Come i talebani hanno vinto in Afghanistan
Hanno ottenuto il ritiro degli Stati Uniti, dopo quasi vent'anni di guerra, cambiando struttura e sfruttando le debolezze del governo locale
Alla fine di febbraio i talebani hanno firmato un importante accordo con gli Stati Uniti che stabilisce il ritiro dei soldati americani dall’Afghanistan. L’accordo – giudicato molto precario, soprattutto per il mancato coinvolgimento del governo afghano – è stato accolto positivamente dagli Stati Uniti, che in Afghanistan stavano combattendo una sanguinosa guerra dall’ottobre del 2001. Allo stesso tempo, però, ha mostrato in maniera chiara i limiti del potere americano: gli Stati Uniti non sono riusciti a imporsi né militarmente né politicamente, nonostante avessero dalla loro un’evidente superiorità militare e tecnologica.
Il corrispondente del New York Times in Afghanistan, Mujib Mashal, ha raccontato in un lungo articolo come i talebani siano riusciti a riorganizzarsi dopo l’iniziale sconfitta subita nel 2001, e come abbiano fatto in meno di vent’anni a diventare una forza così potente da costringere gli Stati Uniti a rinunciare alla vittoria e a ritirare i propri soldati dal paese. Mashal ha scritto di avere intervistato decine di funzionari e combattenti talebani, oltre che funzionari occidentali e del governo afghano.
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La prima cosa da tenere a mente è che i talebani furono quasi completamente sconfitti nell’ottobre 2001, quando in Afghanistan arrivarono migliaia di soldati americani con l’obiettivo di smantellare al Qaida, responsabile dei grandi attentati dell’11 settembre, e di rovesciare il governo dei talebani, accusato di proteggere i terroristi.
I leader talebani furono costretti a fuggire dall’Afghanistan e si rifugiarono per lo più nel vicino Pakistan. Fu qui che il gruppo riuscì a riorganizzarsi, grazie soprattutto all’appoggio dei servizi segreti pakistani. La guerra che gli americani avrebbero iniziato due anni dopo in Iraq, quella per rovesciare il regime di Saddam Hussein, avrebbe contribuito a disperdere le energie usate per contrastare i talebani, e avrebbe permesso loro di creare piano piano una nuova struttura in grado di contrastare meglio le offensive degli americani e del nuovo governo afghano, appoggiato dagli Stati Uniti.
Uno dei punti di forza dei talebani nel corso degli anni è stato il reclutamento di nuovi combattenti. Il gruppo è riuscito a rimpiazzare in maniera continua i propri miliziani uccisi in guerra, anche nei periodi più sanguinosi del conflitto.
Nel picco della presenza americana in Afghanistan e degli sforzi compiuti insieme al governo afghano per “conquistare il cuore e le menti” della popolazione locale, i talebani sono sempre riusciti a garantire l’arrivo costante di nuove reclute. «Le famiglie hanno continuato a rispondere alle richieste dei talebani, e l’espansione dei profitti ha contribuito a tenere tutto insieme», ha scritto Mashal, che ha raccontato in particolare il meccanismo di reclutamento nella provincia di Laghman, nell’Afghanistan orientale. Mawlawi Qais, leader talebano, ha spiegato a Mashal come in questa provincia sia stato messo in piedi un comitato apposito che si occupa di andare nelle moschee e nelle scuole islamiche per reclutare nuovi combattenti. Molti miliziani vengono reclutati inoltre tra i due milioni di profughi afghani che vivono in Pakistan.
Il reclutamento, così come il pagamento delle spese sostenute dai miliziani, sono attività gestite direttamente dai comandanti locali. Rispetto al 2001, infatti, la struttura dei talebani è molto più decentrata, e i leader delle singole unità o singole province hanno ampi margini di autonomia.
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La presenza di diversi leader locali con forti legami con il territorio è uno dei motivi di maggior forza dei talebani oggi.
In molte zone dell’Afghanistan, infatti, i talebani sono diventati una specie di “governo ombra”, sostituendo alcune delle funzioni di competenza dello stato, che si è mostrato troppo debole e corrotto per poter governare su tutto il territorio nazionale. I talebani hanno iniziato per esempio a riscuotere le tasse, mandandone circa il 20 per cento alla leadership centrale in Pakistan e tenendo il resto per sostenere la guerriglia. Si sono dedicati all’estrazione illegale delle risorse dalle miniere del paese, alla tassazione dei beni e soprattutto allo sfruttamento dei proventi del traffico dell’oppio. Hanno creato comitati per gestire alcuni servizi essenziali, come la sanità, l’istruzione e i mercati locali. Mashal ha scritto che i macchinari, le forniture e gli stipendi diretti alle strutture sanitarie e alle scuole sono stati spesso pagati dal governo centrale e dai donatori internazionali, ma in diverse zone del paese queste risorse sono state poi gestite dai talebani.
Secondo Mashal, l’applicazione dell’accordo di pace trovato a fine febbraio, e i negoziati che dovranno tenersi tra talebani e governo afghano, potranno mostrare i limiti del potere dei talebani.
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L’unità dei talebani come gruppo potrebbe infatti entrare in crisi nel momento in cui non ci sarà più un nemico comune da combattere, cioè l’esercito statunitense.
Potrebbero emergere molte delle tensioni che finora sono state tenute sotto controllo, come quelle tra leadership politica e militare, e quelle tra singoli gruppi militari. Non sarebbe una cosa nuova nella storia dell’Afghanistan: il conflitto che si combatté a Kabul negli anni Novanta iniziò infatti nel momento in cui i leader militari che avevano il monopolio della violenza cominciarono a voler estendere il loro potere e le risorse sotto il loro controllo. La leadership politica non fu in grado di frenare le lotte interne, e secondo alcuni analisti lo stesso potrebbe succedere anche ora, portando ulteriore caos in un paese già fortemente indebolito da decenni di guerra.