La NBA sarà una bolla
I rigidi protocolli per la ripresa del più importante campionato di basket al mondo prevedono l'isolamento quasi totale di giocatori e staff, per settimane
Sta circolando sui media americani un documento di 100 pagine che elenca i rigidi e dettagliati protocolli di sicurezza previsti per la ripartenza della NBA, dopo la pausa legata all’epidemia da coronavirus. La data è fissata provvisoriamente a fine luglio e tutte le partite dovrebbero svolgersi interamente in un’area chiusa nel resort di Disney World, in Florida. Ma quello che emerge dal documento, pubblicato dal sito The Athletic, è che il principale campionato di basket nordamericano è stato interamente ripensato come una “bolla” senza contatti con l’esterno, o quasi.
La stagione era stata interrotta il 12 marzo, a meno di venti partite dalla fine della stagione regolare che precede i playoff, la fase finale a eliminazione diretta. Per la ripartenza sono state incluse 22 squadre, quelle già qualificate ai playoff o con una chance di farlo in quello che rimane della stagione. I piani sono finire la stagione regolare e disputare i playoff concludendo la stagione entro metà ottobre.
I protocolli sono il risultato di trattative tra la NBA, la Disney e il sindacato dei giocatori, e sono stati compilati con l’aiuto di vari esperti e autorità sanitarie. Sono talmente stringenti che lo stesso commissario generale della NBA Adam Silver li ha definiti «non per tutti», aggiungendo che richiederanno «enormi sacrifici da parte dei giocatori e di tutte le persone coinvolte».
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Il protocollo più delicato è quello che prevede che i giocatori potranno sostanzialmente muoversi soltanto tra gli hotel a loro assegnati, le sette strutture di allenamento e i tre palazzetti di gioco. Non saranno ammesse visite di famigliari e amici fino al secondo turno dei playoff: e quindi i giocatori le cui squadre andranno avanti a giocare rimarranno circa 50 giorni senza contatti al di fuori dei compagni e dello staff. Dopo potranno invitare un ospite a testa, che dovrà aver passato una settimana in auto-isolamento ed essersi sottoposto a due test.
Uscire dal campus non sarà vietato tassativamente, ma concesso soltanto per circostanze particolari, che includono cure mediche che non possono essere fornite nelle strutture, la nascita di un figlio, un lutto in famiglia, un parente gravemente malato o un matrimonio in famiglia organizzato in precedenza.
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Per ciascuna squadra, saranno ammesse nel “campus” in cui si terrà l’ultima parte della stagione un massimo di 37 persone, tra giocatori e staff. Tra questi, la NBA raccomanda alle squadre di includere uno specialista di salute mentale, per aiutare psicologicamente i giocatori. Arrivati a Orlando, in Florida, dovranno sottoporsi a due test per il coronavirus a distanza di 36-48 ore, rimanendo in quarantena nelle proprie camere di albergo nel frattempo. I tamponi non finiranno lì: saranno eseguiti periodicamente ma nella bocca dei giocatori, invece che nel naso, dove sono più fastidiosi. I test molecolari saranno integrati con quelli sierologici.
Se a un certo punto un giocatore risulterà positivo a un test, sarà messo in una struttura dedicata all’isolamento dei casi sospetti, e sottoposto ai tamponi di controllo. Se sarà confermata la sua positività, saranno ricostruiti i suoi contatti: tutte le persone che gli sono state a meno di un metro e mezzo per almeno 15 minuti nei giorni precedenti saranno testate.
Ai giocatori sarà poi proposto di indossare un braccialetto che rileva l’esposizione ravvicinata con altre persone che lo indossano, che sarà obbligatorio soltanto per i membri dello staff. I giocatori potranno anche indossare un anello elettronico che monitorerà alcuni parametri come battito cardiaco e respirazione. Il distanziamento fisico sarà raccomandato sempre, e i giocatori potranno togliere la mascherina soltanto in camera – quando sono soli – durante i pasti o quando si allenano o giocano.
Nel campus saranno previste aree ricreative destinate ai soli giocatori, con videogiochi, sale cinematografiche e altri tipi di intrattenimento, come dei dj set. Saranno garantiti anche i servizi di parrucchieri ed estetisti, su appuntamento. Le squadre saranno divise in tre hotel, sulla base del posizionamento in classifica, e i giocatori nella stessa struttura potranno socializzare liberamente.
I giocatori possono rifiutarsi di ricominciare a giocare, senza subire ripercussioni se non il taglio dello stipendio per le partite che non giocheranno. Non è una concessione che vale soltanto per le possibili preoccupazioni sanitarie personali: diversi giocatori di NBA, come Kyrie Irving dei Brooklyn Nets e Dwight Howard dei Los Angeles Lakers, hanno espresso preoccupazioni sul fatto che la ripresa della NBA possa allontanare l’attenzione pubblica e mediatica dalle proteste del movimento Black Lives Matter.