Cosa dice Obama sulle proteste negli Stati Uniti
«Se vogliamo portare un vero cambiamento, la scelta non è tra proteste e politica. Dobbiamo fare entrambe le cose»
L’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha pubblicato lunedì su Medium alcuni suoi pensieri e consigli sulle proteste in corso in tutto il paese, per aiutare ad arrivare a un vero cambiamento. Obama ha sostenuto le proteste pacifiche e condannato quelle violente, e ha dato ai giovani attivisti alcune risorse utili per sostenere lo slancio del momento e tramutarlo in azioni concrete.
Mentre milioni di persone in tutto il paese scendono in strada e fanno sentire la loro voce in risposta all’omicidio di George Floyd e all’annoso problema delle decisioni giudiziarie inique, in molti si stanno chiedendo come si possa sfruttare questo momento per portare un vero cambiamento.
Fondamentalmente, spetterà alle nuove generazioni di attivisti il compito di ideare strategie che meglio si adattino ai tempi che corrono. Ma credo che ci siano da trarre alcune importanti lezioni dagli sforzi fatti in passato.
Innanzitutto, l’ondata di proteste che attraversa il paese rappresenta un genuino e legittimo sentimento di frustrazione per i continui fallimenti nel riformare le pratiche di polizia e del più ampio sistema di giustizia penale negli Stati Uniti. La stragrande maggioranza dei partecipanti alle proteste è stata pacifica, coraggiosa, responsabile e stimolante. Meritano il nostro rispetto e il nostro sostegno, non condanne, come la polizia in città come Camden e Flint ha avuto il merito di capire.
D’altro canto, una piccola minoranza di persone che sono ricorse a varie forme di violenza – che si tratti di vera rabbia o mero opportunismo – sta mettendo a rischio persone innocenti e peggiorando le condizioni di quartieri già a corto di servizi e lontani dagli investimenti. Ho visto un’anziana donna nera intervistata in lacrime perché l’unico alimentari nel suo quartiere è stato distrutto. Se la storia ci insegna qualcosa, quel negozio potrebbe impiegare anni per riaprire. Quindi non giustifichiamo la violenza, non cerchiamo di razionalizzarla o di parteciparvi. Se vogliamo che il nostro sistema di giustizia penale, e più in generale la società americana, operino secondo un codice etico più elevato, allora dobbiamo modellarlo noi quel codice.
Ho sentito alcuni suggerire che il problema dei pregiudizi razziali nel nostro sistema penale dimostra che solo le proteste e le azioni dirette possono portare dei cambiamenti, e che votare e partecipare alla politica elettorale sia una perdita di tempo. Non potrei essere più in disaccordo.
Il senso della protesta è sensibilizzare l’opinione pubblica, puntare i riflettori sulle ingiustizie e mettere a disagio il potere; infatti, nel corso della storia americana, spesso è stato solo in risposta alle proteste e alla disobbedienza civile che il sistema politico ha prestato attenzione alle comunità emarginate. Ma alla fine, le aspirazioni devono essere tradotte in leggi e pratiche istituzionali specifiche: e in una democrazia, ciò accade solo quando eleggiamo persone che rispondono alle nostre richieste.
Inoltre, è importante capire quali livelli del sistema governativo hanno il maggiore impatto nel nostro sistema penale e nelle pratiche di polizia. Quando pensiamo alla politica, molti di noi si concentrano esclusivamente sulla presidenza e sul governo federale. E sì, dovremmo combattere per essere certi di avere un presidente, un congresso, un dipartimento di giustizia e un sistema giudiziario che riconoscano il ruolo corrosivo che il razzismo ha nella nostra società. Ma i funzionari eletti che contano di più nella riforma dei dipartimenti di polizia e del sistema di giustizia penale lavorano a livello statale e locale.
Sono i sindaci e le contee che nominano la maggior parte dei capi di polizia e negoziano accordi di contrattazione collettiva con i loro sindacati. Sono i procuratori distrettuali e i procuratori statali che decidono se indagare e nel caso accusare gli agenti coinvolti in comportamenti illeciti. Quelle sono tutte posizioni elettive. In alcuni luoghi vengono eletti anche i consigli di revisione della polizia, che hanno il potere di monitorare i comportamenti del corpo. Sfortunatamente, l’affluenza alle urne in queste elezioni locali è pietosamente bassa, specialmente tra i giovani: il che non ha senso, visto l’impatto diretto di questi uffici sulle questioni di giustizia sociale, per non parlare del fatto che chi vince e chi perde quei seggi è spesso determinato da poche migliaia o addirittura di poche centinaia di voti.
Quindi: se vogliamo portare un vero cambiamento, la scelta non è tra proteste e politica. Dobbiamo fare entrambe le cose. Dobbiamo mobilitarci per sensibilizzare l’opinione pubblica, e dobbiamo esprimere il nostro voto per essere sicuri di eleggere candidati che lavoreranno alle riforme che chiediamo.
Infine, più specifiche saranno le nostre richieste per riformare il corpo di polizia e la giustizia penale, più difficile sarà per i funzionari eletti limitarsi a sostenere la causa in pubblico per tornarsene poi a lavorare come nulla fosse una volta finite le proteste. Il contenuto delle riforme dovrà essere diverso per le varie comunità. Una grande città potrebbe avere bisogno di un piano di riforme, mentre a una comunità rurale potrebbe servire altro. Ciascuna forza di polizia e di sicurezza dovrebbe avere politiche chiare, incluso un organo indipendente che conduca indagini su presunti comportamenti illeciti. Adattare le riforme per ogni comunità richiederà agli attivisti e alle organizzazioni locali di fare ricerche e di educare i loro concittadini su quali strategie possano funzionare meglio.
Ma come punto di partenza, ecco un rapporto e uno strumento sviluppati dalla Leadership Conference on Civil and Human Rights e basati sul lavoro della Task Force sulla Polizia del ventunesimo secolo che ho formato quando ero alla Casa Bianca. E se sei interessato ad agire concretamente, abbiamo anche creato un sito dedicato presso la Fondazione Obama che aggrega e indirizza verso risorse e organizzazioni utili che hanno combattuto la buona lotta a livello locale e nazionale per anni.
Mi rendo conto che questi ultimi mesi sono stati difficili e scoraggianti, che la paura, il dolore, l’incertezza e le difficoltà di una pandemia sono state aggravate da avvenimenti dolorosi che ci hanno ricordato come pregiudizio e disuguaglianza modellino ancora così tanto la vita americana. Ma guardare l’attivismo dei giovani nelle ultime settimane mi fa sperare. Se, andando avanti, riusciremo a incanalare la nostra rabbia in azioni pacifiche, sostenute ed efficaci, allora questo momento potrà essere un vero punto di svolta nel lungo viaggio della nostra nazione per essere all’altezza dei nostri ideali più elevati.
Mettiamoci all’opera.
Qui la versione in inglese.