La vera storia di “Dunkirk”
Come andò veramente il tentativo di salvare l'esercito britannico intrappolato in Francia, raccontato nel film di Christopher Nolan
Dunkirk è un film di Christopher Nolan uscito nel 2017 e ambientato durante la Seconda guerra mondiale che racconta dell’evacuazione di più di 300mila soldati britannici assediati dai nazisti sulla spiaggia di Dunkerque, nel nord della Francia, vicino al confine col Belgio: “Dunkirk” è il nome inglese di Dunkerque. Quando uscì il film piacque alla maggioranza dei critici e ai premi Oscar del 2018 ottenne otto nomination (vincendo però solo in tre categorie: miglior montaggio, miglior sonoro e miglior montaggio sonoro).
Il film è stato apprezzato molto anche dagli storici, per la sua accurata ricostruzione di una delle operazioni più celebri e inattese della Seconda guerra mondiale. Se dopo averlo visto avete delle domande su quello che accadde veramente a Dunkirk, oppure se volete vederlo informati sul contesto nel quale è ambientato, questo è l’articolo che fa per voi. Fatte attenzione, però: questo articolo contiene alcuni spoiler sulla vicenda reale a cui il film è ispirato, anche se non rivelerà dettagli sui singoli personaggi.
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Il film inizia nella primavera del 1940, quando l’esercito britannico e parte di quello francese si trovavano in una situazione disperata. Erano stati circondati: davanti a loro l’esercito di Hitler, dietro il mare del Canale della Manica. Per i francesi la guerra era già persa. La parte migliore del loro esercito era isolata e presto avrebbe dovuto arrendersi. Parigi era indifesa e le truppe che rimanevano nel resto della Francia non erano sufficienti a proteggerla dalle armate tedesche. Per il Regno Unito – la maggior parte dei soldati nel film sono britannici – la situazione era diversa. Il Canale della Manica separava l’isola dagli eserciti di Hitler e la marina britannica, la più potente al mondo, avrebbe impedito loro di attraversarlo; ma l’unico grande esercito britannico, in quel momento, era proprio quello bloccato in Francia: abbandonarlo avrebbe significato lasciare indifesi i grandi possedimenti coloniali britannici, che andavano dall’estremo oriente a gran parte dell’Africa.
Il tempo per prendere una decisione stringeva. Il 21 maggio gli anglo-francesi si accorsero di essere circondati. Il 22 maggio tentarono un ultimo disperato attacco per fuggire dall’accerchiamento. Dopo tre giorni il comandante britannico sospese l’attacco. Il 26 maggio i tedeschi ricominciarono ad attaccare con carri armati, fanteria e aerei. La sera del giorno prima il governo britannico aveva preso la sua decisione: l’esercito britannico in Francia sarebbe stato evacuato via mare.
L’operazione venne chiamata “Dynamo” e fin dal primo momento tutti i partecipanti si resero conto che sarebbe stata un’operazione ai limiti dell’impossibile. Le navi britanniche avrebbero dovuto percorrere un centinaio di chilometri di mare, pieno di mine ed esposto agli attacchi degli aerei e dei sottomarini tedeschi. Una volta arrivate al porto francese di Dunkerque, Dunkirk in inglese, le navi avrebbero dovuto avvicinarsi ai due lunghi moli frangiflutti che dal porto si allungavano verso il mare per più di un chilometro. Lì, immobili e vulnerabili, avrebbero dovuto caricare i soldati in attesa, pigiati gli uni sugli altri gomito a gomito lungo i moli, per poi ripartire. L’obiettivo del governo era portare in salvo 40 mila soldati nei primi due giorni di evacuazione. Dopo, immaginavano, i tedeschi sarebbero arrivati a Dunkerque e non ci sarebbe stato più nulla da fare. Sulle spiagge, in quel momento, c’erano 400 mila soldati in attesa di essere portati in salvo: chi sarebbe rimasto sarebbe stato catturato o ucciso.
