Perché si riparla delle concessioni balneari
Un emendamento voluto da Forza Italia e approvato anche con i voti della maggioranza ne rafforza la proroga, ed è stato molto criticato da Carlo Calenda
Nell’ultima settimana si è tornati a discutere delle concessioni degli stabilimenti balneari, cioè i permessi che i gestori degli stabilimenti ottengono dallo Stato per poter occupare porzioni di spiaggia e sfruttarle dal punto di vista economico e commerciale.
La discussione è ricominciata dopo l’approvazione di un emendamento al “decreto rilancio” che ha rafforzato la proroga al 2033 della messa a gara delle concessioni e che ha ricevuto molte critiche, specialmente dal leader di Azione Carlo Calenda. Le concessioni degli stabilimenti balneari sono infatti ritenute particolarmente sfavorevoli per lo Stato e nonostante le leggi europee dal 2006 ne imporrebbero la messa a gara, in Italia sono state prorogate per anni alle stesse famiglie e aziende, senza la possibilità di ridiscuterne i canoni.
Il dibattito sulle concessioni, in breve
Gli stabilimenti balneari occupano spiagge e tratti di costa che sono parte del demanio pubblico: una proprietà dello Stato che non può essere venduta ma soltanto data in concessione, cioè in affitto. Non si conosce con certezza il numero di imprese balneari italiane e il numero di addetti che ci lavorano, ma i dati diffusi dalle stesse associazioni di categoria parlano di 30 mila imprese e circa 100 mila addetti. Da decenni le concessioni sono date dallo Stato in cambio di canoni molto bassi se non simbolici (pochi euro al metro quadro) e vengono di fatto rinnovate automaticamente quando scadono, a condizioni che variano di poco, a prescindere dalla qualità del servizio offerto ai cittadini. Questo sistema disfunzionale è stato spesso criticato ma i tentativi di riformarlo sono tutti falliti, a causa dell’opposizione di quasi tutti i partiti presenti in Parlamento.
Nel 2006, con l’approvazione della “direttiva Bolkestein” da parte della Commissione Europea, questa situazione sarebbe dovuta cambiare. La direttiva, che aveva lo scopo di rendere più equo il mercato dell’Unione Europea, stabiliva tra le altre cose che servizi e concessioni pubbliche dovessero essere affidati ai privati tramite gare con regole equilibrate e pubblicità internazionale, così da ottenere per lo Stato maggiori guadagni e per i cittadini migliori servizi, senza creare rendite di posizione. Uno degli effetti della direttiva sarebbe quindi stato la messa a gara delle concessioni demaniali.
Da quando è stata approvata la “direttiva Bolkestein”, tuttavia, l’Italia ha sempre trovato dei modi per non applicarla, sostenendo che i suoi effetti fossero troppo ampi e che nel caso delle concessioni balneari avrebbero danneggiato ingiustamente molte imprese, favorendo grandi gruppi internazionali a scapito di piccole aziende a gestione familiare. Dopo che per anni gli effetti della direttiva erano stati prorogati a breve termine, nel 2018 era stata decisa una proroga di 15 anni, fino al 2033, con la motivazione di dare maggiore stabilità e sicurezza alle imprese del settore.
Il nuovo emendamento
Secondo le associazioni di categoria degli stabilimenti balneari, la proroga approvata nel 2018 non era abbastanza, perché lasciava ancora alcune possibilità alle amministrazioni locali di rimettere a gara le concessioni, togliendole a chi le aveva, ed era in parte stata disattesa. Anche per questa ragione, e con la motivazione della crisi economica provocata dal lockdown, la deputata di Forza Italia Deborah Bergamini ha proposto un emendamento al “decreto rilancio” che ha rafforzato i termini della proroga al 2033. L’emendamento, sostenuto dal Sindacato Italiano Balneari, riguarda questioni un po’ specifiche della gestione delle concessioni, ma di fatto sancisce che per i prossimi 13 anni lo Stato non potrà fare gare o riassegnare le concessioni e che i canoni di affitto dovranno rimanere quelli attuali.
L’emendamento è stato approvato anche con i voti della maggioranza dalla commissione Bilancio della Camera il 7 luglio e diventerà effettivo quando il “decreto rilancio” sarà convertito in legge dal Parlamento, cosa che dovrà avvenire entro il 18 luglio. È di fatto escluso che venga modificato, perché il governo metterà probabilmente la fiducia sulla conversione in legge del decreto.
Cosa dice Calenda
Carlo Calenda, con un video pubblicato su Twitter, il 5 luglio, ha molto criticato l’approvazione dell’emendamento, sostenendo che abbia «rimandato le gare per le concessioni degli stabilimenti balneari fino al 2033» e che le attuali regole siano molto sfavorevoli per lo Stato. Calenda ha detto che da tutte le concessioni balneari lo Stato riceve circa 100 milioni di euro all’anno, e ha fatto alcuni esempi che secondo lui dimostrano la sproporzione tra i canoni pagati allo stato e i guadagni degli stabilimenti balneari.
«Lo stabilimento più vip di Capalbio», ha detto, «paga 4.500 euro l’anno di canone. Credo che un ombrellone per la stagione ne costi 3.000, quindi più o meno con un ombrellone si rifà di tutto il costo della concessione annuale». In un altro messaggio su Twitter indirizzato a Bergamini ha scritto: «Vorrei sapere se ti sembra normale che il Twinga (4 mil fatturato) paghi 17.000 euro l’anno, il Papeete (3 milioni fatturato) 10.000».
Sugli stabilimenti balneari e i “riformisti” che non vogliono mai riformare. pic.twitter.com/N0JaZEULql
— Carlo Calenda (@CarloCalenda) July 5, 2020
Cosa dice Bergamini
Deborah Bergamini ha risposto a Calenda con un video pubblicato su Facebook, in cui si è detta contraria alla messa a gara delle concessioni, dicendo che serve un «aumento del rispetto» per le piccole aziende italiane e «in particolare per quelle della balneazione, che da molti anni vivono nella totale incertezza legata alla non chiarezza sulla durata delle concessioni». Nel video, Bergamini ha anche esposto una delle argomentazioni che si sentono più spesso da parte di chi critica la messa all’asta delle concessioni balneari: ovvero che favorirebbero i grandi gruppi danneggiando le piccole imprese. Le aste, ha detto Bergamini, rischierebbero di «rendere le nostre coste una ghiotta opportunità per tante multinazionali anche straniere, a chi non piacerebbe una concessione sulla costiera amalfitana, in Versilia, sulla costa ligure».
Bergamini ha tuttavia detto di essere d’accordo con Calenda sul fatto che nella situazione attuale le concessioni fruttino allo Stato molto meno di quello che potrebbero e ha detto di essere favorevole a una nuova legge che riordini il sistema.
Le critiche della Ragioneria di Stato
L’emendamento proposto da Bergamini, oltre che da Calenda e altri politici, è stato criticato anche dalla Ragioneria Generale dello Stato, un dipartimento del ministero delle Finanze che tra le altre cose vigila sulle finanze pubbliche e può esprimere pareri su leggi e iniziative che hanno un costo per lo Stato. Repubblica scrive che, in una lettera inviata al ministero, la Ragioneria ha fatto presente i conflitti dell’emendamento con le regole europee e ha detto che le nuove regole «sono suscettibili di determinare oneri in termini di minori entrate e comunque criticità applicative». La Ragioneria dello Stato, dice Repubblica, ha chiesto la cancellazione dell’emendamento, che è invece stato corretto in alcune sue parti marginali.