Sapremo mai da dove arriva il coronavirus?
Siamo certi che abbia contagiato l'uomo attraverso un animale, ma non sappiamo ancora quale e potremmo non scoprirlo mai
Il 19 maggio scorso, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha approvato una risoluzione per avviare un’indagine indipendente sulla gestione dell’epidemia da coronavirus, con particolare attenzione a come il virus abbia avuto origine e si sia diffuso in Cina e nel resto del mondo. Le ricerche sulle origini della pandemia dureranno per mesi, ma secondo alcuni esperti potrebbero rivelarsi inconcludenti, con una possibilità piuttosto concreta di non scoprire mai in quali circostanze l’attuale coronavirus (SARS-CoV-2) si sia trasmesso agli esseri umani, causando poi milioni di contagi e centinaia di migliaia di morti.
Virologi ed esperti ritengono che il virus sia naturale e che abbia avuto origine nei pipistrelli, trasmettendosi poi a noi attraverso almeno un passaggio intermedio in un’altra specie animale. Da mesi, però, teorie del complotto sostengono che l’attuale pandemia sia stata il frutto di un errore (in alcuni casi di un atto deliberato) in un laboratorio della Cina. A oggi non sono state trovate prove in tal senso e le analisi sul coronavirus sembrano indicare un’origine naturale, ma le teorie sulla sua produzione nei laboratori continuano a circolare e sono state citate esplicitamente dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, implicando una diretta e grave responsabilità da parte del governo cinese.
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Il tema delle origini del coronavirus è discusso da numerosi gruppi di ricerca in giro per il mondo, ed è naturalmente molto seguito in Cina, dove ha avuto inizio la pandemia. Un nuovo studio da poco pubblicato nella sua versione preliminare, quindi da prendere con qualche cautela, ha rilevato che il SARS-CoV-2 sembra strettamente legato a virus di un gruppo noto per infettare il genere di pipistrello Rhinolophus. I ricercatori cinesi sono arrivati a questa conclusione analizzando sequenze genetiche di coronavirus trovate in oltre 1.200 pipistrelli.
Lo studio offre qualche elemento in comune con altre ricerche, che avevano evidenziato come uno specifico coronavirus (RATG13) trovato in alcuni pipistrelli avesse caratteristiche genetiche al 96 per cento in comune con quelle del SARS-CoV-2. Nella nuova ricerca viene citata l’area dello Yunnan come possibile zona di diffusione dei due tipi di virus, ma è comunque difficile dire con certezza se sia stata quell’area il punto di origine delle infezioni. I Rhinolophus sono molto presenti in Myanmar e nel Laos: alcuni esemplari infetti potrebbero essere arrivati da quei due paesi, infettando poi altri loro simili in Cina.
Il nuovo studio è firmato, tra gli altri, da Shi Zheng-Li, virologa dell’Istituto di virologia di Wuhan (WIV), famoso proprio per le attività di ricerca sul rapporto tra pipistrelli e coronavirus. Il fatto che il laboratorio si trovi nella città da cui è iniziata l’epidemia ha contribuito alle teorie sull’origine “artificiale” del SARS-CoV-2. In realtà il WIV è attivo da molti anni e nel corso del tempo ha ricevuto numerosi riconoscimenti per le attività svolte dai suoi ricercatori. La stessa Shi ha sempre respinto ogni accusa o ipotesi su una corresponsabilità del WIV nella diffusione dell’epidemia. Da tempo la virologa segnalava inoltre gli alti rischi dei contagi tra pipistrelli ed esseri umani.
Le ricerche condotte finora sul coronavirus, comunque, si sono dovute confrontare con lo stesso problema: nessuno dei virus trovati nei pipistrelli è simile a sufficienza al SARS-CoV-2 per dire con certezza che sia un suo antenato, poi mutato adattandosi al nostro organismo. Si ritiene quindi che tra i pipistrelli e noi ci sia stato almeno un passaggio intermedio, che avrebbe interessato animali di un’altra specie. Ipotesi simili erano state formulate del resto già in passato per altre malattie: il coronavirus che causa la SARS sarebbe arrivato a noi passando prima dai pipistrelli agli zibetti, mentre quello della MERS dai pipistrelli ai cammelli.
