Dove siamo con Brexit
Bisogna sempre trovare un accordo entro la fine dell'anno: Boris Johnson spera di farcela già a luglio, l'Europa ne è meno convinta
Nell’ultima settimana diversi giornali italiani ed europei sono tornati a parlare del processo di uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, avviato l’1 febbraio, e dei prossimi passaggi che serviranno per completarlo. Lo sviluppo più rilevante è stato un incontro di alto livello che si è tenuto lunedì 15 giugno a cui hanno partecipato sia il primo ministro britannico Boris Johnson sia la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen.
Il fatto che dopo l’incontro si sia parlato soprattutto delle metafore usate dai leader coinvolti per descrivere lo stato dei negoziati – Boris Johnson ha auspicato di mettere una “tigre nel serbatoio”, evocando una nota pubblicità della Esso, il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel ha risposto con un vecchio proverbio inglese che parla di maiali – fa capire che non ci sono stati concreti passi in avanti sul futuro accordo commerciale fra Regno Unito e Unione Europea, cioè il principale oggetto di discussione dopo l’uscita formale avvenuta l’1 febbraio.
I problemi sono gli stessi che vanno avanti da mesi, e che avevano fatto fallire i due precedenti giri di trattative a fine aprile e metà maggio: il diritto dei pescatori europei di accedere alle acque britanniche, le misure che il governo britannico deve prendere per evitare quella che l’Unione Europea percepisce come concorrenza sleale – principalmente in materia di aiuti di stato, rispetto dell’ambiente e diritti dei lavoratori – e il meccanismo di arbitrato per risolvere eventuali contenziosi.
Il Guardian scrive inoltre che da qualche tempo «a Bruxelles sono sgomenti del fatto che il Regno Unito si rifiuti di parlare della futura cooperazione sulla sicurezza e la difesa», uno dei temi su cui i funzionari europei non ritenevano ci fosse grande distanza fra le due posizioni.
Regno Unito e Unione Europea hanno idee diverse anche sui tempi in cui trovare un accordo. In una conferenza stampa dopo l’incontro di lunedì Johnson ha annunciato che «non vede ragioni» per cui non si possa trovare un compromesso entro luglio.
Politico scrive che la dichiarazione di Johnson «avrà sorpreso i suoi interlocutori europei, dato che durante l’incontro non se ne era affatto parlato». Due giorni dopo, von der Leyen ha fatto capire al Parlamento Europeo che Johnson mostrava un ottimismo eccessivo: «mentre abbiamo superato la metà del tempo che ci siamo dati per i negoziati, non siamo affatto a metà del lavoro necessario per raggiungere un accordo».
I tempi rimangono piuttosto stretti. Il primo febbraio il Regno Unito è entrato in una fase di transizione che si concluderà il 31 dicembre 2020. I negoziatori europei e britannici stanno provando a trovare un compromesso sul futuro accordo commerciale entro quella data, in modo da evitare spiacevoli conseguenze. In caso di mancato accordo i paesi dell’Unione Europea dovrebbero infatti imporre dei dazi al Regno Unito, rendendo enormemente più costosi e meno convenienti i prodotti britannici. Il governo britannico farebbe probabilmente lo stesso, danneggiando i paesi europei con cui ha maggiori legami commerciali (cioè soprattutto l’Irlanda).
In base agli accordi il Regno Unito aveva tempo fino al primo luglio per chiedere una proroga del periodo di transizione, ma Johnson ha ribadito più volte di non avere alcuna intenzione di farlo: sia perché ha promesso di portare a termine Brexit nei tempi previsti sia per non complicarsi la vita con ulteriori negoziati che potrebbero durare mesi o addirittura anni (cioè il lasso di tempo che di solito ci vuole per negoziare un dettagliato accordo commerciale).
Ci sono altri elementi per pensare che l’annuncio di Johnson sia stato un espediente per mettere pressione all’Unione Europea. I negoziatori europei e britannici hanno già fissato il calendario per incontrarsi sia a luglio sia ad agosto, mentre secondo Politico «a prescindere da quello che dice Johnson il Regno Unito ritiene di poter strappare un compromesso per settembre, mentre l’Unione Europea pensa alla fine di ottobre come limite per approvare e ratificare un accordo».
I tempi coincidono con quelli citati in un documento interno del governo tedesco ottenuto e pubblicato da Reuters, in cui vengono anche citate le priorità da mantenere nelle prossime settimane. L’opinione dei funzionari tedeschi è particolarmente importante perché da luglio a dicembre la Germania otterrà la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea, l’organo in cui sono rappresentati i governi dei 27 stati nazionali e che a un certo punto dovrà approvare l’eventuale accordo su Brexit.
«Da settembre i negoziati entreranno in una fase calda», si legge nel rapporto del governo tedesco: «il Regno Unito sta già aumentando le minacce nei confronti di Bruxelles, vuole ottenere il maggior numero di cose nel minor tempo possibile e spera di raggiungere un accordo last minute. Per questo sarà importante che i 27 paesi rimangano uniti e continuino a insistere su un progresso parallelo su vari dossier, oltre a mettere in chiaro che non ci sarà un accordo a ogni costo».
I negoziatori britannici, però, sembrano ritenere che la presidenza tedesca spingerà invece per un compromesso. «Mi aspetto che la presidenza tedesca rifletta il pragmatismo di Angela Merkel», ha detto a Politico David Jones, parlamentare britannico e ministro di Brexit nel governo di Theresa May. «Siamo fortunati che sia capitata nella fase finale dei negoziati sul futuro accordo commerciale».
Nel frattempo il Regno Unito sta cercando di portarsi avanti su altri fronti: a luglio il governo avvierà una campagna di comunicazione per cercare di prevenire critiche e incomprensioni una volta che il Regno Unito sarà definitivamente fuori dall’Unione Europea, e nei giorni scorsi ha avviato i negoziati per rafforzare i rapporti commerciali con l’Australia e la Nuova Zelanda.