Lo scandalo Wirecard
C'è un grave caso finanziario in Germania, che coinvolge anche l'Autorità tedesca di vigilanza finanziaria, la società Ernst&Young e il governo
In Germania è in corso un grave scandalo finanziario che coinvolge la società di pagamenti online Wirecard, dopo la scoperta di un ammanco di 1,9 miliardi di euro che si pensava fossero depositati come fondi fiduciari in due banche delle Filippine ma che in realtà non sono mai esistiti. Nella vicenda stanno ricevendo molte critiche e accuse anche l’Autorità federale di vigilanza finanziaria del paese (Bafin, il corrispettivo italiano della Consob), la società di consulenza e revisione dei conti Ernst&Young e il governo di Angela Merkel.
All’inizio di giugno la sede di Wirecard era stata perquisita: il sospetto dei pubblici ministeri era che la dirigenza di Wirecard avesse divulgato informazioni fuorvianti per influenzare il prezzo delle sue azioni. Il 17 giugno, poi, la società di consulenza Ernst&Young non era riuscita a chiudere il bilancio del 2019 di Wirecard per mancanza di informazioni sufficienti sui saldi di cassa di due conti asiatici, la cui esistenza nel frattempo era stata smentita dalla Banca centrale delle Filippine. L’amministratore delegato di Wirecard, Markus Braun, e il consiglio di amministrazione avevano detto che la società era stata vittima di una frode, e il 19 giugno Braun aveva dato le dimissioni.
Tre giorni dopo la procura di Monaco aveva firmato un mandato di arresto nei suoi confronti, contestandogli il ritocco del bilancio «per rendere più appetibile l’impresa sul mercato» (Braun è stato poi rilasciato dietro il pagamento di una cauzione da cinque milioni di euro). Il 25 giugno Wirecard ha presentato istanza di fallimento al tribunale di Monaco di Baviera «a causa dell’insolvenza imminente e dell’indebitamento eccessivo». Nei giorni successivi il suo titolo in Borsa è crollato, passando in una settimana da 100 a meno di due euro ad azione. Nel frattempo il direttore operativo di Wirecard, Jan Marsalek, licenziato subito dopo le notizie dello scandalo, non è più rintracciabile; secondo alcuni giornali potrebbe trovarsi nelle Filippine.
Wirecard è stata fondata nel 1999 e ha sede ad Aschheim, vicino a Monaco di Baviera. Per capire che genere di servizi eroga, basti sapere che i suoi diretti concorrenti sono PayPal e Western Union: Wirecard fa infatti parte del cosiddetto settore “fintech”: fornisce la tecnologia che supporta i pagamenti online e l’emissione di carte di credito. Fino al 2000 si occupava di transazioni online per siti porno e per siti di giochi online, ma nel giro di pochi anni è cresciuta moltissimo, arrivando a posizionarsi ai primi posti del Dax, il principale indice azionario della Borsa tedesca. Tra il 2011 e il 2014, scrive il New York Times, la società ha raccolto investimenti per 500 milioni di euro da vari azionisti, iniziando un’espansione internazionale che l’ha portata ad acquistare piccole società in tutta l’Asia, ad attirare sempre più investitori e a lavorare con compagnie aeree, società di calcio e istituti bancari. Wirecard dice di avere oltre 300 mila aziende come clienti in tutto il mondo, sedi in più di 20 paesi e circa 6 mila dipendenti. Markus Braun, 50 anni, esperto di informatica e ex consulente per la KPMG, è stato fondamentale per il successo di Wirecard, tanto da venire descritto e paragonato, in Germania, a Steve Jobs.
I dubbi sulla rapida evoluzione di Wirecard erano cominciati a circolare già nel 2008, quando alcuni analisti e operatori finanziari avevano detto di aver notato cose poco chiare nelle società acquisite da Wirecard – per centinaia di milioni di euro – a Singapore, in Indonesia, Malesia o a Dubai: società molto piccole e con una redditività limitata che nel giro di un anno cominciavano però a raccogliere grandi quantità di denaro generando buona parte dei profitti di Wirecard.
In tempi più recenti anche il Financial Times aveva iniziato a interessarsi della questione, ipotizzando presunte irregolarità contabili nella divisione di Wirecard di Singapore. Invece di indagare, il Bafin criticò molto duramente e poi denunciò i due giornalisti del Financial Times che si erano occupati di Wirecard. Nel febbraio del 2019 Bafin vietò anche per due mesi le vendite allo scoperto sul titolo Wirecard, per evitare speculazioni a seguito delle notizie riportate dal Financial Times. «Sebbene Wirecard fosse più piccola e meno conosciuta a livello mondiale rispetto ai suoi concorrenti come PayPal», dice il New York Times, «le critiche erano state vissute come un attacco a una storia di successo nazionale».
Dopo la scoperta dell’ammanco di 1,9 miliardi di euro, il presidente del Bafin, Felix Hufeld, ha ammesso che la vicenda è una «vergogna» per tutta la Germania indicando tra i responsabili non solo la società di revisione Ernst&Young «che non è stata in grado di scoprire le verità», ma anche il Bafin stesso. Il ministro tedesco delle Finanze e vicecancelliere Olaf Scholz – che fino a poco prima aveva difeso il Bafin – è stato quindi costretto a intervenire sulla questione, dicendo che è «necessario immediatamente inasprire le regole» sulle società quotate a Francoforte ed evitare che lo scandalo «possa creare un precedente». La Commissione europea, nel frattempo, ha detto che chiederà all’Esma, il supervisore europeo dei mercati finanziari, di indagare sul Bafin.
Cosa accadrà a Wirecard non è ancora chiaro: per ora c’è un enorme problema di liquidità. Ci sarebbero infatti 15 banche che vanterebbero crediti nei confronti di Wirecard per 1,75 miliardi di euro. Diverse società di carte prepagate e servizi bancari online che si appoggiavano a Wirecard stanno poi sospendendo temporaneamente i conti dei loro clienti. L’autorità di vigilanza bancaria inglese (FCA) ha bloccato l’operatività di tutte le carte emesse appoggiandosi ai sistemi Wirecard, tra cui quelle SisalPay, con vari disagi anche per i clienti italiani. Alcuni avvocati tedeschi stanno infine preparando cause per risarcimento danni contro l’Autorità federale di vigilanza finanziaria Bafin (ma anche contro Ernst&Young) per conto di centinaia di investitori. Il prossimo primo luglio il presidente del Bafin Felix Hufeld dovrà riferire alla commissione Finanze del Bundestag, il parlamento federale tedesco, sulla vicenda.