L’arresto di un ragazzo egiziano accusato di molestie sessuali
Le accuse e le testimonianze di molte donne, raccolte sui social network, hanno portato a un esito inaspettato per le leggi e la cultura del paese
Sabato 4 luglio Ahmed Bassam Zaki, un egiziano di 21 anni, è stato arrestato per accuse di stupro comunicate alla polizia da una pagina Instagram che nell’arco di una settimana aveva raccolto molte testimonianze di donne che dicevano di aver subìto violenze da lui. La procura generale egiziana ha iniziato delle indagini e il 6 luglio ha confermato per il ragazzo la detenzione cautelare di 15 giorni. È una storia interessante perché in Egitto le donne che denunciano violenze sono spesso ignorate o accusate di essere colpevoli delle aggressioni subite. La persecuzione di un giovane benestante con la fedina penale finora pulita, sulla base delle testimonianze di numerose donne, in Egitto è un fatto nuovo e inatteso.
La mattina del primo luglio scorso la pagina @assaultpolice ha pubblicato su Instagram il suo primo post: un breve testo in inglese che accusava di stupro Zaki, un ragazzo che ha frequentato le migliori scuole egiziane e appartiene all’élite del paese. Il post includeva anche una sua foto, e spiegava l’origine del progetto di raccolta di testimonianze. Nel 2018 una ragazza aveva raccontato in un gruppo Facebook legato all’università americana del Cairo (AUC, dall’inglese American University of Cairo), che all’epoca frequentavano sia lei che Zaki, che lei e delle sue amiche avevano subìto molestie sessuali da parte del ragazzo. Il testo del post diceva anche che Zaki affermò che si sarebbe suicidato se le ragazze non avessero smesso di accusarlo, e poi si era trasferito in Spagna per proseguire gli studi. Altre ragazze avevano commentato il post raccontando di aver subìto molestie e violenze sessuali da lui.
La pagina Instagram nata all’inizio del mese ha pubblicato diverse prove contro Zaki: per esempio un messaggio vocale in cui una voce (che la pagina sostiene essere quella di Zaki) minaccia di mostrare alla sorella dell’interlocutrice delle sue foto di nudo se non accetta di fare sesso con lui, e l’immagine di una chat dove una ragazza racconta di essere stata stuprata da Zaki che poi, sostenendo di avere filmato tutto, l’avrebbe minacciata di mostrare il video se non avesse accettato di rivederlo.
Il 2 luglio la pagina, che era già arrivata a 26mila followers, ha scritto di aver ricevuto più di 150 testimonianze e ha chiesto alle vittime di sporgere denuncia perché Zaki affrontasse le conseguenze legali delle sue azioni. Il post sottolineava che le testimonianze su Instagram, per quanto utili per suscitare consapevolezza pubblica della questione, erano inutili dal punto di vista legale.
– Leggi anche: In Egitto c’è troppa gente
La questione aveva in effetti acquistato velocemente molta visibilità nel paese, al punto che il 3 luglio Marwan Moussa, famoso rapper egiziano, aveva pubblicato un video sul suo account Instagram dove diceva di sostenere le donne che avevano sporto denuncia. Altri due famosi rapper egiziani hanno fatto qualcosa di simile nei due giorni successivi.
Il New York Times ha scritto che la pagina ha raccolto 93 accuse considerate credibili, sulla base delle quali il 4 luglio sono state aperte delle indagini e Zaki è stato arrestato mentre si trovava nella sua casa al Cairo. Le accuse più vecchie risalgono al 2016, quando Zaki frequentava la scuola privata AIS (American International School of Egypt); le più recenti vengono da compagne della scuola di business di Barcellona che Zaki frequenta attualmente, dalla quale è stato sospeso il primo luglio per via delle indagini in corso.
Il 6 luglio la procura generale egiziana ha comunicato che Zaki era accusato di aver cercato di stuprare tre donne, di cui una minorenne, e di aver molestato loro e numerose altre con messaggi non richiesti, violando la loro vita privata, e di averle minacciate per ottenere rapporti sessuali e perché non chiudessero i contatti con lui.
Un articolo del giornale egiziano indipendente Mada Masr ha fatto delle osservazioni giuridiche sui problemi che potrebbero nascere durante le indagini e il processo. Secondo il codice penale egiziano lo stupro è punibile con l’ergastolo e addirittura la pena di morte, se la vittima è minorenne. Ma per condannare qualcuno per stupro l’accusa deve fornire prove scientifiche, praticamente impossibili da ottenere nel caso di presunti stupri avvenuti anni fa. Inoltre la definizione giuridica di stupro in Egitto è molto ristretta (comprende solo la penetrazione vaginale), quindi alcune violenze che sarebbero catalogabili come stupro in altri paesi non vi rientrano.
Se l’accusa non sarà in grado di dimostrare lo stupro, potrà accusare Zaki di “atti indecenti”, per cui se condannato dovrebbe scontare fra tre e quindici anni di prigione.
Un altro problema è che la difesa ha accesso ai dati personali dei testimoni dell’accusa. La parlamentare egiziana Mona Monier nel 2017 sottolineò – in una lettera indirizzata al primo ministro egiziano e pubblicata sulla sua pagina Facebook – che questo elemento agisce da deterrente per molte delle vittime di abusi sessuali che vorrebbero denunciare i loro aggressori, ma temono che l’accusa potrebbe usare le loro informazioni personali per minacciarle o diffamarle, o addirittura che la polizia potrebbe far trapelare informazioni come l’indirizzo privato ai giornali e mettere in pericolo la loro vita o reputazione.
