Breve storia delle maniglie

Cioè oggetti che usiamo tutti i giorni senza pensarci, e che di questi tempi non sono particolarmente popolari

(dal film “Alice nel paese delle meraviglie”)
(dal film “Alice nel paese delle meraviglie”)

Le maniglie non sono un oggetto particolarmente popolare, di questi tempi, essendo diventate il simbolo delle superfici promiscue su cui può depositarsi il coronavirus dalle mani di una persona infetta. Mentre c’è chi non ci pensa nemmeno, chi prova goffamente ad azionarle col gomito e chi si disinfetta le mani ogni volta che usa quelle degli uffici o degli edifici pubblici – una buona pratica igienica, durante una pandemia – la rivista d’arte britannica Apollo ha ricostruito la storia delle maniglie, un oggetto che usiamo quotidianamente e di cui in realtà non sappiamo tantissimo.

La storia dell’arte e dell’architettura, infatti, non hanno tramandato un’origine certa delle maniglie: abbiamo delle ipotesi, ma non sappiamo esattamente quando siano comparse quelle moderne, dotate di un meccanismo che, ruotando, apre le porte. C’è però una data: il 1878, quando l’inventore afroamericano Osborn Dorsey registrò negli Stati Uniti il primo brevetto di una maniglia. Anche se è probabile che meccanismi simili esistessero già in precedenza, è a Dorsey che si attribuisce normalmente l’invenzione delle maniglie per come le conosciamo oggi.


Prima, le maniglie erano sporgenze o sbarre con le quali si spingeva o tirava una porta, la cui chiusura era affidata generalmente a un lucchetto, o a un chiavistello o a un particolare sistema di lacci di cuoio. Non tutti avevano poi l’esigenza di proteggere i propri effetti personali, perché non ne possedevano o perché li riponevano in bauli e forzieri, senza prevedere particolari sistemi di sicurezza per le porte. Non sappiamo moltissimo di come fossero le porte delle civiltà antiche, né esattamente quando cominciarono a essere considerate elementi architettonici che potevano essere abbelliti, strumenti usati dalla nobiltà per dimostrare la propria ricchezza a chi entrava nelle sue case.

Per secoli, comunque, le maniglie – come del resto gli altri elementi meccanici delle porte, dalle cerniere ai picchiotti, gli strumenti metallici per bussare – rimasero un elemento architettonico di cui si occupavano fabbri o artisti locali, e che quindi conservarono una grande varietà a seconda della zona di produzione. I materiali più diffusi erano il metallo e il legno, ma potevano essere anche in porcellana o ceramica.

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Apollo spiega che all’inizio del Novecento cominciarono a essere gli architetti, invece che gli artigiani, a progettare le maniglie. Con lo stile Liberty, le linee sinuose degli edifici cominciarono a essere integrate nelle maniglie, che diventarono così una parte organica dell’architettura, e non più una aggiunta successiva e artigianale alle strutture. Uno che progettò maniglie prodotte e vendute ancora oggi fu l’architetto spagnolo Anton Gaudì, massimo esponente del cosiddetto modernismo catalano.

Maniglie e decorazioni per alcune delle case che progettò Gaudì a Barcellona. (Barcelona Design)

Il grande cambiamento successivo che interessò le maniglie arrivò con il modernismo, e in particolare con la Bauhaus, la scuola di design tedesca nata nel 1919 su iniziativa di Walter Gropius. Gli architetti della Bauhaus capirono che tutti gli elementi di un edificio potevano rappresentare le idee che stavano dietro alla sua progettazione, e «le maniglie diventarono lo strumento perfetto per ridurre un edificio alla sua forma più minimale». Proprio Gropius, nel 1923, disegnò una maniglia diventata uno dei simboli del modernismo, che fu uno dei primi oggetti disegnati dalla Bauhaus a essere messo in vendita, per raccogliere finanziamenti per la scuola, e che ancora oggi può essere trovata in alcuni edifici pubblici tedeschi dell’epoca.

Secondo Apollo comunque quella che forse fu la maniglia più influente della storia delle maniglie fu disegnata non da un architetto, ma da un filosofo: Ludwig Wittgenstein, che la pensò per la casa che progettò per sua sorella a Vienna, alla fine degli anni Venti. Secondo Apollo gli ci volle un anno a progettarla (e altri due li dedicò ai termosifoni), ma alla fine «quella semplice sbarra piegata diventò quello che è forse il più ubiquo e diffuso di tutte le forme di design moderne».

Dopo la Seconda guerra mondiale, fu relativamente semplice convertire le macchine industriali che facevano armi alla produzione di maniglie, e questo provocò un proliferare di nuovi design in Germania, Francia e Italia, che ancora oggi ospitano alcune delle aziende più prestigiose del settore. «Da Gio Ponti a Arne Jacobsen, ogni buon architetto e designer industriale fece una maniglia». Molte di queste sono ancora oggi in produzione. In tempi più recenti ci sono stati occasionali momenti di vivacità nel design delle maniglie, ma sono perlopiù durati poco, conclude Apollo.