È stato ordinato il sequestro della sede di CasaPound
Il movimento neofascista occupa l'edificio dal 2003: oggi la Procura di Roma ne ha chiesto il sequestro preventivo con l'accusa di "occupazione abusiva"
Giovedì mattina le agenzie di stampa DiRE e Adnkronos hanno scritto che è stato notificato il provvedimento di sequestro dell’edificio pubblico occupato abusivamente a Roma da CasaPound, nota organizzazione neofascista. «A conclusione di una indagine condotta dalla Digos della Questura di Roma, la Procura della Repubblica capitolina ha chiesto e ottenuto dal gip un sequestro preventivo, con riferimento al reato di occupazione abusiva, dell’immobile in via Napoleone III, sede di CasaPound». La notizia è stata confermata anche dalla sindaca di Roma Virginia Raggi, ospite della trasmissione Coffee Break su La7, e ripresa dagli altri giornali.
ANSA scrive che i dirigenti di CasaPound Gianluca Iannone, Andrea Antonini e Simone Di Stefano sono indagati con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata all’istigazione all’odio razziale e occupazione abusiva di immobile.
Si era tornati a parlare del sequestro già da ieri. In un primo momento, la notizia era stata data per certa – anche dalla vice-ministra dell’Economia Laura Castelli – ma poi non era stata confermata ufficialmente e la questura stessa aveva smentito.
L’edificio di cui si parla si trova in via Napoleone III a Roma, in una zona abbastanza centrale della città – adiacente alla stazione Termini e a meno di due chilometri dal Colosseo – nel quartiere Esquilino. Il movimento neofascista CasaPound lo occupa dal dicembre 2003 e di fatto ha stabilito lì la sua sede nazionale. Il palazzo è molto grande (sei piani con grande terrazza sul tetto), e al suo interno sono stati ricavati circa 20 appartamenti, in cui vivono decine di persone tra dirigenti del movimento e altri attivisti: persone che in molti casi hanno altri lavori e che non sono ritenute in situazioni economiche particolarmente deboli o precarie.
Al momento dell’occupazione, nel 2003, l’edificio era vuoto; prima aveva ospitato uffici del ministero dell’Istruzione, che aveva ricevuto la possibilità di usarlo dall’Agenzia del Demanio, che ne era ed è ancora proprietaria. Il ministero aveva chiesto quasi subito lo sgombero del palazzo, ma da lì in poi – come aveva ricostruito l’Espresso che si è spesso occupato dell’occupazione di CasaPound – la pratica era finita in una sorta di zona grigia istituzionale per cui non era più chiaro veramente chi dovesse occuparsene, tra ministero e Demanio. Per anni, quindi, nessuno se ne era più occupato, nonostante nel tempo fossero state presentate diverse denunce per chiedere lo sgombero. La prefettura non ha mai ritenuto di dare priorità alla questione, contribuendo a rendere più opaca e complicata la situazione e alimentando i sospetti che in qualche modo le istituzioni avessero un occhio di riguardo per CasaPound.
Nel 2019, lo sgombero era tornato attuale, viste le ripetute promesse dell’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini – leader della Lega, con cui CasaPound qualche anno fa aveva stretto un’alleanza formale – di liberare tutti gli edifici occupati della città e l’attenzione che era stata data a sgomberi anche molto violenti di altri palazzi romani, spesso occupati da famiglie povere e migranti. L’edificio di CasaPound, però, non sarebbe stato in condizioni strutturalmente precarie e per questa ragione, sembrava, non era mai stato inserito tra quelli più urgenti da sgomberare. I giornali avevano parlato spesso di “liste” degli sgomberi urgenti di cui l’edificio di via Napoleone III non sembrava fare parte.
Nel frattempo, a gennaio 2019, il comune di Roma aveva approvato una mozione per chiedere lo sgombero. L’edificio, però, non è di proprietà del comune, e la mozione si limitava ad impegnare la sindaca Raggi a chiedere lo sgombero alle autorità competenti. A inizio luglio 2019, anche l’Agenzia del Demanio aveva presentato una nuova denuncia per chiedere lo sgombero, mentre la Lega e il Movimento 5 Stelle bocciavano alla Camera un ordine del giorno proposto dal Partito Democratico che avrebbe impegnato il governo a sgomberare l’edificio.
Lo scorso novembre, ha scritto ieri Repubblica, l’atto del Demanio «è stato impugnato» da CasaPound «davanti al presidente della Repubblica. L’iter si concluderà al Consiglio di Stato». A tutto questo si aggiunge un’inchiesta della procura della Corte dei Conti, che ha chiesto un risarcimento di 4,6 milioni di euro per omessa disponibilità del bene e mancata riscossione dei canoni da parte del Demanio stesso.
Nei giorni scorsi la sindaca Raggi – che a fine maggio era stata contestata a Ostia da un gruppo di militanti guidati dal leader locale del movimento, il consigliere municipale Luca Marsella, poi denunciato – aveva inviato due lettere al ministro della Difesa Lorenzo Guerini e a quello dell’Economia Roberto Gualtieri chiedendo lo sgombero di due occupazioni di CasaPound: quella del famoso edificio di via Napoleone III e quella più recente di un altro edificio dell’Aeronautica militare a Ostia.
Ieri, la vice-ministra dell’Economia Laura Castelli, del Movimento 5 Stelle, aveva annunciato su Twitter l’ordine di sgombero per CasaPound scrivendo «finalmente si ristabilisce la legalità». Poco dopo la sindaca Virginia Raggi aveva commentato: «Finalmente qualcosa si muove su sgombero palazzo occupato abusivamente da CasaPound in centro a Roma. Ripristiniamo la legalità», non dando però alcun annuncio effettivo sull’imminenza dell’esecuzione del provvedimento. Circa mezz’ora prima del tweet di Castelli, l’agenzia di stampa Adnkronos aveva scritto che era stato consegnato l’ordine di sgombero a CasaPound, facendo dunque pensare ad una notifica ufficiale.
Dopo qualche ora, però, le cose si erano fatte meno chiare. Il Messaggero aveva scritto che Davide Di Stefano, responsabile romano del movimento, aveva detto di aver partecipato a un semplice «incontro sulla richiesta di sgombero», incontro che si sarebbe svolto in questura con una rappresentanza di CasaPound. Le dichiarazioni di Di Stefano erano state riprese da diversi altri giornali, ma lui, oggi, ha spiegato di non aver «mai rilasciato dichiarazioni su un eventuale incontro per lo sgombero di CasaPound». Repubblica, sempre ieri, aveva precisato poi che la questura di Roma aveva negato la sussistenza di un atto di sgombero: «Non ci risulta, non è vero. Non è stato notificato nulla».
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