“Blackout Tuesday”, il motivo per cui ci sono foto nere su Instagram
È un'iniziativa partita dal settore musicale e diventata nel frattempo assai più ampia e partecipata
Moltissime persone stanno postando su Instagram delle foto interamente nere con l’hashtag #blackouttuesday per manifestare il proprio dissenso nei confronti del razzismo e degli abusi della polizia statunitense sugli afroamericani. L’iniziativa – chiamata Blackout Tuesday o Black Out Tuesday – era stata proposta venerdì da Jamila Thomas, dirigente dell’etichetta discografica Atlantic Records, e dalla sua ex collega Brianna Agyemang, come forma di protesta da parte del mondo della musica americana per la morte di George Floyd, ucciso durante un arresto violento della polizia a Minneapolis.
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Inizialmente il “Blackout Tuesday” è cominciato nel settore musicale e artistico, e consisteva in un appello a non pubblicare nuovi contenuti in modo da concentrare l’attenzione sulle rivendicazioni delle proteste in corso in tante città statunitensi. L’iniziativa è diventata molto partecipata e in tutto il mondo, col risultato che ora la condivisione di foto nere, accompagnate dall’hashtag #blackouttuesday, è diventata una più generica adesione alla richiesta di giustizia per l’uccisione di Floyd e della fine dei sistematici abusi e discriminazioni della polizia statunitense sugli afroamericani.
Diverse aziende del settore musicale hanno deciso di non postare nulla sui propri account social come segno di rispetto o di non pubblicare nuove uscite musicali per tutta la settimana, come modo per «disconnettersi dal proprio lavoro e riconnettersi con la comunità», recita per esempio un messaggio molto condiviso. Altri artisti bianchi hanno interpretato l’iniziativa come un modo per lasciare che a lanciare messaggi e appelli fossero le persone afroamericane, quelle direttamente coinvolte dalle proteste.
Tra le aziende che hanno deciso di aderire all’iniziativa ci sono i servizi di streaming Spotify, Apple Music, Amazon Music e YouTube Music. Spotify ad esempio ha aggiunto 8 minuti e 46 secondi di silenzio – la durata è pari al tempo per cui l’agente di polizia Derek Chauvin ha schiacciato il collo di George Floyd con il proprio ginocchio, uccidendolo – ad alcune popolari playlist e podcast.
Queste scelte – oltre alla promozione di musica di artisti afroamericani – sono in linea con l’idea iniziale di Thomas e Agyemang che volevano che l’industria musicale riconoscesse l’importanza della cultura afroamericana per il proprio sviluppo e profitto. L’hashtag inizialmente proposto da Thomas e Agyemang infatti era #TheShowMustBePaused, cioè “Lo spettacolo deve fermarsi”. L’adesione di milioni di persone di tutto il mondo che in gran parte non lavorano nell’industria musicale – sono state postate più di 7,5 milioni di immagini con #blackouttuesday, finora – hanno però un po’ cambiato il messaggio dell’iniziativa.
C’è anche chi ne ha fatto notare un effetto collaterale spiacevole: molte persone hanno postato immagini nere sui social network usando, oltre all’hashtag #blackouttuesday, anche #BlackLivesMatter e #BLM (dal nome del movimento nato contro gli abusi della polizia contro gli afroamericani), che normalmente vengono usati da chi sta partecipando alle proteste di questi giorni per condividere informazioni utili. Su Twitter qualcuno ha invitato chi vuole mostrare solidarietà al movimento Black Lives Matter a non «silenziarlo» cercando di farne sentire la voce.
my initial thought is it feels dangerous… because once you click on the blm hashtag you’re directed to an overflow of black images, instead of other more useful content people could look at for information. pic.twitter.com/QiaHPeoWGP
— A (@atothebed) June 2, 2020