Prima e dopo “Inception”
Compie dieci anni un film memorabile, dall'idea complicata di un adolescente a quel famoso finale
di Gabriele Gargantini
Nell’aprile del 2010 il Los Angeles Times parlò di Inception – all’epoca il nuovo film di Christopher Nolan, che sarebbe uscito alcuni mesi dopo – come di «uno strano thriller che da mesi è un mistero di Hollywood, per via del suo criptico titolo e per via del fatto che la sua sceneggiatura è stata trattata come un segreto di stato». Il Los Angeles Times scrisse inoltre che quel film – che ancora nessuno aveva visto – avrebbe unito l’enigmaticità di Memento e l’imponenza del Cavaliere oscuro, i film di Nolan del 2000 e del 2008, e aggiunse che era un Mission: Impossible più intelligente, un film che a qualcuno avrebbe fatto pensare a Matrix e che in qualche modo avrebbe messo insieme Sigmund Freud e Ian Fleming, l’ideatore del personaggi di James Bond.
Inception, che negli Stati Uniti uscì il 16 luglio 2010, era un po’ tutte quelle cose.
E anche un film di fantascienza, un noir d’azione, un film psicologico e un film con diversi elementi tipici degli heist movie, quelli in cui qualcuno mette in piedi una banda per fare una rapina. Il fatto è che in Inception, anziché rubare qualcosa, “la banda” doveva innestare un’idea nella mente di una persona: per farlo doveva entrare in un sogno dentro a un sogno dentro a un altro sogno. È complicato, ma il film fu un grandissimo successo: preceduto da un notevolissimo lavoro per pensarlo, farlo e promuoverlo e seguito da approfonditi dibattiti, in particolare sul suo finale. Andiamo con ordine.
Intervistato dal Los Angeles Times prima dell’uscita del film, Nolan – allora non ancora quarantenne – disse: «Volevo farlo da moltissimo tempo, è una cosa a cui mi capita di pensare da quando avevo più o meno 16 anni. La prima bozza della storia la scrissi sette o otto anni fa [quindi poco dopo il 2000], ma è da molto prima di allora che avevo quest’idea di parlare dei sogni e di come la vita nei sogni poteva essere un diverso stato di realtà». In un altro articolo precedente all’uscita del film, il Telegraph parlò di quella prima bozza come di un trattamento (quindi non ancora una vera e propria sceneggiatura) di 80 pagine «su una banda di ladri di sogni», che Nolan aveva scritto poco dopo aver finito Insomnia, il suo film del 2002.
Nolan raccontò che all’inizio aveva pensato a Inception come a qualcosa di simile a un horror, ma di aver poi cambiato idea; e spiegò che fu certamente influenzato almeno un po’ da una serie di film degli ultimi Novanta e dei primi Duemila che giravano intorno al fatto che «il mondo che ci circonda potrebbe non essere reale».
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Emma Thomas, sua moglie dagli anni Novanta e produttrice di tutti i suoi film, disse che dopo aver letto la prima bozza pensò: «Oh mio Dio, come mai faremo a realizzarlo?». Spiegò che sia lei che Nolan si resero conto che sarebbe stato un film costoso e complesso, e quindi lo misero per un po’ da parte, dedicandosi ad altro. Nolan disse di aver provato a trasformare il progetto in un piccolo film a basso budget, ma di aver abbandonato piuttosto presto l’idea, convinto che sebbene fosse una storia «intima ed emotiva» partiva comunque da «un concetto che portava verso un film di proporzioni epiche». Come spiegò meglio al New York Times, in un articolo intitolato “Un uomo e il suo sogno“: «Quando inizi a occuparti di sogni, le potenzialità della mente umana sono infinite. E così anche la scala su cui opera il film deve sembrare infinita. Deve dare l’idea che prima che finisca il film, tu possa andare ovunque».
Grazie alla regia di Batman Begins e Il cavaliere oscuro – perfetti esempi di “successo di critica e di pubblico” – Nolan prese meglio le misure con i film dall’alto budget e, anche grazie alla fama acquisita decise che i tempi erano maturi per rimettere le mani a quella storia sui ladri di sogni. Dopo una vacanza in Florida si prese circa sei mesi per completare la sceneggiatura, approfondendo il fatto che si potessero «creare un infinito numero di universi alternativi in cui le persone potevano interagire in modo significativo, con coerenza, con ragioni profonde e con conseguenze drammatiche».