I ricercatori dovrebbero quindi trovare un coronavirus con caratteristiche quasi identiche al SARS-CoV-2 in una specie intermedia: sarebbe la prova più indicativa per ricostruire il passaggio del virus agli esseri umani. Ottenere questo risultato non è però semplice e richiede l’analisi di una grande quantità di animali. Indagini di questo tipo sono attualmente in corso, ma finora il governo cinese non ha fornito molti dettagli né su come siano condotte le ricerche a campione, né sugli esiti dell’iniziativa.
Il sito della rivista scientifica Nature ha dedicato un recente e approfondito articolo sulle ricerche intorno all’origine del coronavirus, occupandosi anche delle ipotesi su una sua origine in laboratorio. Al momento non ci sono né prove né indizi per sostenere che il SARS-CoV-2 sia stato il frutto di una contaminazione da laboratorio. Dimostrare in modo incontrovertibile che il WIV non c’entri nulla sarà comunque difficile e richiederà molto tempo (secondo i più scettici potrebbe rivelarsi impossibile).
Il centro di Wuhan ha nei propri laboratori campioni di diversi coronavirus. Anche se dalle informazioni ottenute finora appare improbabile, una via di contagio potrebbe essersi aperta se un operatore si fosse accidentalmente infettato, trasmettendo poi il coronavirus ad altri individui all’esterno del laboratorio.
Il direttore del WIV nega questa eventualità, anche perché il centro tiene costantemente traccia di tutti gli esperimenti condotti nei propri laboratori. Il WIV, inoltre, ospita un laboratorio di biosicurezza di livello 4, uno dei pochi al mondo e con misure estremamente rigide di controllo e strumentazioni di sicurezza, proprio per evitare che si verifichino contaminazioni degli operatori o verso l’esterno.
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Il direttore del centro lo ha spiegato in più occasioni ai media cinesi, mentre non ha fornito particolari dichiarazioni ai giornali internazionali, comportamento seguito del resto da diverse altre persone all’interno del centro. I giornalisti di Nature hanno provato a ottenere qualche informazione, ma senza successo.
Solamente un’indagine approfondita e indipendente presso il WIV potrebbe escludere eventuali responsabilità del centro di ricerca o di qualche operatore, ma data la sensibilità delle ricerche svolte al suo interno e le reticenze del governo cinese appare difficile che possa succedere. Si tratterebbe di analizzare i campioni utilizzati nei mesi tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020 nei vari laboratori, alla ricerca di virus con caratteristiche comuni o identiche a quelle del SARS-CoV-2, ricostruendo poi le attività svolte dagli operatori sui singoli campioni, alla ricerca di eventuali contaminazioni. Un’attività di questo tipo avrebbe però un grande impatto sull’intero WIV, che come molti altri centri di ricerca su agenti infettivi pericolosi mantiene una certa riservatezza sulle attività che conduce.
In questi mesi il SARS-CoV-2 è stato comunque analizzato in laboratorio da decine di centri di ricerca in giro per il mondo, che ne hanno studiato le caratteristiche genetiche e condotto simulazioni sulla sua evoluzione. Le analisi hanno indicato un’origine naturale del coronavirus e non hanno rilevato elementi tali da fare ipotizzare una sua creazione in laboratorio.
Di solito per realizzare artificialmente un virus si parte da una struttura già esistente, ma nel caso dell’attuale coronavirus non sono note strutture di altri agenti infettivi che avrebbero potuto fare da base di partenza. Altre caratteristiche, come i meccanismi utilizzati dal SARS-CoV-2 per legarsi alle cellule (che sfrutta per replicarsi) sono il frutto di una selezione naturale attraverso mutazioni casuali avvenute tra diverse generazioni del coronavirus.
Numerosi esperti concordano sul fatto che potremmo non sapere mai quale sia stata l’effettiva origine del SARS-CoV-2 e i passaggi che lo hanno portato a diffondersi, dai pipistrelli ad almeno un’altra specie intermedia e da questa infine a noi. Era comunque noto da tempo che un coronavirus avrebbe potuto causare una pandemia e che ogni paese si sarebbe dovuto attrezzare, coordinandosi con il resto della comunità internazionale, per ridurre l’impatto di una nuova malattia ancora sconosciuta. L’analisi di come sono andate le cose, dal punto di vista della gestione dell’emergenza sanitaria, potrebbe offrire importanti spunti per migliorare la risposta nel caso di future nuove pandemie.