In Turchia si discute di riconvertire Santa Sofia in una moschea
Oggi è un museo, ma per secoli è stata prima una basilica cristiana poi una moschea: la sua trasformazione ha un valore simbolico ma, soprattutto per Erdogan, anche politico
Il 2 luglio il Consiglio di Stato turco, il più alto tribunale amministrativo del paese, ha dichiarato che si pronuncerà entro quindici giorni sulla conversione della basilica sconsacrata di Santa Sofia di Istanbul in moschea a seguito di una petizione popolare presentata dopo che il presidente Recep Tayyip Erdogan, per due volte nell’ultimo anno, aveva dichiarato di essere favorevole alla trasformazione.
La basilica di Santa Sofia è stata per secoli un simbolo della cristianità, dopo la sua edificazione voluta dall’imperatore bizantino Giustiniano I nel 537, per poi essere convertita in moschea dopo la conquista di Costantinopoli, che conseguentemente cambiò nome in Istanbul, da parte di Maometto II, settimo sultano dell’impero ottomano. Da allora il ruolo del luogo sacro ha acquisito un significato simbolico, ideologico e politico non solo per la Turchia, ma anche nei rapporti fra occidente e oriente.
Nel 1935 il presidente Mustafa Kemal Ataturk, fondatore della moderna, laica, repubblica turca, trasformò Santa Sofia in un museo, spogliandola, almeno ufficialmente, del valore religioso. La basilica, oltre che un’importante meta turistica e sito patrimonio dell’umanità per l’Unesco dal 1985, è considerata simbolo d’identità per i nazionalisti che ogni anno, il 29 maggio, davanti alle sue porte, festeggiano l’anniversario della conquista ottomana di Costantinopoli.
Ora il Consiglio di Stato dovrà valutare se la decisione del 1935 di Ataturk sia stata legittima e conforme alle leggi in vigore allora nella repubblica turca. Precedenti azioni legali per convertire il museo di Santa Sofia in moschea erano fallite, ma anche se oggi la conversione in moschea dovesse essere approvata, per la maggior parte degli osservatori e esperti si tratterebbe soltanto di una decisione simbolica. Il parere della corte è infatti, legalmente, quello che Aykan Erdemir, antropologo, analista politico ed ex parlamentare turco, citato da Al Jazeera, definisce un «pre-requisito», mentre la vera e propria trasformazione di Santa Sofia in una moschea dovrebbe arrivare con un decreto presidenziale.
L’atto di vera e propria conversione di Santa Sofia in moschea spetterebbe quindi, nel caso in cui arrivasse il parere favorevole del Consiglio di Stato, proprio al presidente Erdogan, che si è tenuto lontano per quasi tutta la sua carriera politica dallo scontro ideologico su Santa Sofia, salvo sostenerne pubblicamente la trasformazioni a partire dal 2019: la prima volta, nel marzo di quell’anno, in occasione delle elezioni comunali che avrebbero eletto sindaco Ekrem Imamoglu, candidato del partito laico CHP (il Partito Popolare Repubblicano), da 25 anni all’opposizione nella città, governata dall’AKP del presidente Erdogan. In quella occasione Erdogan disse che la conversione di Santa Sofia in moschea avrebbe rappresentato una risposta alla decisione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale d’Israele.
Lo scorso 29 maggio Erdogan era tornato sulla conversione in un discorso trasmesso su un grande schermo davanti a Santa Sofia in occasione del 576° anniversario della conquista ottomana di Instanbul. Sempre secondo Erdemir, le occasioni in cui Erdogan ha chiesto la trasformazione di Santa Sofia in moschea mostrerebbero che il presidente stia facendo un uso strumentale del tema: nella prima occasione per attirare i consensi in un’elezione che vedeva il suo partito fortemente sfavorito, nella seconda in un momento difficile per l’economia turca, nel pieno della pandemia da coronavirus e con una popolarità in calo.
La possibile conversione sta suscitando dibattito e polemiche anche al di fuori della Turchia. Mercoledì il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha esortato il governo turco a far restare Santa Sofia un museo, per dimostrare «l’impegno a rispettare la storia di diversità di fedi che ha contribuito alla nascita repubblica turca» e garantire che il sito rimanga accessibile a tutti. La Grecia, per cui Santa Sofia rappresenta un simbolo del cristianesimo ortodosso, ha invece sporto reclamo presso l’UNESCO, che a sua volta avrebbe avvertito la Turchia che prima di cambiare lo status di un monumento patrimonio dell’umanità, dovrebbe consultarsi con l’organizzazione. Nonostante queste opposizioni, Erdogan può contare però sul consenso popolare: infatti secondo un sondaggio pubblicato il mese scorso, il 73 per cento dei turchi sarebbe favorevole alla conversione.