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  • Lunedì 20 luglio 2020

Prendersela con gli olandesi

Leggendo i giornali si può pensare che nel Consiglio Europeo in corso a Bruxelles stiano cercando di fregare il governo italiano, ma la faccenda è molto più sfumata di così

Molte delle conversazioni in corso al Consiglio Europeo, l’organo che raduna i capi di stato e di governo dell’Unione, contrappongono un gruppo di paesi che chiedono misure più ambiziose e centralizzate per stimolare la ripresa economica dopo la pandemia da coronavirus – gruppo di cui fa parte anche l’Italia – e una coalizione di paesi del Nord Europa che auspicano invece misure più contenute e insistono sulla necessità di un diritto di veto a trasferimenti troppo ingenti e privi di condizioni nei confronti dei paesi del Sud Europa.

In questi giorni Mark Rutte è stato criticato da diversi leader europei, tra cui il presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte, per le sue posizioni: il governo olandese, per esempio, si è detto contrario ad aumentare il contributo al bilancio dell’Unione Europea per evitare che l’Unione diventi – ancor di più, secondo alcuni – una pachidermica macchina burocratica; si è opposto alla concessione di denaro a fondo perduto ai paesi più in difficoltà, dicendo che l’unico sistema accettabile sarebbe stato quello dei prestiti; e ha insistito nell’introdurre un meccanismo di veto che permetta al Consiglio Europeo – e quindi ai singoli governi dell’Unione – di respingere i piani nazionali con cui ciascun paese dovrà indicare come vuole utilizzare i soldi del Fondo per la ripresa, facendo sì quindi che il modo in cui spendere i soldi ricevuti dall’UE sia concordato con i paesi dell’UE.

Leggendo i giornali è difficile farsi un’idea delle ragioni dei cosiddetti Frugal Five, cioè Paesi Bassi, Austria, Svezia, Danimarca e Finlandia, dipinti come paesi guidati da governi malvagi che in sostanza ce l’hanno con l’Italia e gli altri paesi del Sud. In questo luogo comune c’è un fondo di verità – l’elettorato conservatore dei paesi del Nord ha una pessima opinione dei paesi del Sud – ma la questione è più sfumata e complessa di come sembra. Un primo modo per affrontarla sarebbe metterci nei panni opposti: immaginare che sia chiesto all’Italia di regalare miliardi di euro a un paese straniero – magari un paese molto indebitato e senza una reputazione di grande efficienza: la Grecia o la Romania, per esempio – e pensare al dibattito che avverrebbe sulla stampa e tra i politici.

In molti hanno notato, poi, che alla base dell’opposizione intransigente del primo ministro dei Paesi Bassi Mark Rutte, diventato in questi giorni il capo informale dei Frugal Five, ci sono probabilmente i timori per le incerte elezioni politiche che si terranno nel marzo del 2021. Il panorama politico dei Paesi Bassi è uno dei più frammentati in Europa – alle ultime elezioni europee nessun partito superò il 20 per cento nei consensi – e Rutte guida una coalizione trasversale che un anno fa ha perso la maggioranza al Senato.

La sua ostilità nei confronti dei paesi del Sud potrebbe essere un modo per difendere il suo partito di destra moderata dall’avanzata dei partiti della destra radicale, decisamente più euroscettici. Non sempre operazioni di questo genere vanno a buon fine ma a Rutte riuscì alle ultime elezioni politiche, nel 2017, quando sconfisse il partito di Geert Wilders, storico alleato di Matteo Salvini in Europa che recentemente è andato in giro con un cartello che chiedeva di non dare soldi agli italiani, «conducendo una campagna elettorale vagamente xenofoba», ricorda l’analista Miguel Carrión, che scrive per il centro studi Eurobriefing.

Poi c’è una questione che riguarda gli stili di vita. L’elettorato più conservatore dei paesi del Nord teme che i governi del Sud possano usare i fondi europei per continuare a permettere ai propri cittadini di andare in pensione sempre prima, un timore fondato e una possibilità che esiste ormai da molti anni. Qualche tempo fa sul sito dell’Atlantic Council il politologo Elmar Hellendoorn aveva ipotizzato che parte dell’ostilità degli olandesi verso gli stati del Sud sia dovuta al fatto che «contrariamente al resto dei paesi europei, dove le pensioni sono pagate perlopiù dallo Stato, ciascun olandese mette personalmente i soldi nel proprio fondo pensione. Di conseguenza queste persone temono molto fenomeni come l’inflazione o l’azzeramento dei titoli di stato di alcuni paesi detenuti dai loro fondi, oppure quelli che percepiscono come “ingiusti” versamenti ad altri paesi europei».

