In Brasile va sempre peggio
Ci sono sempre più contagiati e morti, ma Bolsonaro ha chiesto ai suoi sostenitori di entrare negli ospedali e verificare che le condizioni siano davvero così preoccupanti
Negli ultimi giorni, in Brasile, il numero ufficiale di casi di coronavirus ha superato il milione e le morti sono salite a 50mila. Le previsioni dell’Università di Washington dicono che nei primi giorni di agosto il numero dei contagi registrati supererà quello degli Stati Uniti (primi al mondo con 2,3 milioni) e le morti totali arriveranno a 100mila nel prossimo mese. E parliamo solo dei casi ufficialmente registrati: secondo diversi esperti i numeri sono già molto più alti di così, ma non sono stati fatti abbastanza test per saperlo. Alexandre Naime Barbosa, docente di medicina all’Università statale di San Paolo, ha detto a CNBC che il numero di casi reali potrebbe essere più grande di cinque o dieci volte. Se così fosse, le persone infettate da coronavirus in Brasile sarebbero già oggi tra i cinque e i dieci milioni.
All’emergenza sanitaria si aggiungono le già faticose condizioni socioeconomiche del paese e le difficoltà degli ospedali e del personale sanitario. La maggior parte degli esperti concorda sul fatto che la responsabilità della situazione vada attribuita alla politica del presidente Jair Bolsonaro, che dall’inizio della crisi non ha mai smesso di sminuire la pericolosità del virus, di criticare le misure di sicurezza e di ostacolare chiunque provasse a proporre regole e restrizioni che potessero danneggiare l’economia del paese. Domenica migliaia di persone hanno manifestato in piazza: alcune per chiedere le dimissioni del presidente Bolsonaro, che è anche al centro di un’indagine giudiziaria, altre per sostenerlo.
Nonostante i casi continuino ad aumentare, a metà giugno, dopo tre mesi di quarantena, le città brasiliane hanno cominciato a riaprire le loro attività. Poco dopo la riapertura di San Paolo – la città più popolosa del Brasile e insieme a Rio de Janeiro una delle più colpite dal coronavirus – il sindaco Bruno Covas ha detto di essere risultato positivo al test del coronavirus. In cinque delle regioni che circondano la città di San Paolo, da lunedì i negozi sono stati chiusi di nuovo. In alcune zone il coronavirus è arrivato da poco: nella regione di Mato Grosso, per esempio, gli abitanti hanno vissuto normalmente fino a maggio, quando il virus ha cominciato a diffondersi tra i lavoratori degli stabilimenti di produzione di carne e l’amministrazione locale ha imposto misure restrittive a tutta la popolazione.
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«La risposta alla pandemia non avrebbe potuto essere peggiore», ha detto alla CNN Miguel Lago, docente della Columbia University e direttore esecutivo del Brazil’s Institute for Health Policy Studies. «Noi non eravamo come la Sierra Leone prima dell’epidemia di ebola: il Brasile aveva un sistema sanitario pubblico solido, che si sarebbe potuto sfruttare meglio all’inizio della pandemia». Ora nelle città più grandi la situazione negli ospedali è disastrosa: mancano i posti in terapia intensiva e il personale ospedaliero è esposto quotidianamente al rischio di contrarre il virus e ammalarsi.
In alcune zone del Brasile si teme che il coronavirus possa causare la scomparsa di piccoli gruppi indigeni. «Ci sono molte disparità regionali nel nostro sistema sanitario e una carenza di professionisti», ha detto Lago, «e questo crea diversi “deserti di assistenza sanitaria”, con persone che devono fare parecchia strada prima di trovare qualcuno disposto a curarle».
Secondo la Johns Hopkins University, in Brasile si fanno ogni giorno circa 14 test ogni 100mila abitanti; un numero che secondo gli esperti è circa un ventesimo di quello che servirebbe per monitorare la diffusione del virus in modo efficace – in Italia abbiamo testato in media 50 persone su 100mila, ogni giorno. In compenso, in Brasile sono in corso numerose sperimentazioni: duemila cittadini hanno partecipato a uno studio per la ricerca del vaccino contro il coronavirus condotto dall’Università di Oxford, e il Brazilian Butantan Institute, uno dei centri di ricerca più prestigiosi del paese, ha stretto un accordo con il laboratorio cinese Sinovac Biotech per testare un vaccino su 9mila volontari. Le sperimentazioni sui vaccini sono più efficaci se vengono svolte in un’area dove esiste una forte circolazione del virus (altrimenti le persone dovrebbero essere esposte al virus in laboratorio, un’operazione eticamente molto delicata e discussa).
