Ci sono forti proteste in Serbia
Il presidente Vučić è accusato di aver sottostimato i dati dell'epidemia per fini elettorali, sospendendo il lockdown per votare prima di imporlo di nuovo
Da martedì in Serbia vanno avanti manifestazioni e proteste contro il presidente Aleksandar Vučić e la sua gestione dell’epidemia da coronavirus, nate dopo il controverso annuncio di un nuovo breve lockdown per il weekend. Le proteste, le prime di queste dimensioni in Europa dall’inizio della pandemia, non riguardavano però l’imposizione del nuovo lockdown, ma piuttosto il fatto che sia stata decisa dopo un allentamento delle restrizioni giudicato troppo drastico e prematuro, che aveva provocato un notevole aumento dei contagi.
Le proteste sono indirizzate esplicitamente contro Vučić, che è stato eletto presidente nel 2017 dopo tre anni da primo ministro, ed è accusato di governare in modo autoritario, di aver diffuso dati che sottostimavano il numero di morti e di contagi e di aver incautamente fatto uscire il paese dal lockdown per motivi elettorali. La polizia ha represso violentemente le proteste, è stata ripresa mentre picchiava manifestanti pacifici ed è stata denunciata da diverse ong. Sono stati malmenati dalla polizia anche diversi giornalisti. Quelli della rete pubblica RTS, accusata estesamente di essere controllata da Vučić, sono stati aggrediti invece dai manifestanti.
Ovo je jezivo. pic.twitter.com/5NsJgZVl60
— Žaritmije (@neinspirativan) July 8, 2020
La Serbia aveva registrato i primi casi di coronavirus a inizio marzo, e le prime restrizioni, come la chiusura dei confini e delle scuole, furono decise intorno alla metà del mese. Nel giro di pochi giorni Vučić impose un rigido coprifuoco, e il divieto di uscire di casa alle persone sopra ai 65 anni. Il 21 marzo, poi, le misure restrittive furono ulteriormente irrigidite, rendendo la Serbia uno dei paesi con il lockdown più severo: il coprifuoco fu anticipato alle cinque di pomeriggio, i trasporti pubblici sospesi, i negozi non essenziali chiusi e tutti gli assembramenti vietati.
Il numero di morti del bilancio ufficiale, in realtà, era bassissimo: quando fu deciso l’ultimo giro di restrizioni, erano soltanto tre. A oggi, la Serbia dice di aver registrato 20mila casi e 350 morti, un bilancio assai più lieve rispetto a quello di altri paesi europei. Il lockdown serbo andò avanti per poco più di un mese: a partire da inizio maggio, Vučić decise di allentare drasticamente le misure, togliendo il coprifuoco, riaprendo i centri commerciali, i negozi, i bar e i locali notturni.
A partire da inizio giugno sono ripresi perfino gli eventi sportivi con il pubblico: 25mila persone hanno partecipato al derby tra il Partizan e la Stella Rossa, le due squadre di calcio della capitale Belgrado. Il tennista Novak Djokovic aveva organizzato un torneo benefico itinerante, senza distanziamento e misure di sicurezza: l’evento era poi stato cancellato quando uno dei tennisti partecipanti aveva annunciato di essere positivo al coronavirus. Nel frattempo diversi altri erano stati contagiati, si è scoperto in seguito: tra loro anche lo stesso Djokovic.
E soprattutto, il 21 giugno si sono tenute le elezioni parlamentari, che erano inizialmente previste per aprile. Il partito di Vučić, il Partito Progressista Serbo, di orientamento conservatore, era favorito e ha stravinto, aiutato anche dal boicottaggio dei principali partiti di opposizione, secondo i quali non c’erano le condizioni per tenere le elezioni in sicurezza. L’affluenza è stata sotto al 50 per cento, la più bassa dal 1990, cioè da quando esiste un sistema multipartitico.
Ora però i critici di Vučić lo accusano di aver usato il lockdown per fini politici, allentandolo appositamente per poter tenere le elezioni alle quali il suo partito era favorito. Durante le settimane precedenti al voto, i dati diffusi dalle autorità descrivevano una situazione di contagio limitato e sotto controllo. Ma subito dopo le elezioni il Balkan Investigative Reporting Network ha pubblicato un’inchiesta che accusava il governo di aver sottostimato i dati sull’epidemia, sostenendo che i morti reali fossero stati circa il doppio rispetto a quelli comunicati.
Tra il 17 e il 20 giugno, nei giorni immediatamente precedenti al voto, secondo l’inchiesta i nuovi contagi giornalieri sono stati circa 300, mentre il numero massimo comunicato dal governo era stato di 97. Dopo il voto, diverse città serbe hanno annunciato nuovamente lo stato di emergenza.