Non si capisce perché in Thailandia stia andando così bene
Ha più abitanti dell'Italia ed è piuttosto vicina alla Cina, eppure ha pochissimi contagiati e pochissimi morti: forse è cultura, forse è merito della politica o forse è genetica
In Thailandia, un paese con circa 70 milioni di abitanti, i casi di coronavirus finora individuati sono stati poco più di tremila, con 58 morti. Sono numeri molti bassi e – come ha scritto il New York Times – nessuno è ancora riuscito a spiegarsi il perché: e non possono spiegarsi soltanto con eventualmente un basso numero di test, visto che non si è registrato un numero anomalo di decessi. Non si capisce se sia successo per motivi culturali, grazie ad azzeccate scelte politiche o addirittura per via di ipotetiche e non ancora individuate ragioni genetiche, che renderebbero i thailandesi più resistenti al coronavirus.
Secondo alcune ipotesi il coronavirus in Thailandia si sarebbe diffuso poco perché la cultura del paese prevede pochi contatti fisici tra le persone. Da molto prima che iniziasse il contagio, per esempio, anziché stringersi la mano o abbracciarsi in Thailandia ci si saluta con il wai, il tradizionale saluto a mani giunte. La Thailandia, inoltre, è un paese in cui si passa molto tempo all’aria aperta. Chi pensa più alle ragioni politiche sostiene invece che nonostante la sua relativa vicinanza alla Cina, il paese da cui si pensa sia partito il contagio, la Thailandia non abbia avuto problemi troppo gravi perché ha deciso presto di adottare le mascherine e anche perché, secondo il New York Times «ha un robusto sistema sanitario».
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Con riferimento alle argomentazione “genetiche”, poi, il New York Times ha scritto che potrebbe anche esserci qualcosa che rende il sistema immunitario dei thailandesi (e di altri loro vicini del sud-est asiatico) più resistente al coronavirus. Così come la Thailandia, infatti, anche Myanmar, Cambogia e Laos hanno avuto pochi casi di contagio. E il New York Times fa notare inoltre che anche nella provincia cinese dello Yunnan, la più vicina al sud-est asiatico, i casi fin qui individuati sono stati solo 190.
Seppur sia presto per avere dati certi, sembra anche che in Thailandia la percentuale di asintomatici sia particolarmente più alta che altrove, addirittura vicina al 90 per cento. Chi crede a questa ipotesi fa notare che così come le persone del sud-est asiatico sono in genere più inclini ad avere gravi conseguenze dopo aver avuto la dengue, potrebbe anche essere che siano meno inclini ad avere gravi conseguenze dovute al coronavirus.
Come sempre, comunque, la risposta giusta – che ancora non c’è – potrebbe avere a che fare con una combinazione di tutti questi fattori. Taweesin Visanuyothin, portavoce del ministero della Salute thailandese per le questioni relative al coronavirus, ha detto: «Non penso si tratti solo di immunità o genetica; deve avere a che fare con la cultura, con il fatto che non abbiamo contatti fisici quando ci incontriamo».
Sta di fatto che la Thailandia ha avuto un numero piuttosto basso di casi (meno di 50 per ogni milione di abitanti, contro i 4mila per milione di abitanti dell’Italia) e che sono ormai sette settimane che non viene registrato un nuovo caso di contagio interno al paese. Quelli individuati arrivano tutti dall’estero.
Proprio i viaggiatori stranieri sono ora al centro dei principali dibattiti in Thailandia. Dopo che a gennaio la Thailandia fu il primo paese al mondo, dopo la Cina, a individuare un contagiato (un turista proveniente da Wuhan), decise di controllare e limitare gli arrivi dall’estero. Continuare a farlo nei prossimi mesi vorrebbe dire però rinunciare a gran parte dei soldi guadagnati con il turismo, che in Thailandia contribuisce a circa il 20 per cento del PIL e dà lavoro a circa otto milioni di persone. Nel 2019 i turisti stranieri furono 40 milioni; per il 2020 la Banca centrale thailandese si aspetta che possano essere anche solo 8 milioni.
Nonostante i pochi casi finora individuati, la Thailandia rischia comunque una contrazione economica fino all’8 per cento, con gravi conseguenze anche per tutti i migranti, provenienti soprattutto da Myanmar e Cambogia, che dopo essere arrivati in Thailandia rischiano di trovarsi senza più un lavoro.