La riconversione di Santa Sofia, spiegata
Dietro al ritorno a moschea della basilica di Istanbul ci sono ragioni vecchie e altre più recenti: tutte, ovviamente, riguardano i piani di Erdoğan
Venerdì il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha firmato un decreto che ordina la riconversione della basilica di Santa Sofia di Istanbul in una moschea. Con il decreto, Erdoğan ha trasferito il controllo della basilica – sito patrimonio dell’umanità per l’Unesco – al Direttorato degli Affari religiosi turco. La firma è arrivata poco dopo l’annuncio che il Consiglio di Stato, il più alto tribunale amministrativo della Turchia, aveva stabilito l’illegittimità della decisione con cui nel 1934 il primo presidente turco Mustafa Kemal Atatürk aveva trasformato in museo Santa Sofia, che all’epoca era una moschea.
È una questione importante e altamente simbolica, che racconta delle cose sul momento che sta attraversando Erdoğan e che allo stesso tempo si inserisce in un contesto assai più ampio: il lungo percorso con cui il presidente ha progressivamente rimesso la religione al centro della vita pubblica della Turchia, un paese a maggioranza islamica che per quasi un secolo era stato conosciuto per la sua laicità.
Da tempo Erdoğan si diceva favorevole alla riconversione di Santa Sofia. Secondo i suoi oppositori politici è un tema che tirava fuori ogni volta che si trovava in difficoltà, e ultimamente aveva orientato il dibattito nazionale (e non solo, visto il valore culturale internazionale della basilica) sulla riconversione per distogliere l’attenzione dal calo di consensi del suo partito e dalla crisi economica che la Turchia sta attraversando. La discussione su Santa Sofia fa presa sulla parte più conservatrice e religiosa della società turca, ma anche su chi ha sentimenti nazionalisti, alimentando la rivalità nei confronti della Grecia e degli altri paesi occidentali.
Già l’anno scorso, infatti, Erdoğan aveva detto che la riconversione di Santa Sofia in moschea avrebbe rappresentato una risposta alla decisione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale d’Israele.
Poi a fine maggio, in occasione del 567esimo anniversario della conquista di Costantinopoli (l’antico nome di Istanbul) da parte dei turchi, Erdoğan partecipò in diretta streaming a una cerimonia di commemorazione organizzata a Santa Sofia in cui, per la prima volta in più di 80 anni, un imam recitò versi del Corano all’interno della basilica. Questo provocò una reazione da parte della Grecia, paese con cui la Turchia ha una antica rivalità che ha le sue origini proprio nella conquista di Costantinopoli. Il ministro degli Esteri greco Nikos Dendias definì la lettura del Corano dentro Santa Sofia «inaccettabile», e una violazione dello status di patrimonio dell’umanità della basilica.
In reazione alle proteste della Grecia, che ci sono nuovamente state negli ultimi giorni, Erdoğan ha accusato il paese di voler interferire con gli affari interni della Turchia: «Siete voi che amministrate la Turchia o no? La Turchia ha le sue istituzioni».
Analisti ed esperti hanno definito talvolta “ottomanismo” il progetto di Erdoğan di recuperare la tradizione e la cultura dell’Impero Ottomano, durato dal Trecento all’inizio del Novecento, e il cui sultano Maometto II conquistò Costantinopoli nel 1453, rendendola la capitale. Quest’operazione è servita ad Erdoğan ad aumentare il nazionalismo nel paese, dandogli però un’impronta nettamente religiosa.
Atatürk fu il presidente che riformò il paese in senso laico dopo la fine dell’Impero Ottomano, e per tutto il Novecento era stato considerato il padre fondatore della Turchia. Ma la sua eredità è stata fortemente messa in discussione dall’attuale classe dirigente del paese e dallo stesso Erdoğan, che sul suo conto ha espresso opinioni spesso ambigue alimentando il risentimento serbato per decenni dai turchi più conservatori. Molte azioni di governo di Erdoğan, dal divieto di vendita di alcolici vicino alle moschee o la cancellazione del divieto del velo nelle università, sono servite a rendere il paese meno laico un pezzetto alla volta.