Le cose iniziarono molto male. Nel primo giorno di evacuazione, il 27 maggio, meno di 8 mila soldati vennero imbarcati. Le operazioni dovevano essere accelerate e venne dato ordine di iniziare a imbarcare gli uomini anche lungo le spiagge: ma i grossi cacciatorpediniere della marina militare, le navi più grandi che i britannici potevano permettersi di rischiare a Dunkerque, non erano in grado di raggiungere le acque basse vicino a riva. Così squadre della marina furono mandate a requisire migliaia di piccole imbarcazioni civili e un appello fu lanciato a tutti i proprietari di barche del sud dell’Inghilterra perché corressero in soccorso all’esercito intrappolato: una scena che viene mostrata nei primi minuti del film. Il giorno dopo centinaia di piccole imbarcazioni civili, a volte guidate dai loro proprietari, si affiancarono ai cacciatorpediniere della marina nelle operazioni di salvataggio.
Il perimetro difeso dagli alleati nel frattempo si riduceva di giorno in giorno. Il 28 maggio, quando appena 25 mila soldati erano stati evacuati, l’esercito belga – alleato dei britannici – si arrese e i tedeschi avanzarono da oriente verso Dunkerque. Il 29 maggio gli evacuati salirono a 45 mila, ma i tedeschi riuscirono ad affondare 19 navi britanniche e francesi. Il 31 maggio i tedeschi arrivarono a Nieuwpoort, meno di trenta chilometri dalle spiagge dell’evacuazione. I militari intrappolati erano ancora più di 250 mila. Era arrivato il momento decisivo. Tra il 30 maggio e il primo giugno i tedeschi lanciarono un attacco lungo tutto il fronte. I francesi e i pochi britannici che non si erano già ammassati sulle spiagge resistettero in maniera spesso eroica: in particolare i francesi, che continuavano a combattere sapendo che per il loro paese la guerra era persa in ogni caso e che difficilmente avrebbero potuto trovare spazio sulle navi britanniche.
Nel frattempo, nei cieli sopra il nord della Francia, l’aviazione britannica cercava di proteggere l’operazione dagli attacchi tedeschi. Gli aerei decollati dal Regno Unito pattugliavano le rotte di evacuazione e si spingevano in profondità oltre le spiagge, nel tentativo di tenere lontani i bombardieri tedeschi. Nel film si vedono un paio di volte i soldati lamentarsi dell’assenza dell’aviazione ogni volta che le spiagge vengono attaccate. I soldati britannici, però, spesso non vedevano i loro compagni dell’aviazione, proprio perché la battaglia si svolgeva più lontano: ogni aereo tedesco che arrivava sulle spiagge era già di per sé una piccola sconfitta. Alla fine della battaglia i britannici persero circa cento aerei, abbattendone 130 dei tedeschi.
Grazie agli sforzi dei francesi via terra, degli aerei in cielo e dei marinai e dei civili in mare, nei tre giorni cruciali dell’operazione furono messi in salvo almeno altri 120 mila soldati. Dal 2 giugno effettuare evacuazioni di giorno divenne impossibile, tanto i tedeschi erano arrivati vicino alle spiagge. Gli ultimi quattromila soldati britannici vennero messi in salvo la notte del 3-4 giugno. La mattina dopo, 40 mila soldati francesi che avevano difeso accanitamente Dunkerque si arresero ai tedeschi.
In tutto, nel corso di nove giorni di operazioni, 338 mila soldati furono portati in salvo, circa 240 mila britannici e altri 100 mila francesi. Furono affondate più di duecento imbarcazioni, tra cui decine di piccole barche di privati. L’esercito britannico si salvò ma dovette lasciare in Francia tutto il suo equipaggiamento. Lungo la strada seguita dall’esercito britannico in ritirata fino alle spiagge di Dunkerque, i tedeschi trovarono 2.400 cannoni, 20 mila motociclette, 65 mila veicoli di altro tipo, 75 mila tonnellate di munizioni e 147 mila di carburante.
Il film si conclude con il discorso che il primo ministro britannico Winston Churchill fece al Parlamento al termine delle operazioni di soccorso: è il discorso divenuto famoso come “We shall fight on the beaches”, “li combatteremo sulle spiagge”. Quel giorno Churchill riconobbe che quella che era avvenuta era una fuga in seguito a una sconfitta: ma fece capire che il Regno Unito non aveva intenzione di arrendersi e che avrebbe continuato a combattere i tedeschi fino alla fine del regime nazista.