In risposta a questa lettera e alla generale mobilitazione dell’opinione pubblica, l’8 luglio scorso il governo egiziano ha approvato una modifica del codice di procedura penale che permette di tenere nascosti i dati personali delle persone che sporgono denuncia per crimini che hanno a che fare con «aggressioni indecenti e depravazione».
L’articolo sottolinea anche che durante il processo potrebbe emergere il problema che molti dei crimini di cui è accusato Zaki possono essere considerati già in prescrizione, quindi l’accusa ha parlato di tortura (per esempio perché Zaki avrebbe tenuto delle donne in un posto impedendo loro di andarsene senza alcuna giustificazione), che è un crimine che non va in prescrizione in Egitto. Ma il giudice ha margine di manovra e potrebbe decidere di non riconoscere le accuse di tortura e non condannare Zaki per molti altri capi d’accusa perché andati in prescrizione.
La società egiziana non è nota per reagire positivamente quando una donna accusa qualcuno di stupro. Il giornale indipendente Egyptian Streets sostiene che sia colpa della “cultura della purezza”, termine usato da Mona Eltahawy, femminista e attivista egiziana, che indica l’insistenza sul fatto che le donne debbano mantenere la propria verginità attraverso la modestia per raggiungere la purezza. Le donne egiziane sopportano quindi il «fardello della responsabilità della propria sicurezza dalla violenza sessuale». Questa mentalità diminuisce la responsabilità degli aggressori, perché ci si concentra sul fatto che la donna sia stata incapace di preservarsi.
Un esempio della cultura della purezza è un fatto avvenuto nel 2018: una donna pubblicò su Facebook il video di un uomo che le chiedeva di andare a prendere un caffè insieme e, al suo rifiuto, si scusava e se ne andava, allargando le braccia nel tipico gesto esasperato subito dopo essersi girato. La donna scrisse che si era sentita molestata da quest’uomo, spiegando che l’invito era arrivato dopo che lui le si era avvicinato in macchina e aveva cominciato a girarle intorno mentre lei aspettava l’autobus. Era entrata in un locale per allontanarsi da lui, che aveva parcheggiato la macchina e le si era avvicinato a piedi, quindi lei aveva cominciato a riprenderlo col telefono.
La donna fu criticata moltissimo su Facebook, anche da persone che non conosceva e che non la conoscevano, e addirittura la sezione egiziana delle catene di caffetteria Dunkin’ Donuts riprese in un suo cartellone pubblicitario la frase “Teegy Neshrab Coffee?” (“beviamo un caffè?” in egiziano), usata dall’uomo del video per approcciare la donna e diventata simbolo della storia, sminuendo il problema e partecipando alla ridicolizzazione della donna.
Il New York Times ha citato un altro esempio della pressione che subiscono le donne egiziane per non essere “provocanti”: da aprile sette ragazze egiziane sono state detenute per aver pubblicato su TikTok, un social dove si producono e condividono video musicali e di ballo.
– Leggi anche: La repressione dei medici in Egitto durante il coronavirus
Un articolo pubblicato sul sito della Cairo Review of Global Affairs, una rivista legata proprio alla AUC, la scuola privata frequentata da Zaki, ha analizzato l’evoluzione delle condizioni delle donne in Egitto negli ultimi decenni. Ricorda che all’epoca del governo autoritario ma laico di Hosni Mubarak la first lady Suzanne Mubarak fece progredire la legislazione verso l’equità fra uomini e donne, nel contesto dell’occidentalizzazione del paese imposta da Mubarak.
Il problema di queste leggi, secondo l’articolo, è che furono imposte dall’alto, senza essere accompagnate da una sensibilizzazione popolare. E quindi, anche se il paese aveva leggi relativamente progressiste, appena cadde il regime furono quasi tutte eliminate dal governo dei Fratelli Musulmani che prese presto una svolta autoritaria. Quando anche questo governo cadde nel 2013 e fu sostituito da quello di Abdel Fattah al Sisi, la lotta per i diritti delle donne riacquistò di visibilità. Dal 2013 a oggi la situazione è un po’ migliorata, principalmente dal punto di vista della presenza delle donne nella politica (dopo le elezioni parlamentari del 2015 quasi il 15 per cento dei parlamentari erano donne, dopo essere stata a lungo sotto il 5 per cento) e delle leggi sulla famiglia.
L’articolo sottolinea da un lato l’importanza che queste nuove leggi siano accompagnate dallo sviluppo della consapevolezza popolare, dall’altro la necessità di sviluppare il femminismo egiziano, che si concentra sui bisogni e la mentalità locali, invece di imporre i linguaggi e le lotte del movimento femminista occidentale. La denuncia di Zaki è stata considerata fin qui un passo avanti per la condizione delle donne egiziane, perché soddisfa entrambe queste condizioni: nasce da una mobilitazione sia dal basso che locale, invece di essere un provvedimento scritto solo nel codice legislativo e distante dalle realtà dei vari territori del paese, come avveniva spesso all’epoca di Mubarak.