Selim Koru, un membro del think tank turco Tepav, ha detto all’Economist che la riconversione di Santa Sofia in moschea sarà considerata dai sostenitori di Erdoğan come il culmine della trasformazione della Turchia realizzata dal presidente nei suoi anni di governo. Secondo l’AKP il periodo storico iniziato negli anni Venti con la laicizzazione della Turchia voluta da Atatürk è stato solo una parentesi. «Riconvertire Santa Sofia segnerà la chiusura di questa parentesi», ha spiegato Koru.
Soner Cagaptay del Washington Institute, un altro think tank, la vede in modo simile: «Atatürk rese Santa Sofia un museo per ribadire il suo impegno per il secolarismo, portando la religione fuori dallo spazio pubblico. Erdoğan sta facendo più o meno il contrario». Ovviamente si tratta di un processo più ampio, che non riguarda solo Santa Sofia, e che è stata un’operazione che Erdoğan porta avanti da quasi vent’anni. Tra l’altro in Turchia ci sono altre quattro basiliche di Santa Sofia, che un tempo erano chiese e che erano state trasformate in musei: negli ultimi dieci anni sono tutte state riconvertite in moschee, su richiesta della stessa associazione che ha chiesto la riconversione della Santa Sofia di Istanbul.
Erdoğan è alla guida della Turchia, prima come primo ministro e poi come presidente, da 18 anni, e nonostante alle ultime elezioni presidenziali abbia ottenuto un nuovo mandato fino al 2023, ultimamente le cose non gli stanno andando benissimo. L’anno scorso il suo Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) ha perso – per due volte, dopo che le elezioni contestate dallo stesso presidente erano state ripetute – alle amministrative di Istanbul, città dove Erdoğan è nato e di cui peraltro fu sindaco negli anni Novanta.
Riconvertire Santa Sofia in moschea è considerato dagli oppositori del presidente come una mossa per riprendere il controllo, anche solo simbolicamente, della propria città. L’ex ministro della Cultura e del Turismo Ertuğrul Günay, che era stato al governo quando Erdoğan era primo ministro, ha detto in un’intervista televisiva che il presidente sta facendo sì che si parli di Santa Sofia per mostrare di essere ancora padrone di Istanbul nonostante la sconfitta elettorale.
L’amministrazione di Istanbul comunque non è l’unico problema di Erdoğan. Nell’ultimo anno i consensi dell’AKP hanno continuato a calare e nel frattempo l’epidemia di COVID-19 ha danneggiato l’economia turca, che già era in crisi. Di recente ex membri dell’AKP hanno fondato nuovi partiti politici, minacciando di togliere consensi al partito del presidente tra i conservatori religiosi, che ne sono la base. Anche da questo punto di vista la riconversione di Santa Sofia sarebbe una mossa per riguadagnare consensi. Tra gli oppositori di Erdoğan c’è anche chi pensa che sia stata pensata in vista di elezioni anticipate.
Secondo l’Economist questo progetto spiegherebbe anche l’aumento delle misure repressive contro l’opposizione e la stampa avvenuto durante i mesi dell’epidemia. Tre parlamentari dell’opposizione e due giornalisti sono stati arrestati di recente con l’accusa di spionaggio e terrorismo; quattro attivisti per i diritti umani, tra cui due di Amnesty International, sono stati condannati con sentenze da due a sei anni di carcere. Nello stesso periodo a due canali televisivi sono state impedite temporaneamente le trasmissioni e un’università legata a uno dei rivali politici di Erdoğan è stata chiusa.
Non è chiaro come sarà il futuro di Santa Sofia, ma il portavoce di Erdoğan Ibrahim Kalin ha detto che continuerà a essere accessibile ai turisti, come altre moschee e come tante chiese di tutto il mondo. Quello che ancora non si sa è cosa succederà ai mosaici che mostrano figure religiose cristiane e imperatori bizantini – compresa l’imperatrice Zoe Porfirogenita, una delle quattro donne che regnarono su Costantinopoli – e che nel periodo in cui Santa Sofia fu una moschea erano stati coperti.