La norma che vuole bloccare il porno online in Italia
È stata inserita dalla Lega in un emendamento al "decreto giustizia", oggi convertito in legge, ma difficilmente diventerà operativa
La Camera ha approvato in via definitiva il cosiddetto “decreto giustizia”, dopo che ieri il testo aveva ottenuto il voto di fiducia della Camera. Tra le norme presenti nel testo ce n’è una, inserita dopo l’approvazione di un emendamento proposto dalla Lega a firma del senatore Simone Pillon, che prevede che in Italia contenuti pornografici online vengano bloccati in automatico da tutti i collegamenti a internet. È probabile però che questa norma non venga mai effettivamente applicata.
La norma introduce una sorta di parental control, cioè un filtro che blocchi automaticamente l’accesso ai siti che contengono contenuti per adulti sia da dispositivi fissi che da quelli mobile. Il blocco sarebbe automatico per tutti, a prescindere dal fatto che una determinata utenza internet possa essere utilizzata da persone minorenni. Per disattivare il blocco il consumatore maggiorenne intestatario del contratto che permette l’accesso a Internet dovrebbe inviare una specifica richiesta al gestore del servizio.
Il blocco dei contenuti pornografici, che ha suscitato diverse critiche e accuse di estremismo religioso e limitazione della libertà di espressione, è stato inserito come nuovo articolo 7 bis, intitolato “Sistemi di protezione dei minori dai rischi del cyberspazio”, in cui si legge: «I contratti di fornitura nei servizi di comunicazione elettronica disciplinati dal codice di cui al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 devono prevedere tra i servizi preattivati sistemi di parental control ovvero di filtro di contenuti inappropriati per i minori e di blocco a contenuti riservati ad un pubblico di età superiore agli anni diciotto».
Nel testo è previsto anche che «gli operatori di telefonia, di reti televisive e di comunicazioni elettroniche» assicurino «adeguate forme di pubblicità di tali servizi in modo da assicurare che i consumatori possano compiere scelte informate». L’autore della norma è il senatore leghista Simone Pillon, molto conservatore sul piano religioso, già noto per aver proposto un controverso disegno di legge che avrebbe modificato le norme sulle separazioni, sul divorzio e sull’affido condiviso dei minori. Secondo Pillon la legge non bloccherebbe solo il porno, ma tutti i contenuti «violenti, pericolosi o eccessivamente espliciti che non siano adatti a un pubblico di bambini».
Lo scorso 11 giugno l’emendamento presentato da Pillon in Commissione Giustizia al Senato aveva ottenuto il parere favorevole del senatore Franco Mirabelli (relatore del disegno di legge in Commissione) e di Simona Flavia Malpezzi (sottosegretaria alla presidenza del Consiglio dei ministri, presente alla seduta), entrambi del PD, ed era stato approvato dalla Commissione dopo essere stato messo ai voti.
– Leggi anche: Il ddl Pillon, spiegato bene
La norma è entrata nel testo durante il procedimento di conversione in legge del “decreto giustizia”, e la maggioranza parlamentare ha deciso di non modificarla o rimuoverla per evitare che scadessero i 60 giorni entro i quali ogni decreto legge dev’essere convertito in legge dal Parlamento. Enza Bruno Bossio, deputata del PD e segretaria della commissione Giustizia, ne aveva detto: «Chiediamo al governo di non rendere il testo immediatamente attuativo; non prima di un passaggio con gli operatori. Una modifica del testo da parte nostra purtroppo non è fattibile perché non ci sono i tempi prima della scadenza dei termini».
Al di là della sua discussa fattibilità – esperimenti simili introdotti in altri paesi sono stati fallimentari – difficilmente il filtro ai contenuti diventerà operativo. Il governo ha accolto anche un ordine del giorno, presentato dal PD, che chiede che i filtri ai contenuti inappropriati possano essere attivati solo su richiesta del proprietario del contratto, e non in automatico su scelta del gestore. Il PD sembra quindi intenzionato a tornare sulla questione in un’altra norma – senza approvare nel frattempo i decreti attuativi – per correggere il testo e prevedere al massimo l’introduzione del filtro su base volontaria e non automatica.
Secondo Stefano Quintarelli, esperto di internet e presidente del comitato d’indirizzo dell’Agenzia per l’Italia Digitale, la norma è «probabilmente scritta senza basi tecniche adeguate» e, anche se nata da «un nobile intento», diventa così «un garbuglio legislativo inapplicabile, irrealizzabile». Per Quintarelli il provvedimento non si potrà nemmeno tecnicamente applicare: «Come può un operatore stabilire se un contenuto è inappropriato? La quasi totalità delle applicazioni e i siti oggi dialogano mediante connessioni cifrate per proteggere la riservatezza delle comunicazioni delle persone. Nemmeno l’operatore di telecomunicazioni può esaminare il contenuto di una connessione cifrata».