregge”, cioè una condizione in cui il virus circola poco nella comunità perché la maggior parte degli individui è immune, riducendo il rischio di contagio per chi non può essere vaccinato per altri motivi di salute. È difficile stimare quale sia la soglia oltre la quale ci sia immunità di gregge, ma la maggior parte dei ricercatori ritiene che con il 60-70 per cento della popolazione immune si possa ottenere questo risultato.

Chi fornirà il vaccino?
Le modalità di fornitura e somministrazione del vaccino varieranno sensibilmente a seconda dei paesi e di come in ciascuno viene gestita l’assistenza sanitaria. Nei paesi come l’Italia, dove l’assistenza è a prevalenza pubblica, ci penseranno le ASL tramite il coordinamento del Servizio sanitario nazionale e del ministero della Salute. I piani non sono completamente chiari perché a oggi non esiste ancora un vaccino contro la COVID-19, ma è probabile che si seguiranno protocolli e criteri simili a quelli adottati per le vaccinazioni contro l’influenza stagionale.

Nei primi tempi le dosi disponibili saranno limitate, considerata la grande domanda da parte di tutti i governi e la capacità di produzione dei vaccini da parte delle aziende farmaceutiche, che dovrà essere via via potenziata. Sarà vaccinato in primo luogo il personale sanitario, poi si procederà con le persone più a rischio e con campagne mirate soprattutto alla vaccinazione degli anziani.

Quando arriverà il vaccino?
Lo sviluppo di un vaccino e la verifica della sua efficacia richiede solitamente diversi anni, ma nel caso di quello contro il coronavirus si è assistito a un’accelerazione senza precedenti nella ricerca di una soluzione. Attualmente ci sono quasi 20 vaccini nella cosiddetta fase 1, che comporta analisi su scala ridotta per verificare la sicurezza a determinati dosaggi; altri 12 vaccini sperimentali sono nella fase 2, nella quale si effettuano test su una scala maggiore, sempre orientati per lo più alla sicurezza. Attualmente ci sono 6 vaccini sperimentali nella fase 3, che prevede test su larga scala con migliaia di volontari, con l’obiettivo di verificare l’efficacia della soluzione sviluppata.

Ciascuna di queste fasi richiede mesi di lavoro, con la fase 3 che spesso comporta anni di analisi e test. Solitamente quest’ultima fase prevede che il vaccino sia somministrato a migliaia di persone, che vengono poi tenute sotto controllo per verificare se si ammalino con una maggiore o minore frequenza rispetto a un gruppo di persone non vaccinate. Queste verifiche richiedono tempo, perché non è detto che un individuo entri in contatto con il virus, oppure che si accorga di essere infetto (nel caso dell’attuale coronavirus molte persone sviluppano sintomi talmente lievi da non rendersi conto di essere malate).

Tutti questi fattori incidono sensibilmente sui tempi per la verifica dell’efficacia di un vaccino. L’autorizzazione al loro impiego da parte delle autorità sanitarie arriva in genere dopo la fase 3, e a patto che ci siano risultati scientifici sufficientemente solidi sui benefici portati dal vaccino. Alcuni ricercatori confidano che le prime autorizzazioni possano essere già concesse nell’autunno, ma ciò non implicherebbe un’immediata disponibilità dei loro vaccini.

Produrre milioni di dosi richiederebbe comunque un grande sforzo produttivo e tempi tecnici per adattare le linee di produzione. Un vaccino, ammesso uno di quelli in fase di test si riveli efficace a sufficienza, potrebbe quindi essere disponibile per tutti nel 2021, forse nella seconda metà dell’anno.