Un ragazzo giapponese vuole fare ricorso costituzionale contro una legge sui videogiochi
Permette ai minorenni di giocarci solo un'ora al giorno ed è stata introdotta nella prefettura di Kagawa da un consigliere ultraconservatore
Un ragazzo giapponese vuole fare causa al governo locale della prefettura di Kagawa che lo scorso aprile ha introdotto un’ordinanza che limita il tempo quotidiano che i minorenni possono dedicare ai videogiochi e ai loro smartphone. Il suo obiettivo è far dichiarare il provvedimento anticostituzionale.
Il ragazzo si chiama Wataru (il suo cognome non è stato diffuso perché è minorenne), ha 17 anni e vive nella prefettura di Kagawa, sull’isola di Shikoku. Ritiene che decidere quanto debba essere il tempo che i ragazzi dedicano ai videogiochi dovrebbe essere un diritto delle famiglie e ha coinvolto un noto avvocato costituzionalista giapponese per assisterlo dal punto di vista legale.
– Leggi anche: Fortnite non è solo un gioco
Lo scorso aprile, il governo di Kagawa aveva introdotto un’ordinanza che impone un limite massimo al tempo che le persone sotto ai vent’anni (la maggiore età in Giappone) possono dedicare ai videogiochi: 60 minuti durante la settimana, 90 minuti nei fine settimana. L’ordinanza prevede inoltre che i ragazzi tra i 12 e i 15 anni non usino lo smartphone oltre le 21, e che quelli tra i 15 e i 18 anni smettano di usarlo alle 22.
Non sono previste multe o pene in caso di violazione, ma il provvedimento è stato introdotto in un contesto – quello giapponese – in cui c’è un’intensa pressione sociale a rispettare ciò che le autorità stabiliscono.
Dal 2018 la “dipendenza da videogiochi” è una malattia riconosciuta dall’OMS.
In Giappone, il governo nazionale ha creato una commissione di esperti (composta, tra gli altri, da psicologi dell’età evolutiva e manager del settore della produzione dei videogiochi) per costruire linee guida su come affrontare il problema. Nel paese, in generale, è da tempo in corso un dibattito sugli effetti dei videogiochi sulla salute psicofisica, sui rapporti sociali e sull’andamento scolastico dei minorenni.
La prefettura di Kagawa però si è mossa in autonomia, e ha introdotto l’ordinanza su pressione di Ichiro Oyama, un membro del consiglio della prefettura.
Oyama è un ultraconservatore che sostiene la necessità di reintrodurre nel sistema educativo giapponese l’insegnamento dei “valori tradizionali familiari”, per i quali i videogiochi costituirebbero una minaccia.
L’ordinanza è stata introdotta durante la pandemia da coronavirus, in un momento in cui i ragazzi avevano poche altre distrazioni e i genitori erano più favorevoli a lasciarli giocare ai videogiochi quanto volevano.
– Leggi anche: Il videogioco che sta facendo fare un sacco di soldi a Nintendo
Wataru dice nonostante non sia d’accordo con la nuova norma, l’ha comunque sempre rispettata, e non incoraggia i suoi coetanei e le loro famiglie alla disobbedienza civile. Ritiene però che ci siano modi migliori per risolvere il problema della dipendenza da videogiochi. Sostiene che le norme introdotte dalla prefettura di Kagawa non abbiano basi scientifiche, che siano una violazione dei diritti individuali e della libertà di espressione, e che siano un’intrusione inaccettabile dello stato nella vita delle famiglie.
L’avvocato che ha accettato di rappresentarlo nella causa contro il governo locale è Tomoshi Sakka. Dalla fine della guerra a oggi, in Giappone è successo soltanto dieci volte che qualcuno vincesse un ricorso costituzionale. Tomoshi Sakka ha vinto il più recente, facendo ricorso contro una legge che proibiva alle donne di risposarsi nei sei mesi successivi a un divorzio, e per questo è piuttosto noto nel paese. Dice che Wataru ha buone possibilità di vincere il ricorso, mentre altri esperti sostengono che sia difficile, perché la norma non prevede esplicite punizioni, e quindi è difficile misurarne il concreto impatto sui diritti dei bambini e dei ragazzi.