Finita la sceneggiatura, Nolan convinse Leonardo Di Caprio – un altro il cui solo nome era praticamente già quasi garanzia di “successo di critica e di pubblico” – a interpretare Dominic Cobb, il protagonista di Inception. I due erano in contatto da tempo e pare avessero vagliato altre possibili collaborazioni, senza che se ne fosse mai fatto qualcosa. A proposito di film complicati e dal finale spiazzante, DiCaprio aveva appena fatto Shutter Island con Martin Scorsese.
Nonostante la trama labirintica e il progetto certamente costoso, non fu particolarmente difficile convincere le case di produzione a finanziare un film di Nolan con Di Caprio. È stato raccontato che i due passarono molto tempo a discutere e modificare la sceneggiatura, in particolare per far sì che «il viaggio emotivo del protagonista fosse la forza motrice del film». Parlando al Los Angeles Times della collaborazione con DiCaprio, Nolan disse di aver «incorporato nel film molte sue idee».
Nel febbraio 2009 la Warner Bros. salì a bordo e a giugno di quell’anno iniziarono le riprese in Giappone. Ne seguirono altre tra Stati Uniti, Francia, Canada, Regno Unito e Marocco; con Wally Pfister come direttore della fotografia e Guy Hendrix Dyas come scenografo. Il ricco cast era formato, tra gli altri, da Marion Cotillard, Ellen Page, Tom Hardy, Cillian Murphy, Ken Watanabe, Joseph Gordon-Levitt, Tom Berenger e Michael Caine. Si stima che il film, in gran parte girato su pellicola da 35 millimetri, costò più di 150 milioni di dollari.
Ancor prima che a novembre finissero le riprese, era partita l’ambiziosa campagna promozionale, che costò almeno altri 100 milioni di dollari. Si puntò sui nomi di Nolan e di DiCaprio e sul grande cast, ma ancora di più sul fatto che non si sapesse quasi niente di quello di cui avrebbe parlato il film.
È un po’ quello che sta succedendo da mesi con Tenet, il nuovo film di Nolan: è una delle tattiche più usate per promuovere storie originali e non tratte da altre storie, e a Nolan piace fare così. Al New York Times raccontò per esempio di essere rimasto molto deluso dal fatto che da ragazzo, lavorando come stagista in una casa cinematografica, gli capitò di leggere la sceneggiatura di Pulp Fiction prima che uscisse e che la cosa gli provocò molto dispiacere.
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Per far sapere che Inception stava per arrivare si passò dalla solita trafila di comunicati, locandine e teaser trailer scarsamente esplicativi, ma si scelse anche di creare un piccolo gioco online (Mind Crime) e di diffondere una serie di elusivi indizi sul film: per esempio questo manuale, che visto allora diceva poco ma che visto oggi è un po’ più chiaro.
Warner Bros. pubblicò online anche un graphic novel di una ventina di pagine (The Cobol Job) che era una sorta di antefatto del film.
Il primo vero trailer di Inception arrivò il 10 maggio. Lo videro in moltissimi ed è considerato il trailer che per primo lanciò un suono (BRAAAM) che poi avrebbero ripreso in moltissimi. La musica del trailer era quella di “Mind Heist” di Zack Hemsey, mentre nel film ci sarebbe stata invece la colonna sonora di Hans Zimmer.
Il 16 luglio 2010 Inception uscì negli Stati Uniti e infine, dopo essere uscito durante l’estate in decine di altri paesi di ogni continente, a inizio autunno, il 24 settembre arrivò anche in Italia.
La trama è certamente complicata – Nolan stesso disse di aver avuto difficoltà a farla capire a parole chi doveva produrre il film, e diversi attori hanno raccontato di non averci capito proprio tutto-tutto, almeno all’inizio – ma è anche vero che Inception è un film che si spiega da solo. Nel senso che gran parte di Inception è dedicata alla spiegazione di Inception, al punto che molto di quello che succede nei primi tre quarti d’ora è quasi il tutorial di un videogioco.
Il fatto che un film debba passare molto tempo a spiegarsi è spesso un problema, e un sintomo della pigrizia o della scarsa perizia di chi l’ha fatto. In Inception è un punto di forza, perché le spiegazioni sono sempre sufficientemente chiare e soprattutto ragionevolmente motivate dalla trama, che prevede di provare a innestare un’idea in un sogno di terzo livello in una persona, senza che questa se ne accorga.