Il primo caso di coronavirus in Brasile risale al 26 febbraio: era un uomo tornato a San Paolo dopo un viaggio in Italia e fu trattato come un caso isolato. In quei giorni il presidente Bolsonaro parlò della COVID-19 come di «una piccola influenza» e disse pubblicamente che i brasiliani erano già immuni al coronavirus. Ripeté le stesse cose in una conferenza stampa il 26 marzo, un mese dopo, quando nel paese erano stati accertati almeno 3mila casi e 77 persone erano già morte. In quell’occasione disse: «I brasiliani dovrebbero essere studiati, non si ammalano mai». Da allora Bolsonaro ha continuato ad apparire in pubblico senza mascherina, a fare comizi e a stringere mani, sostenendo che le restrizioni imposte dalle amministrazioni di alcune città avrebbero danneggiato l’economia – e quindi la popolazione – più di quanto avrebbe potuto fare la pandemia.
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Il 16 aprile Bolsonaro aveva licenziato il ministro della Sanità e medico Luiz Henrique Mandetta per aver invitato i cittadini a rispettare le regole di distanziamento fisico e aver espresso sostegno alla proposta di alcuni governatori di chiudere scuole e attività commerciali. Il successore di Mandetta, Nelson Teich (anche lui medico), diede le dimissioni dopo meno di un mese perché in disaccordo con Bolsonaro, che insisteva per autorizzare l’uso di clorochina e idrossiclorochina per trattare i pazienti malati di COVID-19: una decisione molto controversa, visto che a oggi non ci sono prove scientifiche convincenti sulla sua utilità. Dopo Teich, Bolsonaro chiamò Eduardo Pazuello, un generale dell’esercito senza alcuna esperienza in campo sanitario, che sostituì i principali funzionari del ministero con altri ufficiali militari e autorizzò l’uso di clorochina e idrossiclorochina sui pazienti malati di COVID-19.
La settimana scorsa, mentre l’OMS decideva di interrompere nuovamente i test sull’idrossiclorochina e la Food and Drug Administration statunitense vietava l’uso del farmaco sui pazienti affetti da COVID-19, il ministero della Sanità brasiliano ne ha esteso le indicazioni anche ai bambini e alle donne in gravidanza. Le linee guida della Brazilian Society of Pediatrics dicono che non ci sono dati sufficienti per affermare l’efficacia dei farmaci a base di idrossiclorochina sui bambini, e che questi dovrebbero essere prescritti solo durante studi autorizzati e non senza il consenso dei genitori. Denise Garrett, epidemiologa del Centers for Disease Control and Prevention, ha detto al New York Times: «Bolsonaro ha investito un’enorme somma di denaro in un’azione di cui non si conosce l’efficacia a discapito del potenziamento di test e attività di tracciamento».
I primi di giugno il ministero della Sanità aveva tolto dai report pubblici il numero di casi totali di coronavirus, e ha continuato ad aggiornare solo il numero dei nuovi casi e dei morti delle 24 ore precedenti. Bolsonaro aveva difeso la decisione dicendo che il numero dei casi totali accertati e dei morti non era particolarmente rappresentativo, perché non specificava quante persone fossero malate in quel momento. Pochi giorni dopo, il 10 giugno, la Corte Suprema ha obbligato il governo a rendere nuovamente pubbliche le statistiche complete.
Quando il 5 giugno il direttore generale dell’OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus ha richiamato l’attenzione dei governi sul tema delle mascherine, chiedendo di incoraggiare i cittadini a usarle laddove le misure di distanziamento fisico siano difficili da rispettare, Bolsonaro ha minacciato di ritirare il Brasile dall’OMS, come aveva fatto anche il presidente degli Stati Uniti Donald Trump una settimana prima. Mercoledì scorso, durante una conferenza stampa, Bolsonaro ha detto che «la cosiddetta Organizzazione Mondiale della Sanità vuole che la seguiamo ciecamente. Prima dicono che gli asintomatici non possono trasmettere il virus e poi ritrattano le loro affermazioni. Sembra che ci sia qualcosa di più serio dietro tutto ciò: vogliono che i nostri paesi vadano in pezzi».
Giovedì scorso Bolsonaro ha chiesto ai suoi sostenitori di entrare negli ospedali – il primo luogo da cui bisognerebbe stare lontani durante una pandemia – e filmare la situazione con gli smartphone, per confermare che effettivamente i letti siano tutti occupati e le condizioni siano preoccupanti come si dice, insinuando implicitamente che queste notizie fossero ingigantite dal personale ospedaliero. Alcuni suoi sostenitori si sono effettivamente intrufolati nei reparti ospedalieri dedicati ai malati di COVID-19, creando disordini e spaventando con aggressioni e minacce il personale ospedaliero.
In tutta l’America Latina in generale la situazione sanitaria è vista con grande preoccupazione dall’OMS. Nella giornata di domenica si sono registrati 183mila nuovi casi in tutto il mondo e circa il 60 per cento erano in America Latina. Oltre al Brasile, la situazione è preoccupante anche in Cile, Argentina, Colombia, Panama, Bolivia e Guatemala.