Del resto, i dati dicono che i paesi del Nord spendono mediamente nelle pensioni una percentuale di PIL inferiore a quella di Francia e Italia, e che i lavoratori svedesi, danesi e olandesi vadano in pensione molto più tardi rispetto ai loro colleghi del Sud Europa. Una recente indagine di Eurostat, l’agenzia statistica dell’Unione Europea, ha dimostrato che in Italia ci si può aspettare di andare in pensione in media dopo 32 anni di lavoro, che invece diventano 42 in Svezia, 41 nei Paesi Bassi e 40 in Danimarca (nel dato influisce anche la disoccupazione, che in Italia è molto più diffusa). Recentemente l’Italia ha approvato una costosa e controversa riforma delle pensioni – la cosiddetta “quota 100” – che accorcia ulteriormente i termini per andare in pensione.

Ci sono anche ragioni più profonde. I paesi del Nord Europa a vocazione commerciale  hanno sempre preferito un’Europa che funziona finché conviene, e in definitiva quindi sono stati «favorevoli a un approccio sovranazionale finché serve i propri interessi (economici) e nulla di più», ha spiegato qualche anno fa il politologo Jan Rood, che insegna integrazione europea all’università di Leiden, parlando dei Paesi Bassi. È un approccio dal quale si può dissentire, naturalmente, a patto di riconoscere che non è così distante dalle tantissime rivendicazioni cosiddette “sovraniste” che negli ultimi anni in Italia hanno raccolto i consensi di oltre il 70 per cento degli elettori, nonché dal legittimo tentativo di ogni governo di fare gli interessi dei propri cittadini.

Finché l’integrazione europea andava di pari passo con una sempre maggiore integrazione economica, e con misure come il mercato comune e la libera circolazione dei capitali, i paesi del Nord – soprattutto i Paesi Bassi – sono stati favorevoli a rendere ancora più stretti i rapporti fra gli stati europei. Negli ultimi anni però l’Unione ha preso diverse importanti decisioni di natura eminentemente politica – tra tutte: salvare l’eurozona a tutti i costi e garantire sempre più poteri alle istituzioni comunitarie come Commissione e Parlamento – mentre all’interno di un’Unione sempre più larga il loro peso continuava a diminuire: ancora di più dopo l’uscita del Regno Unito, l’unica fra le potenze europee a essere sensibile alle loro istanze.

Nel 2018 i ministri dell’Economia di Paesi Bassi, Danimarca, Svezia, Finlandia, Estonia, Irlanda, Lettonia e Lituania firmarono un documento che secondo alcuni osservatori segnò la nascita di una nuova coalizione interna all’Unione Europea, composta da paesi più sensibili di altri agli aspetti economici e commerciali dell’integrazione europea. Ancora oggi il Financial Times la definisce «la nuova Lega Anseatica», ispirandosi a un’antica alleanza commerciale fra i paesi di quella regione stretta nel tardo Medioevo.

Negli anni l’accento sulla dimensione economica e commerciale dell’Unione Europea ha portato inoltre diversi benefici come il mercato comune, l’unione doganale, la moneta unica, gli accordi commerciali negoziati da una posizione di forza, e tanto altro ancora. È un’idea di Unione Europea condivisa da molti ma assai lontana da quella sostenuta dai più europeisti, che invece chiedono una integrazione sempre più stretta soprattutto dal punto di vista politico, e vedono di buon occhio misure come il Fondo per la ripresa, importanti soprattutto dal punto di vista simbolico più che macroeconomico. Dall’altra parte, è inevitabile che un’unione politica si accompagni a un maggiore coordinamento economico e fiscale: ma in Italia da anni molti rifiutano questo tipo di condivisione (“i diktat dell’Europa”).

All’interno di una Unione sempre più centralizzata e con competenze sempre maggiori, il peso dei piccoli paesi sarebbe più che ridotto. Per questa ragione vertici e riunioni come quella in corso in questi giorni stanno più che bene ai governi del Nord, che preferiscono mantenere autonomia e margine di manovra. «Siamo tutti qui per difendere l’interesse del nostro paese», ha detto Rutte parlando stamattina con i giornalisti.