Per chi volesse rinfrescarsi la memoria quanto basta, è sufficiente ricordarsi che i 5+1 membri della “banda” sono l’estrattore, il manovratore, l’architetto, il falsario, il chimico e il turista, che Mal Cobb è solo un’ombra o una proiezione e che Robert Fischer è il bersaglio. Quali sono i tre livelli onirici durante gran parte del film, cosa sono e a cosa servono i calci, come cambia la percezione del tempo in ogni livello, cosa sono e a cosa servono i totem e cos’è il temibile limbo, “uno spazio onirico grezzo” che Nolan voleva fosse «qualcosa di glaciale, con architettura chiaramente modernista, ma con pezzi che si staccavano cadendo in mare come fossero iceberg». Un’ottima sintesi di tutto quello che succede nel film e di chi sogna cosa, si trova qui.
A ben vedere, comunque, è tutto solo un grandissimo contorno al “viaggio emotivo del protagonista”, che durante un volo aereo da Sydney a Los Angeles deve completare una missione e risolvere certe questioni personali; e qualora dovesse riuscirci potrebbe rivedere i suoi figli. Alla fine non siamo nemmeno certi che la missione effettivamente riesca, o che fosse una vera missione. Una cosa ben diversa da Matrix, dove il protagonista è l’Eletto che deve salvare il mondo e l’umanità.
Inception incassò quasi un miliardo di dollari, facendo meno quell’anno solo di Toy Story 3, Alice in Wonderland e del primo Harry Potter e i Doni della Morte, tre storie di cui gran parte degli spettatori già a inizio 2010 avrebbero saputo dire molto, in quanto basate su storie e marchi largamente noti. Vinse quattro premi Oscar su otto candidature (il premo per il miglior film andò al più didascalico Il discorso del re) e per diversi mesi fece molto parlare: per le teorie e le interpretazioni, ma anche per i dibattiti tra quelli a cui era piaciuto e quelli a cui no. Anche dopo che si finì di discuterne, è rimasto come punto di riferimento per un certo cinema degli anni successivi e come notevole esempio di esperienza cinematografica memorabile e ricordata, frutto di grandi traguardi sia tecnici e stilistici che puramente narrativi.
Quelli a cui Inception non piacque ne parlarono come di un film eccessivamente contorto e non sufficientemente profondo. Quelli a cui piacque ne apprezzarono la capacità di condensare tantissime idee in nemmeno 150 minuti. Nolan e i suoi collaboratori ci riuscirono alternando approcci piuttosto semplici – ogni livello del sogno è visivamente molto diverso dagli altri e per certi versi consonante allo “stile” del sognatore, così da evitare inutili confusioni – a trovate tecnicamente difficilissime, per esempio per l’apprezzata scena senza gravità, girata ovviamente con la gravità e ispirata da un’altrettanto complicata tecnica usata da Stanley Kubrick in 2001: Odissea nello Spazio.
E poi c’è il finale. Che con qualche secondo in meno – oppure qualche secondo in più per vedere che succede a quella dannata trottola – avrebbe di certo reso Inception più semplice e meno memorabile.
La risposta breve sul finale è che non ci sono elementi a sufficienza per dire che quella che vediamo alla fine non sia la realtà. Ma anche che non ce ne sono poi così tanti per sostenere che non lo sia, visto tutto quello che succede nel film. Insomma: non si sa. Ed è così che voleva Nolan, la cui sceneggiatura era chiaramente ambigua:
Liberi di credere, quindi, che Inception sia una storia lineare, che il suo protagonista sia una persona di cui fidarsi e che quella trottola prima o poi si fermerà; oppure che il finale sia ambientato nel limbo; o ancora di avventurarsi in teorie più complesse (come quella secondo cui è il protagonista stesso a essere oggetto di un tentato innesto, o quella che sostiene che il suo vero totem è la fede nuziale e non la trottola). Le teorie sono moltissime: per chi ha molto tempo da perdere, c’è molto tempo per perdercisi.
Nolan ha detto che la domanda sul finale di Inception gli è stata fatta più spesso di ogni altra, che trova divertente che ogni volta la gente si aspetti una risposta da lui, e che non ebbe mai dubbi sul fatto che quello sarebbe stato il finale più appropriato per Inception.
A proposito di finali, per chi ne volesse uno diverso da “Inception ha un finale aperto”, qualche anno fa, chiudendo un discorso ai laureati di Princeton, Nolan disse loro di trovare sbagliato che la realtà fosse ormai vista come «la cugina povera dei sogni» e aggiunse: «Non voglio che seguite i vostri sogni, voglio che seguiate la vostra realtà».