Come sarà il prossimo anno nelle università?
Gli atenei si stanno organizzando per una didattica sia a distanza sia in presenza, ma per gli studenti non sarà la stessa cosa
Dopo mesi di didattica interamente a distanza, la risposta immediata e obbligata alla chiusura delle scuole per via dell’emergenza coronavirus, gli istituti scolastici italiani stanno aspettando di capire come sarà il prossimo anno accademico, e quando comincerà di preciso. Se per le scuole primarie e secondarie c’è ancora grande confusione e incertezza, le università sembrano avere un’idea più precisa di come sarà la didattica il prossimo anno: la parola che si sente più spesso è “ibrida”.
È stata l’indicazione principale data dal ministro dell’Università Gaetano Manfredi, con una scadenza provvisoria fissata all’inizio del 2021. Ed è su questo che si stanno concentrando i progetti e gli investimenti degli atenei. «Stiamo dotando tutte le aule di impianti di ripresa» spiega al Post Eugenio Gaudio, rettore della Sapienza di Roma, «in modo da garantire per il prossimo anno la modalità ibrida: una parte di studenti in aula e distanziati e gli altri da casa». I corsi saranno organizzati in modo da garantire dei turni, e permettere a tutti gli studenti di partecipare in egual misura alle lezioni in aula, che dovranno rispettare le misure di distanziamento fisico.
Alla Bocconi di Milano, un’università privata, «stiamo immaginando modalità per frequentare le lezioni in gruppi più piccoli, ed è un’occasione per sperimentare un’interazione ancora più stretta tra studenti e insegnanti» spiega la direttrice della Scuola universitaria Annalisa Prencipe. Gli investimenti saranno soprattutto sulla parte tecnologica, più che sulle modifiche strutturali al campus universitario.
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Per alcuni atenei, questi cambiamenti necessari per fare dell’università un posto sicuro in mezzo a una pandemia sono un’opportunità per sperimentare nuove forme di didattica che potranno anche essere mantenute, se avranno successo. Ma non tutti la pensano così: negli scorsi giorni un gruppo di quasi 900 docenti universitari ha firmato un appello a Manfredi per chiedere di ripensare le indicazioni ministeriali in modo da dare priorità alle lezioni in presenza: «la didattica online è accettabile e, anzi benvenuta, per un breve periodo di emergenza, ma l’insegnamento è un’altra cosa» dice l’appello, contestando la tesi che la presenza fisica degli studenti sia sostituibile con le lezioni online.
Paradossalmente, al di là del manto tecnologico, è un’idea molto arretrata. Riflette una visione della didattica universitaria vecchia di oltre sessant’anni, ci riporta a un modello di apprendimento incentrato sul “trasferimento di conoscenze” per mezzo di lezioni cattedratiche, con scarso dialogo (per questo definite burocraticamente “frontali”), a cui si accompagna lo studio solitario, spesso consistente in una memorizzazione dei cosiddetti manuali, assunti dogmaticamente come fonte del sapere.
Anche Gaudio pensa qualcosa di simile: «la vera università è quella in presenza. La vita accademica non è fatta solo di lezioni ed esami, ma da un’interazione continua tra studenti e tra studenti e docenti, che in presenza è molto diversa da quella telematica».
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Ma le preoccupazioni non riguardano soltanto l’efficacia dell’insegnamento, quanto la possibile esclusione degli studenti con meno disponibilità economiche. Il prossimo anno, pagare un affitto in una città universitaria potrebbe essere giudicata una spesa sacrificabile, potendo seguire le lezioni anche online, da una città con affitti più bassi o in casa con la famiglia. Per altri studenti ancora potrebbe essere una spesa non più sostenibile, per via delle difficoltà economiche seguite alla crisi appena cominciata. Il rischio, secondo i docenti che hanno firmato l’appello, è che l’insegnamento in presenza sia «per pochi eletti».
Sempre su indicazione ministeriale, le rette delle università pubbliche dovranno essere ridotte per le famiglie o gli studenti con i redditi più bassi. «Stiamo agendo su due fronti del diritto allo studio, cercando di diminuire le contribuzioni e le tasse per le famiglie in difficoltà e aumentando le borse di studio per gli studenti, con particolare riguardo al reddito» spiega Gaudio.
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A sfruttare la didattica a distanza potrebbero essere in particolare gli studenti stranieri che non vivono abitualmente in Italia, e che potrebbero preferire rimanere nei loro paesi, o che non potranno viaggiare del tutto. Un po’ a sorpresa, spiega Prencipe, le richieste di iscrizione per il prossimo anno non sono calate, nemmeno per gli studenti stranieri: «Non sembra ci sia paura: forse con la crisi c’è stato un certo rimescolamento internazionale, tant’è che le domande presentate per venire nelle nostre residenze sono esplose».
A preoccupare tanti studenti è anche come cambierà il mercato degli affitti. Uniaffitti, un’agenzia che si occupa di affitti di stanze per studenti in tutta Italia, ha spiegato al Post di aver registrato «un calo repentino delle richieste: un 40-50 per cento in meno nelle prime settimane, per poi passare ad un 70 per cento nel mese di aprile». Normalmente tanti studenti si attivano con molto anticipo per cercare una sistemazione per l’anno accademico successivo, già da prima dell’estate: «quest’anno non è successo».
Da anni, in tante città, la tendenza dei proprietari di immobili a destinare le proprie case libere agli affitti brevi, come quelli offerti da servizi come Airbnb, ha provocato una minore disponibilità di case per affitti stabili, e un parallelo aumento dei prezzi che ha costretto molte persone a trasferirsi in periferia o fuori città. Per gli studenti, questo significa nella maggior parte dei casi allontanarsi dalle università. Una delle conseguenze più importanti dell’epidemia sul settore immobiliare è stata però che tante case prima destinate agli affitti brevi per turisti sia stata destinata a quelli più lunghi. Ovviamente non è detto che questa transizione duri anche quando l’epidemia sarà finita e i flussi turistici ritorneranno a regime. La previsione di Uniaffitti, comunque, è che «i prezzi medi delle stanze si abbasseranno» proprio a causa della riconversione degli appartamenti destinati prima agli affitti brevi.