«Andremo avanti fino alla fine. Combatteremo in Francia, combatteremo sui mari e sugli oceani, combatteremo in aria con crescente forza e sicurezza, combatteremo in difesa della nostra isola, qualunque sarà il prezzo che dovremo pagare. Combatteremo sulle spiagge, combatteremo sulle teste di sbarco, combatteremo nei campi e nelle strade, combatteremo sulle colline. E non ci arrenderemo mai»
Churchill mantenne la sua promessa. Quasi quattro anni dopo la fine delle operazioni a Dunkerque, il 6 giugno del 1944 gli eserciti alleati ritornano in Europa sbarcando a poca distanza dalle spiagge che avevano abbandonato in fuga.
Le controversie
Gli storici hanno apprezzato molto l’accuratezza della ricostruzione del film. Nolan è stato molto attento a curare a ogni dettaglio, al punto che Harry Styles, uno dei protagonisti, ha raccontato che il primo giorno di riprese il regista lo sgridò perché non si era allacciato gli scarponi nel modo usato dai soldati britannici nel 1940. Il film ha suscitato comunque alcune polemiche. Alcuni hanno accusato Nolan di aver sottovalutato il ruolo dei soldati indiani che combattevano al fianco degli inglesi. Ma per quanto milioni di indiani abbiano combattuto per il Regno Unito nella Seconda guerra mondiale, dando un prezioso contributo, è probabile che non più di qualche centinaio di loro fosse presente a Dunkerque.
Un’altra obiezione al film è stata sollevata da alcuni storici francesi, che si sono chiesti dove fossero le decine di migliaia di soldati francesi che con il loro sacrificio resero possibile l’evacuazione (e a dire il vero, nel film non si vedono nemmeno i circa 100 mila soldati francesi che riuscirono a imbarcarsi). In realtà Nolan sembra in parte riconoscere questo fatto: a parte i piloti di caccia britannici, gli unici soldati che in tutto il film combattono contro i tedeschi sono un gruppo di francesi nella città di Dunkerque. Nolan, inoltre, ha sempre detto che della storia di Dunkerque ciò che gli interessava era la dinamica della sopravvivenza dei suoi partecipanti, più che le questioni politiche e strategiche dell’evacuazione.
L’obiezione più seria che si può fare al film riguarda un breve ma importante dialogo nei primi minuti. A un soldato che gli domanda come mai i tedeschi non siano già arrivati sulle spiagge, Kenneth Branagh, che interpreta uno degli ufficiali di marina incaricati dell’evacuazione, spiega che i tedeschi non vogliono sprecare i loro carri armati quando possono utilizzare l’aviazione per distruggere i britannici. È un’interpretazione della battaglia che nel corso dei decenni ha causato numerose polemiche. Dopo la guerra diversi generali tedeschi incolparono Hitler e il suo numero due, il capo dell’aviazione Herman Göring, per la fuga dei britannici. Nei loro diari e nelle loro memorie scrissero che Göring si era vantato di poter distruggere gli inglesi con i suoi aerei e che Hitler aveva trattenuto le truppe, impedendo loro di attaccare a fondo.
Questa versione, che gettava tutte le colpe sulle spalle della leadership nazista, è stata rivista dagli storici più moderni. Oggi la maggior parte di loro ritiene che fu la naturale usura e stanchezza delle truppe, a lungo impegnate in battaglia, a impedire ai tedeschi di catturare l’esercito britannico. Quando cominciarono le operazioni di evacuazione a Dunkerque, le divisioni di punta tedesche avevano combattuto senza interruzione per quasi tre settimane consecutive. Dopo uno sforzo così intenso, i carri armati iniziavano a guastarsi, gli equipaggi erano debilitati dalla mancanza di sonno, mancavano munizioni e carburante, mentre le divisioni di punta formate da veicoli blindati si erano oramai lasciate alle spalle il grosso dell’esercito che procedeva a piedi, usando i cavalli come principale mezzo di trasporto. I generali decisero d’accordo con Hitler di dare alcuni giorni di riposo ai soldati. Tra il 24 e il 25 maggio l’esercito tedesco si fermò per raggrupparsi e riposarsi, dando agli alleati il respiro necessario ad approntare le difese che avrebbero permesso di proteggere l’evacuazione per più di una settimana.