L’OMS ha fatto confusione sugli asintomatici
Una funzionaria dell'Organizzazione ieri aveva definito "molto raro" il contagio da parte di chi non ha sintomi, ma oggi è tornata sulla questione parlando di un "fraintendimento"
Nelle ultime ore sono state molto riprese le dichiarazioni di una funzionaria dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che nel corso di una conferenza stampa sull’andamento della pandemia da coronavirus aveva detto che le persone asintomatiche (cioè prive di sintomi) non sono “una grande causa” di nuove infezioni. Queste informazioni erano state riprese dai media senza fornire particolari dettagli per comprendere il contesto, e generando qualche confusione. Oggi pomeriggio la stessa funzionaria ha rivisto le proprie dichiarazioni parlando di un “fraintendimento”, aggiungendo confusione a confusione su un tema molto delicato e dibattuto.
La contagiosità degli asintomatici è infatti discussa da mesi da numerosi ricercatori, alcuni dei quali avevano già sollevato dubbi circa la rilevanza delle persone prive di sintomi nella diffusione del contagio.
Le dichiarazioni sugli asintomatici erano state espresse ieri da Maria Van Kerkhove, responsabile del dipartimento dell’OMS che si occupa delle nuove malattie e delle zoonosi, cioè del passaggio dei virus dagli animali agli esseri umani. Kerkhove aveva risposto a una domanda sul tema, spiegando di avere analizzato i dati provenienti dai paesi che più di altri hanno effettuato il tracciamento dei contatti, per identificare velocemente i potenziali nuovi contagi e isolarli rallentando la diffusione dell’epidemia. Secondo la sua interpretazione, i dati dicevano che solo in rari casi gli asintomatici avevano portato a nuovi contagi, chiarendo però che è molto difficile stabilire con certezza se una persona sia priva di sintomi.
In buona parte dei casi, e soprattutto negli individui più giovani, un’infezione da coronavirus SARS-CoV-2 comporta sintomi molto lievi, al punto da non essere sempre riconosciuti come causati dalla COVID-19. Le persone con pochi sintomi sono sostanzialmente inconsapevoli di essere infette e continuano a condurre una vita normale, senza isolarsi e facendo aumentare il rischio di contagiare qualcun altro.
All’inizio della pandemia alcune ricerche avevano segnalato la possibilità che gli asintomatici fossero nella maggior parte dei casi contagiosi. Parte di quegli studi si era però rilevata incompleta o poco precisa, portando a nuove ricerche e confronti tra la comunità scientifica. Il tema è dibattuto ancora oggi e non è completamente chiaro quale sia il ruolo degli asintomatici nella diffusione della COVID-19.
Kerkhove aveva spiegato che gli asintomatici propriamente detti tendono ad essere malati solo lievemente: non mostrano segni tali da fare pensare a una COVID-19 e spesso non hanno ancora sviluppato la febbre.
Lo stesso uso del termine “asintomatici” in questi mesi ha causato qualche confusione, derivante dalla definizione di “sintomo”, non sempre immediata. In linea generale, un sintomo è un’alterazione che viene percepita e riferita dal paziente, quando nota qualcosa di diverso dalla normale sensazione che ha del suo organismo e di sé. Un sintomo è quindi soggettivo ed è diverso dal segno, che deriva invece da un riscontro oggettivo ottenuto tramite un esame o un’analisi di laboratorio.
Un asintomatico è un individuo che non percepisce un cambiamento nel suo normale modo di essere e di sentirsi. Può quindi accadere che un paziente non si accorga di essere malato, anche se un esame obiettivo indica la presenza di uno o più segni che indicano un problema di salute. Nel caso degli asintomatici con coronavirus, i segni che fanno pensare a una COVID-19 possono essere molto lievi e tali da sfuggire anche a una normale visita medica.
Al termine della conferenza stampa di ieri, Kerkhove aveva chiarito le sue dichiarazioni, rimandando a un documento dell’OMS da poco diffuso sulle modalità di trasmissione e di contagio legate al coronavirus. Il documento dice che:
Studi esaurienti sulla trasmissione da individui asintomatici sono difficili da fare, ma le evidenze disponibili derivanti dal tracciamento dei contatti segnalate da alcuni stati membri suggeriscono che gli individui infetti e asintomatici abbiano meno probabilità di trasmettere il virus rispetto a quelli che sviluppano sintomi.
Le indicazioni dell’OMS ricordano inoltre che per avere dati chiari è necessario suddividere adeguatamente gli asintomatici dai presintomatici e dai paucisintomatici (chi sviluppa pochi sintomi).
La formulazione del documento risulta comunque un po’ meno categorica rispetto a quella di Kerkhove, che per questo aveva ricevuto diverse critiche da altri esperti. Oggi Kerkhove ha quindi chiarito meglio le proprie dichiarazioni, dicendo di averle basate su “due o tre ricerche” e che sarebbe stato scorretto sostenere che la trasmissione dagli asintomatici sia rara a livello globale: “Stavo semplicemente rispondendo a una domanda, non stavo indicando una regola dell’OMS o qualcosa del genere”.
Secondo alcuni studi tra il 40 e il 60 per cento dei contagi è stato causato da persone che non avevano sintomi. Il gruppo di lavoro che a Singapore si sta occupando del tracciamento dei contatti ha stimato che circa la metà dei nuovi casi positivi siano individui asintomatici. La stima è stata effettuata sulla base dei risultati dei test condotti dalla popolazione per valutare la diffusione del coronavirus.
Come per molti altri dettagli legati alla pandemia, a oggi non ci sono ancora elementi a sufficienza in letteratura scientifica per determinare con certezza il ruolo degli asintomatici nella diffusione del contagio. Il coronavirus è del resto noto da poco più di cinque mesi e la raccolta di dati e informazioni sui suoi effetti richiede tempo. Soprattutto nella scienza medica le certezze sono poche e quelle che esistono vengono talvolta messe in discussione da nuove scoperte. È un processo complicato e per certi versi imprevedibile, ma che contribuisce in ultima istanza a darci le opportunità per ammalarci di meno, guarire e prevenire le malattie.