In Slovenia i casi di contagio sono tornati a salire
A marzo le misure restrittive introdotte dal governo sloveno avevano permesso di contenere l’epidemia da coronavirus, ma nell’ultimo mese la situazione è peggiorata
di Allegra Carboni
Nonostante a metà maggio la Slovenia fosse stato il primo paese europeo a dichiarare la fine dell’epidemia da coronavirus, negli ultimi giorni nel paese sono tornati ad aumentare i contagi e il governo ha reintrodotto alcune norme restrittive. Il 3 luglio, per esempio, sono stati rilevati 30 nuovi casi positivi, l’incremento più alto da metà aprile, e in generale nell’ultimo mese si è registrato un aumento di 300 nuovi casi di contagio, una cifra alta per un paese piccolo come la Slovenia, con circa 2 milioni di abitanti.
Il governo ha limitato nuovamente gli assembramenti, portando il numero massimo di persone consentite negli incontri di gruppo da 50 a 10, e ha reso di nuovo obbligatorio l’utilizzo delle mascherine all’interno dei locali pubblici e sui mezzi di trasporto. Negli ultimi giorni si è discusso molto dell’introduzione di un’app simile all’italiana Immuni che permetta di tracciare i casi di contagio da coronavirus, con preoccupazioni per la tutela della privacy.
Finora in Slovenia sono stati rilevati oltre 1.800 casi positivi e 111 persone sono morte per cause riconducibili alla COVID-19. La presenza del coronavirus era stata rilevata per la prima volta a inizio marzo: un uomo di ritorno dal Marocco era passato per l’Italia e aveva poi mostrato sintomi compatibili con la malattia. Nelle settimane successive il governo guidato da Janez Janša – politico conservatore molto vicino a Viktor Orbán e primo ministro sloveno per la terza volta dal 13 marzo 2020 a seguito delle dimissioni di Marjan Šarec – aveva introdotto misure restrittive che si sarebbero poi rivelate piuttosto efficaci nel contrastare la diffusione del virus.
In proporzione il numero di tamponi effettuati dalla Slovenia è basso rispetto ad altri paesi europei, sia per la minore capacità di analisi dei test nei laboratori, sia perché le richieste sono state più contenute: in generale quindi non sono state segnalate particolari difficoltà nell’ottenere un tampone quando risultava necessario.
Come ha spiegato un articolo di Vox, a maggio la risposta tempestiva all’emergenza aveva permesso di contenere il contagio in Slovenia, con pochi casi registrati. Il risultato era notevole, se si considera la vicinanza del paese con l’Italia, ed era stato reso possibile non solo dal lockdown e dalle misure di quarantena imposte dal governo, ma anche da un finanziamento di 3 miliardi di euro (pari al 6 per cento del prodotto interno lordo sloveno) destinato alle aziende e ai lavoratori più colpiti dalla crisi economica dovuta all’epidemia. I lavoratori nel mondo dello spettacolo e nel settore del turismo, per esempio, hanno ricevuto in questi mesi un sussidio fisso di 700 euro al mese e hanno ottenuto la sospensione temporanea dei versamenti delle tasse.
In Slovenia il lockdown era iniziato il 14 marzo ed era durato otto settimane. Le misure imponevano di evitare gli spostamenti non motivati al di fuori del proprio comune di residenza, la chiusura delle attività commerciali e delle scuole (quella primaria ha poi riaperto il 18 maggio), la sospensione dei trasporti pubblici e l’obbligo di indossare mascherine protettive e guanti nei supermercati. Il governo aveva invece incoraggiato le passeggiate, evitando gli assembramenti, e aveva più volte sottolineato l’importanza di svolgere attività fisica e di trascorrere del tempo all’aria aperta, soprattutto per i bambini.
Tra le iniziative adottate contro la crisi sanitaria era stato istituito un servizio di assistenza telefonica per rispondere alle domande dei cittadini sul coronavirus, e per dare sostegno psicologico alle persone preoccupate. Le chiamate venivano gestite da 66 studenti di medicina dell’Università di Lubiana, che avessero già superato almeno un esame di malattie infettive, e che prima di iniziare a lavorare al call center avessero seguito un breve corso intensivo incentrato sulla trasmissione del coronavirus, sui sintomi legati alla COVID-19 e sulle misure di prevenzione in vigore nel paese. Il servizio è rimasto attivo dal 9 marzo all’11 giugno, periodo in cui gli studenti hanno risposto a circa 50 mila chiamate.
Dopo mesi in cui la situazione appariva relativamente sotto controllo, il 6 luglio l’agenzia di stampa slovena STA ha riportato la notizia di un nuovo focolaio in una casa di riposo a Vipacco, un piccolo paese a pochi chilometri dal confine con l’Italia: 9 residenti e 7 dipendenti del centro per anziani Pristan sono risultati positivi al coronavirus, su un totale di 108 residenti e 45 dipendenti, tutti sottoposti a un primo tampone. Nel corso delle conferenze stampa successive il governo non ha spiegato l’origine del primo contagio all’interno del centro né come si fosse generato il focolaio. Alcuni malati sono stati trasferiti all’ospedale di Lubiana, ma per nessuna persona si è reso necessario il ricovero in terapia intensiva.
Durante il lockdown, quando il divieto di assembramento era ancora in vigore, in molti hanno iniziato a protestare, a piedi o in bicicletta, contro le misure imposte dal governo di Janša per contenere la diffusione del coronavirus, giudicate eccessive rispetto al numero dei contagi rilevati in Slovenia.
A metà aprile, inoltre, in una trasmissione andata in onda sul primo canale televisivo sloveno è stata presentata un’inchiesta giornalistica sull’acquisto di ventilatori polmonari che riguardava in particolar modo il ministro dell’Economia, di cui poi sono stati perquisiti l’appartamento e l’ufficio nella sede del governo. L’indagine, tuttora in corso, ha portato alle dimissioni del ministro dell’Interno e del capo della polizia, mentre molte persone a inizio maggio si sono radunate nel centro di Lubiana ogni venerdì sera per denunciare la svolta autoritaria che il paese sta vivendo da quando Janša è tornato al potere. Il 15 maggio, per esempio, più di 5 mila ciclisti hanno pedalato attorno agli edifici governativi protestando per i rischi di eccessive concentrazioni di potere da parte di Janša. Le proteste continuano ancora oggi.
Questo e gli altri articoli della sezione Il coronavirus in 26 paesi del mondo sono un progetto del workshop di giornalismo 2020 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.