Le trattative per il debito argentino stanno andando molto male
Governo e creditori non sembrano disposti a muoversi dalle rispettive posizioni e c'è il rischio che finisca tutto in tribunale
I negoziati del governo dell’Argentina con i rappresentanti dei fondi di investimento a cui deve versare 500 milioni di dollari, quasi 460 milioni di euro, stanno andando male e sono arrivati a uno stallo. Entrambe le parti non sembrano disposte a muoversi dalle loro posizioni. Il governo guidato dal peronista moderato Alberto Fernández ha fatto sapere di non potersi «impegnare responsabilmente» a rispettare le richieste dei creditori, perché impedirebbero la stabilità economica del paese. Gli obbligazionisti, a cui fa capo anche il potente fondo BlackRock, hanno a loro volta dichiarato che il governo si è «allontanato» da ogni «soluzione sostenibile e ragionevole», aggiungendo che stavano «prendendo in considerazione tutte le vie legali disponibili». Oggi, venerdì 19 giugno, scade il termine entro cui trovare un accordo.
Gli obbligazionisti proprietari del debito argentino sono cinque grandi fondi di investimento internazionali che avevano prestato soldi al paese comprando i suoi titoli di stato: titoli ad alto rendimento, visto l’alto rischio di fallimento del paese. Il debito pubblico argentino (di quasi 450 miliardi di dollari) pesa per quasi il 90 per cento del prodotto interno lordo del paese: in parte è di proprietà estera e in valuta estera, cioè in dollari, in parte sono debiti con il Fondo Monetario Internazionale e titoli locali in pesos. Il debito era stato contratto soprattutto dall’amministrazione del presidente Mauricio Macri, che nel 2016 aveva iniziato una serie di difficili riforme.
A metà aprile Fernández (eletto nell’ottobre del 2019) aveva presentato un piano di rinegoziazione del debito estero di circa 70 miliardi di dollari: l’Argentina aveva chiesto ai creditori di cambiare le condizioni a cui era stato effettuato il prestito, restituendo una cifra minore e/o in un tempo più lungo. La rinegoziazione proposta da Fernandez avrebbe comportato una riduzione degli interessi dovuti dall’Argentina del 62 per cento e la sospensione dei pagamenti per i prossimi tre anni, in prossimità della scadenza del suo mandato.
L’offerta era stata respinta da tre dei cinque gruppi di investitori: accettarla avrebbe causato un ingiusto danno finanziario ai detentori dei titoli di stato argentini (che sulla stampa vengono anche chiamati “tango bond”). I creditori avevano chiesto al governo di presentare un piano a lungo termine che garantisse il ripristino della stabilità finanziaria e che chiarisse come avrebbe ripagato il debito dell’FMI, che ha la priorità su quello privato.
L’ultima offerta argentina, che secondo quanto scrivono alcuni giornali prevede uno sconto complessivo del 50 per cento del valore netto del debito con l’aggiunta di un bonus proporzionale agli attivi delle esportazioni, è stata però nuovamente respinta dal gruppo più grande di creditori. In una nota hanno scritto che il governo ha scelto di rifiutare una controproposta «sostenibile e ragionevole» che avrebbe offerto al paese ampio spazio «per attuare politiche responsabili» e per «affrontare le sfide economiche e sociali immediate, anche in risposta alla crisi COVID-19, preservando allo stesso tempo il valore per gli obbligazionisti internazionali». Da parte sua, qualche giorno fa, Fernández ha fatto sapere che il governo pagherà nella misura in cui potrà farlo, e che non si muoverà «di un millimetro»: «I creditori non possono pretendere dall’Argentina quello che non esigono dal resto del mondo. Speriamo di poter avvicinare le nostre posizioni, ma se non vogliono, non dipende più da me».
Il Financial Times scrive che gli investitori non hanno in generale molta fiducia nell’attuale governo e nelle sue ultime decisioni, per esempio l’espropriazione del più grande esportatore di cereali del paese, Vicentin, di cui lo stato è creditore. C’è il timore che il presidente, considerato da molti un pragmatico, abbia ceduto alle posizioni più radicali portate avanti dall’ex presidente del paese e attuale vicepresidente, Cristina Fernández de Kirchner: «Nel mondo degli affari, l’idea della moderazione di Alberto è sfumata e si è invece consolidata la convinzione che Cristina è quella che decide all’interno del governo», scrive oggi il quotidiano El Clarín.
La situazione economica del paese è comunque molto critica e potrebbe aggravarsi ancor di più se gli obbligazionisti decidessero di ricorrere al tribunale, come è già accaduto dopo l’ultimo grande default del 2001, con la conseguenza di escludere il paese dai mercati finanziari internazionali per più di dieci anni. L’Argentina ha una recessione in peggioramento (il PIL è calato del 3 per cento nel 2019 e del 5,7 per cento nel primo trimestre del 2020), l’inflazione è sopra al 50 per cento e il 35,5 per cento della popolazione vive in povertà (in base ai criteri statistici dell’IDEC, l’equivalente argentino dell’ISTAT). La situazione è stata ulteriormente aggravata dall’emergenza causata dall’epidemia di COVID-19: soltanto a marzo il prodotto interno lordo del paese si è ridotto del 12 per cento rispetto a marzo 2019.