Vi ricordate i grandi incendi in Australia?
Sette mesi dopo, «è difficile pensare a un altro evento che negli ultimi decenni, ovunque nel mondo, abbia ucciso o avuto un impatto su così tanti animali»
Tra gli ultimi mesi del 2019 e i primi del 2020 una serie di grandi incendi portò alla distruzione, in Australia, di almeno 85mila chilometri quadrati di foreste, e circa altri 10mila chilometri quadrati di altre aree: una superficie più grande di quella dell’intero Portogallo. Se ne parlò molto tra fine dicembre e inizio gennaio, e poi – anche per via dell’arrivo di quello che ancora chiamavamo “nuovo coronavirus” – sempre meno. Ma gli incendi australiani di quei mesi sono stati qualcosa senza paragoni nella storia recente e i cui danni sono stati notevolissimi, con conseguenze che si faranno sentire per molto tempo ancora.
I primi incendi erano iniziati nel luglio del 2019, in anticipo rispetto agli anni precedenti e in conseguenza del fatto che, come accertato in seguito, il 2019 è stato per l’Australia l’anno più caldo e più secco mai registrato dal 1910 in poi. Gli incendi più grandi, alcuni dei quali con fiamme alte decine di metri, si erano sviluppati lungo la costa sud-orientale – in Nuovo Galles del Sud, Victoria e Australia Meridionale – e già a inizio gennaio David Bowman, professore di pirogeografia all’Università della Tasmania e direttore di un centro di ricerca sugli incendi, aveva detto: «L’intensità, la portata, il numero, l’ampiezza geografica, la simultaneità degli incendi e la varietà di ambienti che stanno bruciando sono tutte fuori dall’ordinario. Siamo in stato di guerra».
Gli incendi avevano fatto meno morti di altri – meno di 50 persone, contro le 170 che nel 2009 morirono in quello che è noto come il “Black Saturday” – ma più danni. Per la siccità da cui erano stati preceduti e per la forza dei venti da cui erano spinti, hanno finito in molti casi per essere impossibili da controllare e letali per un gran numero di animali.
È impossibile avere dati certi, ma secondo un recente studio commissionato dal WWF ed effettuato da cinque diverse istituzioni, gli animali più grandi che potrebbero aver sofferto le conseguenze degli incendi potrebbero essere quasi 3 miliardi: alcuni perché morti direttamente negli incendi da cui non riuscivano a scappare, altri perché si sono trovati poi a vivere in un habitat particolarmente ostile con pochissima acqua, pochissime prede e pochissimi luoghi in cui ripararsi da eventuali predatori. Secondo lo studio, gli incendi potrebbero aver causato la morte, tra gli altri, di 143 milioni di mammiferi, 180 milioni di uccelli e oltre 2 miliardi di rettili.
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Commentando questi dati – messi insieme partendo da stime relative a un’area grande quanto l’Inghilterra, ben spiegate dal Guardian – Dermot O’Gorman, amministratore delegato di WWF Australia, ha detto: «È difficile pensare a un altro evento che negli ultimi decenni, ovunque nel mondo, abbia ucciso o avuto un impatto su così tanti animali. Per la biodiversità, è uno dei peggiori disastri della storia moderna».
Michelle Ward, che si occupa di conservazione ecologica per l’università del Queensland, ha ricordato inoltre, parlandone con Wired, che molte specie animali erano già in situazioni problematiche da prima degli incendi e che per molti di loro questo potrebbe essere «un ulteriore chiodo sulla bara».
Come ha ricordato il Guardian – che alla situazione dell’Australia dopo gli incendi sta dedicando una serie di articoli – gli incendi hanno distrutto anche piante che non esistono altrove e che esistevano da milioni di anni, e avranno conseguenze, tra le altre cose, anche sui corsi d’acqua, la fauna ittica e le attività che ne dipendono. E lo stesso vale per chi vive di allevamento o, anche solo, si trova a vivere in un’area colpita dagli incendi e che già da questi giorni, con il ricominciare della stagione più secca, rischia di doversi trovare ad affrontare nuovi incendi.
Come ha spiegato Wired, il fatto che in Australia ci siano incendi è normale, e molte piante con il passare dei millenni si sono persino adattate alla cosa, sviluppando cortecce che bruciano rapidamente ma semi che resistono anche alle fiamme. «Molte specie native dell’Australia», ha scritto Wired, «si sono adattate molto bene agli incendi, e a volte ne sono addirittura dipendenti». Certe aree dell’Australia, soprattutto quelle del cosiddetto bush – una savana semi arida con alberi bassi, fitti o sparsi, fatta soprattutto di erbe e arbusti – sfruttano addirittura le fiamme per fare «una sorta di reset», per «pulire la vegetazione morta e permettere la crescita di nuove piante».
Il fatto è che gli incendi di fine 2019 e di inizio 2020 oltre ad aver «praticamente annientato interi ecosistemi» sono anche stati particolarmente vasti e in molti casi hanno colpito aree che già nel recente passato erano bruciate. E si trovano magari al confine con aree a loro volta colpite: vuol dire che non c’è vicino altra vegetazione che possa andare a ricoprire le aree appena bruciate, e che gli animali che si trovavano nelle aree bruciate non hanno vicino a loro nuove aree verdi da occupare.
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La prossima estate australiana, che inizierà tra pochi mesi, potrebbe quindi presentare problemi simili a quella passata, perché le cause degli incendi di un anno fa sono ancora presenti, e pochi posti al mondo sono esposti ai cambiamenti climatici tanto quanto l’Australia. La speranza, tra chi si occupa di queste questioni è che, come aveva scritto il Guardian, la notevole attenzione che era stata riservata agli incendi degli ultimi mesi e ai loro grandi danni possa aver «cambiato il modo in cui molti australiani pensano al cambiamento climatico», mostrando che quella che fino a un anno fa poteva essere «un’idea astratta, lontana nel futuro» è diventata, nel tempo di un’estate, «una distopica realtà quotidiana».