Perché si riparla del caso Palamara
Le conseguenze giudiziarie sembrano attenuarsi, ma la pubblicazione delle intercettazioni da parte di diversi giornali sta diventando il classico ventilatore
Negli ultimi giorni i quotidiani sono tornati a occuparsi del magistrato Luca Palamara, coinvolto in un’inchiesta della procura di Perugia, e del contenuto delle intercettazioni e delle chat presenti sul suo telefono e acquisite dall’inchiesta, che riguardano diversi politici e soprattutto altri magistrati. I contenuti delle intercettazioni non sembrano essere penalmente rilevanti, ma con la loro divulgazione hanno iniziato ad avere diverse conseguenze dal punto di vista disciplinare all’interno del CSM e altri risvolti politici, oltre a riaprire discussioni sulla legittimità della trasmissione ai giornali di intercettazioni telefoniche ottenute all’interno di inchieste giudiziarie.
A fine aprile la procura di Perugia – competente per le indagini sui magistrati di Roma – ha notificato la chiusura delle indagini al magistrato Luca Palamara, ex consigliere del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM, l’organo di autogoverno della magistratura) ed ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati (ANM, il principale organo di rappresentanza dei magistrati). Palamara rischia di andare a processo ma i tempi della decisione non sono chiari a causa dell’attuale sospensione di molte attività giudiziarie per l’emergenza coronavirus.
Palamara è accusato di corruzione: secondo l’accusa avrebbe messo le sue funzioni, in cambio di viaggi e regali, a disposizione di Fabrizio Centofanti, ex capo delle relazioni istituzionali di Francesco Bellavista Caltagirone (un imprenditore con una lunga serie di vicende giudiziarie, quasi sempre concluse a suo favore). Centofanti venne arrestato nel febbraio 2018 per frode fiscale: Palamara è accusato di avere favorito lui e altri indagati con una serie di nomine o tentate manovre negli uffici delle procure.
Come spiega Repubblica, oggi delle accuse contro Palamara «restano solo quelle relative ai viaggi (10 in tutto) e ai lavori di ristrutturazione dell’appartamento della sua amica Adele Attisani per un valore che supera i 60 mila euro. Tutto pagato, secondo l’accusa, dal suo amico imprenditore Fabrizio Centofanti, arrestato a febbraio del 2018». Non c’è più, invece, la corruzione in atti giudiziari per aver facilitato la nomina a procuratore capo di Gela di Giancarlo Longo a fronte del pagamento di 40 mila euro, nomina poi bloccata da Sergio Mattarella, presidente del CSM; e non c’è più nemmeno la vicenda dell’anello del valore di duemila euro che Palamara avrebbe regalato a un’amica e di cui i giornali si erano occupati mesi fa.
– Leggi anche: L’indagine su Luca Palamara, spiegata
Dopo che le carte dell’inchiesta della procura di Perugia sono state depositate, diversi giornali, tra cui La Verità e Il Fatto, hanno ottenuto e pubblicato sia parti di chat conservate sul telefono di Palamara quando fu sequestrato, un anno fa, sia pezzi di intercettazioni acquisite dall’inchiesta che hanno portato ad aggiungere pezzi e dettagli a varie storie già note che coinvolgono politici, altri magistrati e che hanno a che fare con alleanze, nomine e rapporti tra politica e magistratura. Ma, spiega La Stampa, «nessuno dei magistrati citati è indagato, nessun nuovo reato è ipotizzato, nessuna nomina è penalmente contestata».
Come ha riassunto sempre La Stampa, un anno fa la prima parte del caso «aveva provocato conseguenze dirompenti: alcuni importanti magistrati indagati; sei consiglieri del CSM costretti alle dimissioni e sottoposti a procedimento disciplinare; Palamara sospeso in via cautelare e privato dello stipendio; le correnti moderate Magistratura Indipendente e Unicost, uscite vincitrici dalle elezioni del 2018, tramortite dalla “questione morale” con evocazione dello scandalo P2 e messe in minoranza nel CSM; la formazione di una nuova maggioranza tra le toghe con l’asse tra le correnti che avevano perso le elezioni del 2018: i progressisti di Area e gli anti-sistema di Autonomia e Indipendenza, guidati da Davigo; il capovolgimento delle principali nomine giudiziarie, a partire dalla Procura di Roma; la proposta del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede di nominare i membri del CSM con sorteggio, al posto dell’elezione prevista dalla Costituzione».
