La città divisa dal coronavirus
A Baarle-Hertog-Nassau, che è attraversata dal confine belga-olandese, la convivenza è stata complicata dalle differenti misure contro la pandemia nei due paesi
di Benedetta Bavieri
A Baarle-Hertog-Nassau c’è un negozio di abbigliamento che durante la pandemia da coronavirus è rimasto per metà chiuso e per metà aperto. Il suolo che occupa è infatti attraversato dalla linea di confine tra Belgio e Paesi Bassi, una divisione che fino a quel momento non aveva comportato problemi né al proprietario né ai clienti.
Le cose si sono complicate con l’inizio del lockdown e con la decisione dei due paesi di instaurare misure di contenimento del coronavirus diverse: mentre nei Paesi Bassi tutti i negozi potevano rimanere aperti, seguendo le norme di sanificazione e assicurando la distanza di un metro e mezzo tra i clienti, il Belgio aveva invece adottato misure più simili a quelle dell’Italia, imponendo la chiusura degli esercizi commerciali non essenziali. Chi entrava nel negozio poteva quindi comprare i vestiti per bambini perché si trovavano nella parte olandese ma non quelli da uomo, perché erano in vendita nella parte belga del negozio. L’episodio è stato raccontato da diversi giornali nazionali e internazionali, e il negozio di Baarle-Hertog-Nassau è diventato il simbolo di una situazione frontaliera complessa e particolare.
La parte belga della città, Baarle-Hertog, è un insieme di 22 enclavi che si trovano in territorio olandese ma che fanno parte delle Fiandre, la regione del Belgio dove si parla fiammingo. Baarle-Nassau è invece la municipalità olandese che circonda le suddette enclavi belghe. Un elemento di complessità ulteriore è che fanno parte di Baarle-Nassau 8 ulteriori enclavi olandesi, interne ad alcune delle 22 enclavi belghe. Un’enclave è una parte di territorio appartenente a uno stato circondata completamente dal territorio di un altro stato. Lo sono per esempio Campione d’Italia, territorio italiano in Svizzera, San Marino e il Vaticano, circondate da territorio italiano.
La complessità politica e amministrativa di Baarle-Hertog-Nassau risale al Medioevo e ai conflitti territoriali fra due famiglie aristocratiche locali: i territori che ora fanno parte di Baarle-Hertog, la parte belga, erano al tempo sotto il Ducato di Brabante, mentre a Baarle-Nassau comandavano le casate di Breda e poi di Nassau. Nel 1831 il Belgio ottenne l’indipendenza dai Paesi Bassi e la maggior parte dei piccoli pezzi di terreno che storicamente appartenevano al Ducato rimasero sotto il suo controllo, pur trovandosi geograficamente in territorio olandese. La questione fu risolta definitivamente solo nel 1995: da quel momento l’intera città è attraversata in più punti dal confine fra i due stati, segnalato da una serie di croci disegnate per terra con una B da una parte e la sigla NL dall’altra.
Normalmente questa divisione non è percepita in maniera forte dagli abitanti della città e riguarda solo alcuni aspetti burocratici della vita di tutti i giorni, come gli orari di apertura di alcuni negozi o le norme edilizie. La pandemia da coronavirus ha però accentuato la separazione, perché i due sindaci della città hanno dovuto far coesistere sullo stesso territorio disposizioni nazionali molto diverse fra loro.
Il Belgio è stata una delle nazioni europee più colpite dal virus, soprattutto in termini di tasso di mortalità in rapporto alla popolazione: anche per questo fin da marzo aveva adottato misure molto rigide, che comportavano multe per chi fosse uscito di casa senza motivo. La situazione nei Paesi Bassi è stata gestita in modo diverso: il governo ha invitato la popolazione a stare a casa il più possibile, ma ha comunque permesso a molti servizi e negozi di restare aperti a patto di rispettare norme igieniche ferree e mantenere sempre una distanza tra le persone di un metro e mezzo. Questa differenza normativa ha generato molta confusione anche quando si doveva oltrepassare il confine tra uno stato e l’altro, cosa che normalmente succede più volte al giorno, e sull’uso delle mascherine sui mezzi pubblici, che dopo il 4 maggio sono rimaste obbligatorie solo in Belgio.
«Speravamo che i Paesi Bassi avrebbero seguito la nostra stessa linea, o che almeno lo avrebbero fatto in questa città divisa a metà», ha raccontato al New York Times il sindaco di Baarle-Hertog, Frans de Bont. Ma così non è stato e la mancanza di coordinazione è ricaduta sugli abitanti. Sylvia Reybroek, che aveva chiuso per scrupolo la sua galleria d’arte nella parte olandese perché registrata in Belgio, è per esempio convinta che «in Europa debba esserci la stessa legge». Al di là di queste recenti difficoltà, la convivenza a Baarle-Hertog-Nassau è sempre stata vista dagli abitanti come una ricchezza, come riassume il capo dell’ufficio del turismo locale Willem Van Gool: «Questo è ciò che rende la nostra città così interessante. (…) Siamo un esempio per l’Europa, qui a Baarle si trova sempre un modo per andare avanti».
Questo e gli altri articoli della sezione Il coronavirus in 26 paesi del mondo sono un progetto del workshop di giornalismo 2020 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.