Le violenze contro le prostitute in Kenya a causa del coronavirus
Sono accusate di diffondere la malattia e non ricevono aiuti dal governo in un momento in cui il loro lavoro è molto difficile
di Andrea Marinucci
«Le ragazze sono molto spaventate, sappiamo che escono con i clienti e poi viene ritrovato il loro corpo» ha raccontato all’agenzia di stampa Reuters Peninah Mwangi, direttrice di un programma che tutela i diritti delle prostitute in Kenya, il Bar Hostess Empowerment and Support Programme. Le prostitute sono state duramente colpite dal lockdown imposto dal governo keniano per contrastare il diffondersi del coronavirus – terminato il 6 luglio – e dal coprifuoco dalle 21 alle 4 del mattino, che terminerà il 5 agosto.
La chiusura dei bordelli ha costretto le prostitute a lavorare da sole nelle loro case o in quelle dei clienti, cosa che ha aumentato il rischio di ammalarsi e di venire aggredite o uccise. La Kenya Sex Workers Alliance (KESWA), un’altra importante associazione che si occupa dei diritti delle prostitute, ha denunciato l’omicidio di sei donne dall’inizio del coprifuoco.
Già molto stigmatizzate dalla società, le prostitute hanno subìto violenze da parte dei clienti, dei vicini di casa e della polizia, che le accusano di diffondere il contagio. Sempre dall’inizio del lockdown, KESWA ha contato 80 episodi di maltrattamento, mentre prima dell’arrivo della pandemia erano una media di 25 al mese. Alcuni attivisti hanno accusato la polizia di perseguitarle con particolare durezza per dimostrare il proprio impegno nel far rispettare le misure di contenimento. Il governo non ha disposto fondi o pacchetti di aiuto per le prostitute. La direttrice di KESWA, Philester Abdalla, ha raccontato che «siamo così disperate che non riusciamo a rispettare le misure. Abbiamo figli che hanno bisogno di cibo e padroni di casa che chiedono l’affitto».
Inoltre a causa del lockdown molte prostitute non sono più in grado di raggiungere le cliniche sanitarie, o di ricevere preservativi e farmaci antiretrovirali contro l’HIV, che è molto diffuso in Kenya. Secondo dati di UNAIDS, un programma internazionale delle Nazioni Unite che si occupa di informazione, prevenzione e cura dell’AIDS, nel 2018 le persone infette da HIV in Kenya erano circa 1,6 milioni e più del 65 per cento erano donne. Le prostitute hanno 13 volte più probabilità di infettarsi rispetto al resto della popolazione.
I farmaci antiretrovirali servono a ridurre la carica dell’HIV nel sangue e a non compromettere il sistema immunitario: smettere di prenderli indebolisce le persone infette da HIV e rischia di peggiorare la loro condizione se vengono contagiate dal coronavirus. UNAIDS ha anche detto che, nei prossimi due mesi, milioni di persone in Africa potrebbero restare senza farmaci contro l’HIV a causa delle misure contro il coronavirus, che potrebbero rallentarne la produzione e la distribuzione.
KESWA, UNAIDS e molte altre associazioni hanno spiegato che per contenere la pandemia è necessario occuparsi anche delle prostitute, fornendo loro aiuti alimentari e facilitando l’accesso a programmi di protezione sociale. Le due associazioni stanno facendo molte campagne di informazione e prevenzione in cui spiegano alle donne come proteggersi dalle infezioni, invitandole a lavarsi spesso le mani e a seguire alcuni accorgimenti durante le pratiche sessuali, tra cui evitare i baci e le posizioni faccia a faccia. KESWA sta monitorando il loro stato di salute attraverso un sondaggio online e ha aperto una raccolta fondi, sempre online, per raccogliere mascherine, gel igienizzanti, assorbenti e soprattutto cibo da distribuire alle prostitute.
Questo e gli altri articoli della sezione Il coronavirus in 26 paesi del mondo sono un progetto del workshop di giornalismo 2020 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.