Undici canzoni di Barbara
Era nata novant'anni fa e diventò una delle persone più importanti e commoventi della cultura francese del Novecento
Barbara, nata il 9 giugno di novant’anni fa e morta nel 1997, è stata un’attrice e cantante francese. Queste sono le sue canzoni che Luca Sofri, il peraltro direttore del Post, aveva scelto per il libro Playlist, la musica è cambiata.
Barbara (1930, Parigi, Francia – 1997, Neuilly sur Seine, Francia)
Si chiamava Monique Serf, e diventò una delle figure più importanti e commoventi della cultura francese del Novecento. Cantautrice, con solidi legami con Jacques Brel come con Maurice Bejàrt e con Gérard Depardieu, era elegante, raffinata, sempre in nero e dall’aspetto austero e corvino. Amatissima, e insignita della Legion d’Onore, ha scritto canzoni dolcissime e quasi sempre molto malinconiche, frutti di un’infanzia tormentata.
J’ai troqué
(La chanteuse de minuit, 1958)
In filastrocca, un elogio della vita da marciapiede, liberatrice e gioiosa più di certe pesantezze domestiche.
Vous entendrez parler de lui
(Dis, quand reviendras-tu?, 1963)
“Sentirete parlare di lui”, ho sempre pensato fosse l’auspicio orgoglioso di una madre per le grandi glorie che attendevano il figlio. Invece lui è un amore partito, e su di lui si sentono dire molte cose. Ma non credeteci.
Sans bagages
(Barbara chante Barbara, 1964)
Per non dire della straordinaria dolcezza con cui Barbara si fa scivolare in bocca i versi: qui c’è il fantastico scioglilingua “il y a tant et tant de temps que je t’attends”.
Septembre
(Barbara, 1965)
“Che bella giornata per dirsi arrivederci, che bella serata per godersi i vent’anni.” Settembre, per i francesi, non ha quella malinconia drammatica in cui l’avvolgono le canzoni italiane: “la fine dell’estate non era mai parsa così bella”.
Le mal de vivre
(Bobino 67, 1967)
“Non avvisa, prima di arrivare, e viene da lontano”, il male di vivere. Così, come niente, una mattina. E allora pensiamo agli altri, a quelli da cui era già arrivato, e non ci abbiamo fatto caso, non li abbiamo presi sul serio. E poi, come niente, una mattina, arriva: la gioia di vivere. La-la-la…
Ma plus belle histoire d’amour
(Ma plus belle histoire d’amour, 1967)
Leggendaria dichiarazione d’amore al suo pubblico e consuntivo di questa lunga relazione parallela alle vicissitudini sentimentali dell’autrice (e non priva a sua volta di delusioni, separazioni e dolori): “la mia storia d’amore più bella siete voi”.
La solitude
(Une soirée avec Barbara, 1969)
C’è chi raccoglie per strada un gatto, e pensa che serva contro la solitudine. E chi invece raccoglie per strada la solitudine, e ci si affeziona.
Chapeau bas
(Une soirée avec Barbara, 1969)
Non è male, come messaggio di gratitudine al destino (angelo o demone) che ha messo sul nostro cammino un amore come questo: “grazie, e tanto di cappello”.
Göttingen
(Une soirée avec Barbara, 1969) “Certo, noi abbiamo la Senna. E il Bois des Vincennes. Ma come sono belle, le rose, a Gottinga.” Una canzone di riconciliazione francotedesca: “fa’ che non torni più il tempo del sangue e dell’odio, perché ci sono persone che amo, a Gottinga”.
Une petite cantate
(Pleins feux sur Barbara, 1971)
I bambini “normali”, da piccoli, sapevano quella canzoncina che era in una pubblicità con una famiglia felice, ante-mulinobianco: si-mi, si-mi, si-re, si-re… I bambini con i genitori intellettuali di sinistra invece conoscevano: “si mi la re si mi la re si sol do fa”, una canzone di Barbara dedicata alla sua giovane amica pianista Liliane Benelli, morta in un incidente stradale a cui sopravvisse il cantante Serge Lama, suo fidanzato. Ma queste cose, da bambini, non le sapevamo: “si mi la re si mi la re si sol do fa”.
Nantes
(Pleins feux sur Barbara, 1971)
Nantes è il posto dove Barbara non era mai stata prima della morte del padre (“à l’heure de sa dernière heure”): non si erano più rivisti da quando lui aveva abbandonato la famiglia molti anni prima. Lei stessa aveva raccontato di averne subito gli abusi da bambina. “Piove, a Nantes: dammi la mano, il cielo di Nantes mi è grave al cuore.” Lei arriva in città, avvisata della sua malattia, che lui è già morto “sans un adieu, sans un je t’aime”. “Mio padre, mio padre”.