I due casi di coronavirus in Nuova Zelanda, dopo tre settimane senza contagi
Sono due donne britanniche a cui era stato concesso di interrompere la quarantena in anticipo: la prima ministra ha parlato di «fallimento inaccettabile»
La prima ministra neozelandese Jacinda Ardern ha definito «un fallimento inaccettabile del sistema» il fatto che due persone risultate poi positive al coronavirus abbiano potuto interrompere la quarantena in anticipo per partecipare a un funerale. Le due donne erano arrivate dal Regno Unito per vedere un parente in fin di vita: sei giorni dopo essersi messe in isolamento, il parente era morto e loro avevano ricevuto il permesso di andare al funerale. Per tre settimane la Nuova Zelanda non aveva registrato nuovi contagi da coronavirus, tanto che aveva tolto tutte le restrizioni, escluse quelle valide per chi arrivava dall’estero.
«È stato un fallimento inaccettabile del sistema. Non sarebbe mai dovuto succedere e non può ripetersi»
Ardern ha deciso di nominare un comandante dell’Aeronautica Militare, Digby Webb, a capo delle operazioni di controllo sugli ingressi e sulle quarantene. «I nostri confini, e il loro controllo, devono essere rigorosi», ha detto Ardern. Per questo il governo ha deciso di sospendere le eccezioni “compassionevoli” alle misure di quarantena, nelle quali rientrava la deroga concessa alle due donne provenienti dal Regno Unito.
Secondo le autorità sanitarie neozelandesi, le donne che sono risultate positive avevano viaggiato da Auckland a Wellington utilizzando un mezzo privato, e una volta arrivate al funerale erano state in contatto con un solo familiare, che al momento è stato messo in quarantena. Solo dopo il risultato del test, una delle due donne ha detto che nei giorni precedenti aveva mostrato alcuni sintomi riconducibili alla COVID-19, ma che li aveva attribuiti a una malattia di cui soffre da tempo.
La Nuova Zelanda finora ha registrato meno di 1.500 casi di contagio e solamente 22 morti, grazie anche a precoci chiusure arrivate già con i primi casi lo scorso 25 marzo, un approccio che era stato lodato da diversi commentatori internazionali e dall’Organizzazione mondiale della sanità. La gestione dell’emergenza da parte della Nuova Zelanda era stata definita come una strategia “di eliminazione”, anziché “di contenimento”, come quella degli Stati Uniti e di altri paesi europei.