I gruppi sanguigni non sembrano influenzare la gravità della COVID-19
Due nuove ricerche hanno ridimensionato uno studio precedente sul rapporto tra tipo di sangue e gravità dei sintomi, definendolo trascurabile
Due nuove ricerche condotte negli Stati Uniti non hanno trovato evidenze scientifiche significative sul presunto rapporto tra l’appartenenza ai vari gruppi sanguigni e il rischio di sviluppare sintomi gravi di COVID-19, la malattia causata dal coronavirus. I nuovi risultati sembrano ridimensionare gli studi diffusi in precedenza, che avevano invece indicato una minore incidenza di casi gravi della malattia negli individui con gruppo sanguigno 0.
Un gruppo di ricercatori della Columbia University di New York ha esaminato le cartelle cliniche di 7.700 persone risultate positive al coronavirus, rilevando che i pazienti con gruppo sanguigno A avevano un minor rischio di sviluppare complicazioni respiratorie tali da rendere necessaria l’intubazione; gli individui con sangue di tipo AB, invece, avevano un rischio maggiore. Le differenze nei fattori di rischio sono però state calcolate su un numero ristretto di persone del campione, perché i gruppi sanguigni A e AB sono meno frequenti, e questo ha probabilmente influenzato i risultati finali dell’analisi.
I ricercatori della Columbia University avevano diffuso un primo set di dati lo scorso aprile, quando avevano esaminato circa 1.600 casi clinici. Il nuovo lavoro ha coinvolto oltre 6mila pazienti in più ed è ora in attesa di essere esaminato e pubblicato su una rivista scientifica. I risultati sembrano più che altro smentire altre ricerche, che avevano invece segnalato fattori di rischio più bassi per chi ha sangue di tipo 0.
L’altra ricerca è stata invece condotta presso il Massachusetts General Hospital di Boston, e ha portato a risultati lievemente diversi. In questo caso i ricercatori hanno rilevato che le persone con gruppo sanguigno 0 hanno un fattore di rischio più basso nell’ammalarsi di COVID-19. Non hanno invece rilevato differenze tali per sostenere che l’appartenenza a un gruppo sanguigno rispetto a un altro determini rischi più alti o più bassi di essere sottoposti a intubazione o di morte legata al coronavirus.
Un’autrice della ricerca ha spiegato al New York Times che le differenze si sono rilevate talmente lievi da non essere utili da comunicare nemmeno ai pazienti: “Non ne farei nemmeno menzione”. Informazioni di questo tipo potrebbero infatti indurre false speranze o incentivare comportamenti rischiosi da parte dei positivi, indotti a sottovalutare o a sopravvalutare la loro malattia.
I risultati delle nuove ricerche e il confronto con gli studi precedenti sembrano indicare che i diversi gruppi sanguigni non influenzino, per lo meno in modo significativo, l’andamento della COVID-19. Questi studi potrebbero comunque offrire spunti importanti per comprendere meglio la risposta immunitaria dell’organismo. Le persone appartenenti al gruppo sanguigno A non producono gli stessi anticorpi degli individui con sangue di tipo B, per esempio. Queste differenze potrebbero spiegare perché si rilevano reazioni diverse tra i pazienti con gruppi sanguigni differenti.
Altre ricerche hanno rilevato un probabile legame tra appartenenza a un determinato gruppo sanguigno e il rischio della formazione dei trombi, i piccoli coaguli di sangue che possono causare condizioni gravi come l’embolia polmonare. In alcuni pazienti, il coronavirus induce un’infiammazione dell’endotelio, il rivestimento interno dei vasi sanguigni, facendo aumentare il rischio della formazione di coaguli. Anche per questo alcuni ricercatori stanno orientando i loro studi verso i pazienti con queste condizioni, per valutare un eventuale legame con l’appartenenza a gruppi sanguigni diversi.