Perché le donne incinte hanno le voglie
Non per ragioni biochimiche ma, a quanto pare, per ragioni psicologiche e culturali
Un recente articolo pubblicato dal sito di BBC ha provato a spiegare in breve perché le donne incinte hanno le cosiddette “voglie”, citando studi e opinioni di alcuni esperti. Le voglie sono quel fenomeno, in genere associato alla gravidanza, che Treccani definisce «di natura neurovegetativa» e che «consiste nel desiderio, per lo più ripetuto, di cibi o di sostanze particolari». Secondo la sintesi fatta da BBC, le voglie sono qualcosa di psicologico e culturale: perché cambiano da una cultura all’altra e perché non sembrano esserci ragioni prettamente biologiche per cui in certi momenti, durante la gravidanza, si senta il bisogno – o la voglia – di certi alimenti.
L’articolo parte da uno studio del 2014 secondo il quale non in tutte le culture esiste il concetto di “voglie”, e con il cambiare delle culture cambia anche l’oggetto alimentare delle voglie: in Giappone, per esempio, sembra che vada piuttosto forte il riso. Altri studi hanno mostrato inoltre che tra gli alimenti al centro delle diverse voglie non sembrano esserci «specifiche sostanze nutritive utili alla gravidanza». Un altro studio ancora suggerisce che «le donne incinte che dicono di avere le voglie tendano a guadagnare più peso di quanto sia considerato giusto durante una gravidanza».
Tutto questo non significa però che le donne si inventino le voglie, ma solo che «dietro a queste voglie c’è probabilmente qualcosa di diverso da un bisogno biochimico».
A questo proposito, l’articolo cita uno studio dei primi anni Novanta in cui ad alcune donne furono dati dei contenitori opachi, dicendo loro di aprirli e mangiarne il contenuto quando avessero avuto delle voglie. In alcune scatole c’era cioccolato al latte («che ha tutte le sostanze nutritive del cioccolato e che “si scioglie in bocca”»); in altre c’era cioccolato bianco (che si scioglie meno in bocca e che non ha cacao). Secondo i risultati dello studio il cioccolato bianco fu più apprezzato, nonostante avesse meno “ingredienti” rispetto a quello al latte. Insomma: non fu merito del cacao.
L’idea più probabile è che ogni voglia nasca da un semplice pensiero, di per sé slegato da effettive necessità biologiche della donna o del feto. Un pensiero che «cresce piano piano fino a diventare un’ossessione a cui è difficile resistere».
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Julia Hormes, professoressa di biologia alla State University di New York, ha aggiunto che le voglie possono anche avere a che fare con il senso di colpa, almeno in Occidente. Più si sente e si dice a se stessi che qualcosa non va mangiato, più è probabile che se ne abbia voglia e che, nel momento in cui infine si cede, se ne mangi in abbondanza.
La stessa cultura che fa venire voglia di cioccolato, e che fa sentire in colpa quando se ne mangia troppo, è quella che in momenti come la gravidanza «identifica un contesto in cui è possibile cedere su alcune cose». In merito a quel che si può fare per non cedere a una voglia, Hormes non ha granché da dire: spiega solo che la cosa da fare è provare a pensare ad altro o, se si cede, farlo con misura, magari con un cioccolato di qualità e con un piccolo pezzettino ogni due-tre giorni, piuttosto che con mezza tavoletta in cinque minuti. Così da togliere a quel pezzo di cioccolato quello che l’articolo definisce «significato totemico».