La guerra in Libia è cambiata
E l'ha cambiata la Turchia, che si è schierata col governo e ha indebolito Khalifa Haftar
Da qualche settimana le sorti della guerra in Libia sembrano essere cambiate. Lo schieramento guidato dal maresciallo Khalifa Haftar, che per mesi sembrava potersi imporre sul governo anche grazie ad ampi appoggi internazionali, ha cominciato a subire significative sconfitte militari ed è stato costretto a ritirarsi parzialmente dal fronte di guerra. L’altro schieramento, che fa capo al primo ministro libico Fayez al Serraj, appoggiato dall’ONU, è invece riuscito a ottimizzare l’aiuto politico e militare ricevuto dalla Turchia, annunciato all’inizio dell’anno e intensificato nel corso degli ultimi mesi.
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La guerra che si sta combattendo è iniziata ad aprile dello scorso anno per volontà di Haftar, che allora controllava l’est della Libia e dei pezzi di sud. Haftar aveva ordinato alle sue milizie di attaccare Tripoli, la capitale del paese, controllata da Serraj e dalle milizie alleate del suo governo. Nei piani di Haftar, l’attacco avrebbe dovuto portare rapidamente alla caduta di Tripoli, grazie anche all’appoggio delle milizie della città che avevano mostrato segni di insofferenza verso il governo di Serraj. Le cose però non erano andate come aveva sperato il maresciallo: le milizie di Tripoli non avevano cambiato schieramento, e grazie anche alle forze di Misurata, città libica molto importante e molto influente, Serraj era riuscito a rimanere al potere e a respingere l’offensiva.
Dopo molti mesi di stallo nei combattimenti, dove la posizione di Serraj era comunque rimasta sempre molto in bilico, la situazione ora sembra essere cambiata. Solo nell’ultima settimana le milizie di Serraj hanno conquistato un’importante base aerea a ovest di Tripoli (la base di al Watiya) usando i droni della Turchia per distruggere le difese aeree della Russia, alleata di Haftar. Le forze di Serraj, con l’aiuto dei turchi, hanno inoltre preso il controllo di al Asaba, una cittadina di grande importanza strategica che si trova un centinaio di chilometri a sud di Tripoli.
Il fatto che le sorti della guerra siano cambiate per un intervento esterno – quello della Turchia – non deve stupire. Da diverso tempo la guerra in Libia è diventata sempre più una guerra di altri.
Serraj, a capo dell’unico governo riconosciuto come legittimo dall’ONU, ha dalla sua parte la Turchia, che ha mandato in Libia circa 3mila miliziani siriani che combattono a fianco delle forze turche nel nord della Siria, oltre che droni armati che hanno permesso di distruggere alcune difese aeree nemiche. Il giornalista Declan Walsh del New York Times ha parlato dell’intervento turco come del più potente in Libia dalla fine dell’Impero Ottomano, un secolo fa.
Dall’altra parte, Haftar ha l’appoggio di Russia, Emirati Arabi Uniti ed Egitto (e di qualche altro paese, come la Francia).
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Da diverso tempo il maresciallo libico può contare su circa 2mila combattenti siriani arrivati dai territori della Siria controllati dal presidente Bashar al Assad, e su centinaia di mercenari russi della compagnia di sicurezza privata Wagner, che negli ultimi anni ha compiuto operazioni militari in diversi paesi del mondo senza però che la sua presenza fosse riconosciuta ufficialmente dal governo russo. In particolare gli Emirati Arabi Uniti hanno fornito moltissime armi ad Haftar. Mercoledì, dopo avere conquistato la base aerea di al Watiya, i miliziani fedeli a Serraj hanno sfilato nel centro di Tripoli mostrando un sistema di difesa aerea che apparteneva alle forze di Haftar: il veicolo su cui era montato il sistema è uno dei tanti che si presume Haftar abbia acquistato dagli Emirati Arabi Uniti, ha scritto la giornalista Catherine Philp sul Times.
Il coinvolgimento di paesi terzi potrebbe crescere ulteriormente, con il rischio di rendere più complicato l’avvio di un processo di pace che metta fine alla guerra.
Giovedì, per esempio, Fathi Bashagha, ministro dell’Interno del governo di Serraj, ha detto a Bloomberg di avere avuto l’informazione che otto aerei da guerra dell’era sovietica erano arrivati in una base dell’est della Libia controllata da Haftar, provenienti da una base aerea in Siria controllata dalla Russia. La notizia, che è stata ampiamente riportata su diversi giornali internazionali, non è ancora stata confermata, ma ha già provocato diverse reazioni preoccupate. Il Financial Times per esempio ha scritto: «È l’ultima indicazione che le potenze straniere coinvolte nel conflitto libico, iniziato nove anni fa, stiano intensificando i loro sforzi nel campo di battaglia. Potrebbe suggerire che il Cremlino stia aumentando il suo appoggio al generale Haftar e i diplomatici temono che ci sia il rischio di un confronto diretto tra Russia e Turchia».
Questa settimana Stephanie Williams, inviata dell’ONU in Libia, ha parlato del rischio di una ulteriore escalation militare provocata dal continuo arrivo in Libia di mercenari e armi. «Con l’aumento degli interventi di paesi terzi, gli stessi libici rischiano di perdersi nel mezzo, e le loro voci rischiano di non avere più spazio e di non farsi sentire».
Non è ancora chiaro comunque quale sarà la reazione di Haftar dopo le ultime sconfitte militari. Giovedì il capo dell’aviazione di Haftar, il generale Saqr al Jaroushi, ha detto le sue forze aeree si stavano preparando per rispondere agli attacchi subiti, in quella che sarebbe stata «la più grande campagna aerea della storia della Libia». Jaroushi ha aggiunto che tutte le postazioni turche in Libia sarebbero state considerate obiettivi militari.
La risposta militare di Haftar potrebbe però essere frenata dai suoi alleati, che già in passato avevano provato a convincere il maresciallo a negoziare con i suoi avversari, senza però ottenere grande successo. Negli ultimi giorni ci sono stati nuovi contatti tra Russia e Turchia. Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha parlato con la sua controparte turca, Mevlüt Çavuşoğlu, accordandosi per un immediato cessate il fuoco e per la ripresa dei colloqui di pace guidati dall’ONU. Un tentativo simile era già stato fatto a gennaio a Mosca, ma anche allora – come diverse altre volte in precedenza – Haftar si era rifiutato di accettare la proposta.