Macron non se la passa bene
Alle elezioni municipali il suo partito è andato molto male, e il suo consenso personale rimane basso: per aggiustare le cose ha meno di due anni
Quando nel 2017, a 39 anni, Emmanuel Macron era diventato presidente della Francia senza il sostegno di nessuno dei partiti tradizionali, aveva promesso di riformare radicalmente il paese. Macron aveva condotto una campagna per una Francia aperta alle persone, alle merci, alle idee e ai cambiamenti sociali. Tuttavia, lungo la strada, le cose per lui si sono complicate, e i risultati delle ultime elezioni amministrative lo hanno dimostrato.
Nel 2022 ci saranno di nuovo le presidenziali e Macron sta costruendo una nuova linea politica che lo porterà fino alla fine del suo mandato. Nel frattempo, il suo primo ministro, Edouard Philippe, di centrodestra e molto popolare, è stato rieletto come sindaco a Le Havre domenica scorsa e si è dimesso. Macron lo ha sostituito con Jean Castex, un semisconosciuto funzionario di alto livello che viene dagli ambienti della destra moderata.
Il gradimento di Macron è in costante calo dal giorno della sua nomina. Diversi osservatori hanno spiegato che nelle riforme che il presidente ha portato avanti fino ad ora, e nell’interpretazione del suo ruolo, non ha saputo mantenere un equilibrio: la tassa sulla benzina che ha poi portato alla grande fase di protesta dei “gilet gialli” non ha tenuto conto che l’impatto maggiore lo avrebbero sofferto le persone che vivono in periferia, che usano l’auto per andare al lavoro e che già sono in difficoltà economiche. L’abolizione della patrimoniale sugli investimenti finanziari ha privato il paese di circa 3 miliardi di euro di imposte all’anno e non è stata accompagnata da misure significative a favore delle persone più povere. Macron insomma viene percepito, secondo molti a ragione, come il presidente dei ricchi.
A maggio La République en Marche (LRM), il partito fondato da Macron, ha perso la maggioranza assoluta dei seggi all’Assemblea nazionale che aveva dalle elezioni politiche del 2017: 17 deputati, fra cui 7 ex di LRM, hanno annunciato la formazione di un nuovo gruppo parlamentare. Alle elezioni municipali di fine giugno (che si sono tenute a tre mesi dal primo turno di marzo), il principale vincitore è stato il partito ecologista dei Verdi, Europe Ecologie-Les Verts (EELV), che ha vinto in alcune grandi città come Lione, Bordeaux e Strasburgo dove Macron, alle ultime elezioni presidenziali contro Marine Le Pen, aveva ottenuto percentuali di voto molto alte.
La République En Marche non è riuscita invece a imporsi in nessuna grande città. A Parigi, per esempio, è stata confermata sindaca la socialista Anne Hidalgo, con il sostegno del candidato ecologista David Belliard, mentre Agnès Buzyn (ex ministra della Sanità di En Marche) è arrivata terza. Il primo ministro Edouard Philippe, invece, ha vinto a Le Havre, in Normandia, dove però era già stato sindaco fra il 2010 e il 2017.
Le principali questioni che deve ora affrontare Macron, scrive tra gli altri l’Economist, sono due. Il primo problema è come riuscire a rispondere al successo dei Verdi, che al momento sono la minaccia politica più pressante per il presidente francese. Il 29 giugno Macron ha dichiarato di voler intraprendere una “nuova strada” per i suoi ultimi due anni di mandato e ha parlato al termine dei lavori della Convenzione per il clima, accettando l’idea di organizzare dei referendum per inserire nella Costituzione un preciso riferimento alle istanze ecologiste e promettendo un finanziamento di 15 miliardi di euro per la transizione verso un’economia più sostenibile. Il presidente ha poi deciso di chiudere il secondo e ultimo reattore di Fessenheim, la più vecchia centrale nucleare francese.
Dopo un primo semestre segnato dalla crisi sanitaria e dalle allarmanti previsioni economiche, Macron ha parlato anche di nuovi obiettivi da raggiungere, di ricostruzione, di riconciliazione e di nuovi metodi da applicare. L’ecologia e l’attenzione ai territori sono stati presentati come gli assi principali di questa svolta, così come le consultazioni e una maggiore orizzontalità nelle decisioni che dovrebbe rompere con la “verticalità” di cui Macron è stato invece spesso accusato. Il presidente ha assicurato di non aver rinunciato alla propria politica delle riforme, a partire da quella delle pensioni, il cui percorso è stato interrotto dall’epidemia.
Il secondo problema di Macron ha a che fare con Edouard Philippe, di centrodestra, che venerdì 3 luglio si è dimesso da capo del governo: è probabile che le dimissioni di Philippe porteranno nelle prossime ore anche a un rimpasto di governo. Diversi giornali si sono chiesti se questo cambiamento avrebbe potuto coinvolgere anche il partito ecologista dei Verdi permettendo così a Macron di spostarsi più a sinistra e di attirare l’elettorato perso durante le elezioni municipali. Ma i dirigenti dei Verdi hanno subito chiarito che non entreranno nel nuovo esecutivo perché il presidente «non è abbastanza ecologico e non è abbastanza sociale».
Macron si trova dunque in una condizione molto difficile, privo di possibilità sia a sinistra sia apparentemente fra l’elettorato di destra moderata, dato che negli ultimi mesi il consenso per Philippe non è travasato anche nei suoi confronti.
Anche la decisione di sostituirlo, nel momento in cui i dati sulla sua popolarità erano altissimi, indica che Macron non ha rinunciato a imporre decisioni dall’alto, anche se impopolari: Le Monde ha giudicato molto severamente la nomina di Castex, accusando Macron di «voler essere l’unico capo», e di aver scelto una persona così poco nota «allo scopo di fargli meno ombra».