A che punto sono le indagini su Bergamo

I magistrati stanno indagando sulle decisioni prese dalla politica nella città più colpita dall'epidemia in Italia: dalla mancata "zona rossa" a quello che è accaduto nelle case di cura per anziani

(ANSA/FILIPPO VENEZIA)
(ANSA/FILIPPO VENEZIA)

Da più di due mesi la procura di Bergamo sta indagando sulla gestione della pandemia nella provincia di Bergamo, la più colpita dal coronavirus in tutta Italia e una delle più colpite al mondo. In questo periodo i magistrati bergamaschi hanno parlato con tutti i principali protagonisti di questa vicenda: dal presidente della Lombardia Attilio Fontana al presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Hanno ricevuto gli esposti e le testimonianze raccolte dai comitati di parenti delle vittime e sequestrato migliaia di pagine di documenti.

Tra gli ultimi documenti acquisiti ci sono quelli prodotti dall’ATS di Bergamo sul numero di polmoniti anomale che si sono verificate in provincia prima dell’inizio ufficiale dell’epidemia. Questi dati mostrano che rispetto agli anni precedenti il numero di polmoniti causate da agenti sconosciuti nei mesi precedenti all’emergenza era aumentato di circa il 30 per cento rispetto al passato. Questi dati sono stati pubblicati proprio in questi giorni dai giornali, che li hanno ottenuti grazie alle richieste di accesso agli atti fatte alle autorità sanitarie dal consigliere regionale Niccolò Carretta (Azione).

Numeri che mostrano con chiarezza l’impennata di polmoniti «sconosciute» già lo scorso dicembre. E ancora più marcata tra gennaio e febbraio prima di domenica 23, giorno in cui il coronavirus è stato individuato ufficialmente in provincia di Bergamo. Prima dei due pazienti scoperti ad Alzano c’erano stati molti ricoveri con diagnosi in codice 486: «polmonite, agente non specificato». Centodieci tra novembre e il 23 febbraio, giorno in cui al conto si è aggiunto la voce «polmonite da Sars- coronavirus associato». Una crescita netta. Dalle 18 di novembre si passa alle 40 di dicembre, più del doppio. E a gennaio se ne aggiungono altre 52. Da marzo in poi i casi si moltiplicano in modo esponenziale.

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Tutti questi elementi hanno spinto i magistrati ad aprire tre differenti piste di indagine.

La prima riguarda la mancata decisione di istituire una zona rossa intorno al comune di Alzano Lombardo, quello dove si trova l’ospedale in cui il 23 febbraio furono trovati i primi casi di coronavirus nella provincia. A differenza di quello che era accaduto soltanto due giorni prima nei comuni di Codogno, in provincia di Lodi, e Vo, in Veneto, ad Alzano non venne istituita nessuna zona rossa.

È questo filone che a metà giugno aveva portato i magistrati bergamaschi a Roma, dove avevano ascoltato le testimonianze di Conte, del ministro della Salute Roberto Speranza e di quella dell’Interno Luciana Lamorgese, i tre membri del governo di più alto rango tra quelli a cui spettava la decisione di imporre una zona rossa nella bergamasca.

La questione principale intorno alla quale ruota questo filone è se ci siano state o meno pressioni di qualche genere per spingere governo e regione a non fare una zona rossa, che avrebbe fortemente danneggiato le industrie della provincia. Al momento, sembra che i magistrati siano inclini a considerarla una scelta politica senza profili legali.

Il secondo filone riguarda la gestione dell’ospedale di Alzano, che dopo la scoperta dei primi casi venne inizialmente chiuso per poi essere riaperto per ordine diretto della regione. Anche questa decisione fu completamente opposta rispetto alla linea d’azione seguita nel caso di Codogno, dove dopo la scoperta del primo caso l’ospedale venne immediatamente chiuso e isolato. I magistrati hanno interrogato diversi dirigenti della sanità locale e regionale, oltre al presidente della regione Fontana e al suo assessore alla Welfare e alla Salute Giulio Gallera.

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Il terzo filone riguarda la gestione delle case di cura per anziani, le RSA, dove nel corso dell’epidemia si sono verificati molti più decessi che in tempi normali. I magistrati indagano in particolare sulle comunicazioni tra regione e gestori delle RSA, strutture in gran parte private, ma convenzionate e quindi supervisionate dalla regione. Tra le decisioni più controverse della regione c’è la richiesta alle RSA di mantenere aperti i loro centri diurni anche dopo la scoperta dei primi casi (esponendo potenzialmente numerosi anziani al contagio) e la richiesta di non interrompere le visite dei parenti.

Le ipotesi di reato su cui indaga la procura in relazione a questi tre filoni sono omicidio colposo ed epidemia colposa. Al momento ci sarebbero già delle persone indagate, scrivono i giornali locali, ma non si conoscono i loro nomi.