“Come non rispondere a una pandemia”
Secondo l'Economist la gestione del governo britannico ha portato il Regno Unito ad avere più morti e a riaprire molto in ritardo rispetto al resto d'Europa
Il numero di questa settimana dell’Economist, il più importante settimanale britannico, contiene una dura accusa al governo del primo ministro Boris Johnson per come ha gestito l’epidemia da coronavirus in Regno Unito. Una risposta lenta, il ritardo nell’imposizione delle restrizioni, la confusione delle prime comunicazioni sulla strategia da adottare contro il virus, hanno fatto sì che oggi la situazione nel Regno Unito sia peggiore rispetto al resto d’Europa. Questo è dipeso da alcune cause fuori dal controllo della politica, ma in una parte significativa è la conseguenza della gestione del governo che, dice l’Economist, «ha giocato male una brutta mano di carte che gli era capitata».
Il Regno Unito è il paese europeo che continua a registrare in media più contagi ogni giorno: sono oltre 1.300, contro i circa 300 dell’Italia. Ed è anche quello in cui sono stati confermati più casi positivi (300.469) e più decessi (42.288) dall’inizio dell’epidemia. Le misure di lockdown ancora in vigore sono più rigide di quelle degli altri paesi: i pub e i ristoranti, ma anche i parrucchieri, sono ancora chiusi, a differenza di quanto succede ormai da diverse settimane in Italia, Francia e Spagna, gli altri paesi europei più colpiti. Il governo raccomanda ancora di stare a casa il più possibile, e i negozi non essenziali hanno riaperto soltanto il 15 giugno. Alcune scuole invece hanno riaperto o riapriranno a luglio, a differenza di quanto avviene in Italia. La curva dei contagi del Regno Unito è scesa visibilmente meno rispetto a quella degli altri paesi europei.
«I cittadini britannici si stanno chiedendo come sono arrivati ad avere un tasso di mortalità complessivo più alto di tutti gli altri paesi ricchi, e perché uscire dal lockdown sia così complicato» dice l’Economist, che formula una sua ipotesi, con relativa accusa.
Quando nella prima metà di marzo i paesi europei, Italia per prima, cominciavano a imporre le misure di lockdown, le chiusure e il distanziamento sociale, il Regno Unito si comportava diversamente: il 7 marzo a Londra si teneva una partita di rugby alla presenza dello stesso Johnson, con oltre 80mila persone; l’11 marzo il Liverpool giocò in un Anfield Stadium gremito, con 3mila tifosi provenienti dalla Spagna per sostenere l’Atletico Madrid; tre giorni dopo si concludeva il Cheltenham Festival, che aveva attirato 250mila appassionati di ippica.
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Il lockdown nel Regno Unito arrivò soltanto il 23 marzo. Dieci giorni prima, il governo aveva segnalato l’impatto “positivo” delle visite famigliari nelle case di riposo, che in Italia erano chiuse a chiunque da due settimane. L’Economist stima che un ospite su 14 delle case di riposo britanniche sia morto per il coronavirus: circa il 7 per cento (in Italia le stime peggiori parlano del 3,1 per cento, pur con picchi del 6,5 per cento in Lombardia).
Ci sono delle cause indipendenti dalle decisioni del governo: i britannici sono mediamente più sovrappeso degli altri europei, ci sono più persone di minoranze etniche tra le quali sono più diffusi diabete e malattie cardiovascolari, e Londra, con i suoi centinaia di voli quotidiani in arrivo, ha probabilmente ricevuto persone infette da molti paesi.
Ma nonostante avesse avuto tempo per osservare la prima risposta in altri paesi, come Italia e Spagna, il governo britannico aveva tenuto un approccio iniziale autonomo e piuttosto azzardato: proteggere le persone vulnerabili, ma imporre soltanto restrizioni minime sul resto della popolazione, in modo da far circolare il virus e costruire un’immunità di gregge. Il governo si fidò degli esperti del Scientific Advisory Group on Emergencies (SAGE), che inizialmente non raccomandò la sospensione dei grandi eventi, ritenendo non fosse una misura molto efficace nel contenimento del contagio. «Adesso è chiaro che gli scienziati britannici, inizialmente, suggerirono l’approccio sbagliato».
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Johnson voleva proteggere l’economia, dice l’Economist, secondo cui «ha seguito il suo istinto liberale» e «ha ascoltato i consigli che voleva sentire», come ha sostenuto Lawrence Freedman del King’s College di Londra. Intorno alla metà di marzo, con l’emergere di più dati sulla circolazione del virus, fu evidente che la strategia doveva essere cambiata: ma questa transizione avvenne lentamente, «con il risultato che quando il paese fu chiuso il virus si era diffuso più estesamente che in Francia, Spagna o Italia». Neil Ferguson, epidemiologo dell’Imperial College London, ha stimato che se il Regno Unito avesse imposto il lockdown una settimana prima le morti sarebbero state la metà, o meno.
L’Economist critica anche la gestione britannica dei test, e in particolare il ritardo nel coinvolgere anche i laboratori privati e universitari. La confusione iniziale sulle mascherine, che ha riguardato un po’ tutti i paesi, si è protratta poi molto più a lungo nel Regno Unito, dove ancora il 21 aprile il SAGE disse che le prove a sostegno della loro efficacia erano “deboli”, pur raccomandando di indossarle nei luoghi affollati. Soltanto il 15 giugno il governo le ha rese obbligatorie sui mezzi pubblici. Tuttora non sono obbligatorie nei negozi. «Perché il Regno Unito ci abbia messo così tanto non è chiaro: probabilmente è stato un misto di mentalità campanilistica che ha impedito di osservare le strategie migliori adottate all’estero, e di una paura anglosassone di sembrare paternalistici» ipotizza l’Economist.
La dolorosa conclusione è che il Regno Unito ha il governo e il primo ministro sbagliati per una pandemia. Eletto a dicembre con lo slogan “Get Brexit Done”, non ha prestato abbastanza attenzione alla COVID-19. I ministri sono stati scelti su basi ideologiche, e candidati di talento con le idee sbagliate sono stati esclusi. Johnson ha ottenuto il suo incarico perché è abile in campagna elettorale ed è un intrattenitore carismatico, del quale il Partito Conservatore si è innamorato. Ma combattere il coronavirus richiede attenzione ai dettagli, costanza e dedizione, e non sono il suo forte.
La pandemia lascia molte lezioni al governo (…). Eccone una per gli elettori: quando scegliete una persona o un partito per cui votare, non sottovalutate l’importanza dell’ordinaria e buona competenza.