I semafori di Beirut sono spenti
E le ragioni sono esemplari dell'attuale deprimente situazione del Libano
Timour Azhari ha raccontato su Al Jazeera la storia dei semafori del Libano e della sua capitale Beirut: e non è solo una storia di semafori.
L’articolo inizia parlando di una docente universitaria, Mona Fawaz, che a fine anni Novanta, quando aveva 26 anni ed era reduce da un periodo di studi negli Stati Uniti, tornò in Libano, un paese che era da poco uscito da una guerra civile durata 15 anni. «La prosperità – o quantomeno un senso di normalità – sembravano vicine», ha scritto Al Jazeera, «e tutti volevano guardare avanti. Il caos della guerra continuava però a palesarsi nel modo in cui la gente guidava. Il traffico era tremendo: su certe strade veloci c’era il liberi tutti, nelle strette vie cittadine non ci si muoveva».
Poi arrivarono i semafori. All’inizio pochi sembravano curarsene e Fawaz ha raccontato che, abituata a rispettarne le indicazioni da quando era stata negli Stati Uniti, si sentiva “come un’attivista” ogni volta che decideva di fermarsi a un semaforo rosso, perché gli altri non lo facevano quasi mai. «Era pericoloso», ha raccontato Fawaz, che ora insegna Urbanistica e pianificazione urbana all’università americana di Beirut, la capitale del paese. Era pericoloso anche perché passare con il verde non permetteva di dare per scontato che dall’altra parte le auto si sarebbero fermate.
Col tempo autisti e motociclisti si abituarono e iniziarono a rispettare le indicazioni dei semafori, che divennero così uno dei segni del fatto che le cose stavano tornando alla normalità. Da un po’ di tempo, però, molti semafori del Libano hanno di nuovo smesso di funzionare.
Video to go along with our @AJEnglish story on Beirut’s broken traffic lights, a symbol of decades of failed rule by politicians who have brought #Lebanon to its knees.https://t.co/eQZ12fqLlL pic.twitter.com/wXeXAiGqfo
— Timour Azhari (@timourazhari) July 12, 2020
Secondo Al Jazeera, «da un paio di settimane circa tre quarti dei semafori di Beirut sono spenti». Sembra che la causa sia uno «stallo politico», probabilmente conseguente a una combinazione di «mala gestione e sospetta corruzione» che «ha messo in ginocchio il paese». In Libano, infatti, l’economia è messa malissimo; la lira libanese vale oggi circa il 20 per cento di quanto valeva soltanto l’anno scorso. Nel Libano degli ultimi mesi, in particolare a Beirut, manca spesso anche l’elettricità, ma non è solo per questo che i semafori non funzionano più. Le ragioni hanno a che fare con una serie di problemi legati al modo con cui sono stati gestiti dal TVMA, l’ente statale responsabile delle strade.
In breve, alcuni anni fa il TVMA aveva deciso di appaltare a una società privata alcune attività, tra cui l’installazione e la manutenzione di parchimetri e semafori. La società privata a ottenere il contratto fu la Duncan-Nead, una società americano-libanese, che qualcuno ha accusato di avere particolari legami proprio con il governo libanese. Fu quindi fatto un accordo che prevedeva che TVMA, e quindi lo Stato, avrebbe preso una piccola parte dei soldi guadagnati con i parchimetri e che la maggior parte dei soldi sarebbe andata invece all’amministrazione cittadina di Beirut, sul cui territorio si trovavano i parchimetri.
Il problema è che l’amministrazione cittadina di Beirut dice di non aver mai visto nemmeno una lira. TVMA sostiene che tutti i soldi guadagnati con i parchimetri – che si pensa nel 2019 furono circa 5 milioni di euro – sono stati usati per la manutenzione delle strade e dei semafori e per l’installazione di telecamere di sicurezza, ma non ha saputo fornire numeri precisi sulle cifre spese. Intanto Hoda Salloum, direttrice generale di TVMA, è stata incriminata per la questione ed è sospettata di essersi appropriata di almeno una parte dei soldi dei parchimetri.
Il contratto per la manutenzione dei semafori è scaduto il 10 aprile e non è stato rinnovato, con la conseguenza che senza nessuno a mantenerli in funzione o ripararli i semafori restano spesso spenti, diventando a loro volta, di nuovo, simbolo dei problemi del paese. E causa, di nuovo, di una serie di incidenti, alcuni dei quali mortali.
In tutto questo, da mesi l’epidemia da coronavirus, le proteste antigovernative di fine 2019 e la grave situazione economica fanno sì che i parchimetri raccolgano pochissimi soldi. La gente ha meno soldi e si sposta meno, e dopo le accuse a Salloum i parchimetri sono proprio diventati uno dei bersagli delle proteste cittadine. «Erano in pochi», ha scritto Al Jazeera, «a non credere che i soldi che pagavano per il parcheggio finissero persi per via della corruzione».