La seconda fase del caso sta avendo altre conseguenze. Le intercettazioni hanno aggiunto pezzi alla vicenda che riguarda il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e il magistrato antimafia Nino Di Matteo, relativamente alla mancata nomina di quest’ultimo al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP), il dipartimento del ministero della Giustizia che sovrintende la gestione delle carceri. E pezzi che hanno a che fare con la scelta dei magistrati nei posti importanti del ministero della Giustizia, per cui Bonafede si affidò a persone non di primo piano che facevano parte di Unicost, la corrente moderata il cui leader era proprio Palamara.
– Leggi anche: Il caso Di Matteo-Bonafede, spiegato bene
Un altro magistrato coinvolto nelle intercettazioni con Palamara è Cesare Sirignano, della Direzione nazionale antimafia, anch’egli della corrente Unicost, per cui il CSM ha deciso ieri a larga maggioranza il trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale. Sirignano, che non è indagato, aveva espresso a Palamara giudizi negativi sul collega Nino Di Matteo.
Sempre ieri il CSM ha approvato il ritorno in magistratura come sostituto procuratore generale della Cassazione di Fulvio Baldi, ex capo di gabinetto del ministro della Giustizia, che si era dimesso qualche giorno fa dopo la pubblicazione sui giornali delle sue intercettazioni con Palamara in cui sembrava gestire nomine e relazioni con approcci mercanteggianti e discutibili.
Le nuove intercettazioni riguardano, tra gli altri, anche tre consiglieri del CSM, tra cui il vicepresidente David Ermini che dopo aver ricostruito e spiegato le circostanze di alcune sue conversazioni con Palamara, ha denunciato la «strumentalizzazione di alcuni dialoghi del tutto irrilevanti» e minacciato querele.
Le ultime pubblicazioni sui giornali delle intercettazioni di Palamara, infine, vedono coinvolto l’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona nel caso dei migranti soccorsi dalla nave militare italiana Gregoretti nell’agosto del 2019. La Verità ha infatti pubblicato i contenuti di alcune chat risalenti al 2018 in cui alcuni magistrati parlano dell’allora ministro dell’Interno. La chat più citata vede coinvolti il procuratore capo di Viterbo Paolo Auriemma e Luca Palamara: «Mi dispiace dover dire che non vedo veramente dove Salvini stia sbagliando», aveva scritto Auriemma nell’agosto 2018 quando di Salvini si parlava soprattutto per la chiusura dei porti. E ancora: «Illegittimamente si cerca di entrare in Italia e il ministro dell’Interno interviene perché questo non avvenga», diceva Auriemma. A un certo punto Palamara pronuncia la frase che La Verità ha pubblicato in prima pagina e che altri giornali riportano in maniera leggermente differente, ma in cui Palamara sostiene (nelle varie versioni) che «ora» Salvini «va attaccato». Infine Auriemma: «Comunque è una cazzata atroce attaccarlo adesso perché tutti la pensano come lui. E tutti pensano che ha fatto benissimo a bloccare i migranti che avrebbero dovuto portare di nuovo da dove erano partiti. Indagato per non aver permesso l’ingresso a soggetti invasori. Siamo indifendibili. Indifendibili».
Alcuni giornali e siti citano anche un colloquio in cui Salvini viene chiamato «quella merda di Salvini» da Palamara.
Dopo la pubblicazione dello scambio, Salvini ha scritto una lettera a Mattarella appellandosi al suo ruolo istituzionale di presidente della Repubblica e del CSM: «Diversi magistrati nei loro colloqui privati concordavano su come attaccare la mia persona per la politica sull’immigrazione che all’epoca, quale ministro dell’Interno, stavo portando avanti. La fiducia nei confronti della magistratura adesso vacilla», ha scritto Salvini, chiedendo la garanzia «di un processo giusto davanti a un giudice terzo e imparziale». Anche alcuni parlamentari della Lega, difendendo Salvini, hanno a loro volta parlato di «numerosi magistrati di diverse correnti» che «concordavano sulla necessità di attaccare Salvini». Per ora in realtà le parole pubblicate nelle intercettazioni che fanno riferimento a un “attacco” a Salvini sono state pronunciate dal solo Palamara, e non da “diversi magistrati”.
Come poi ricorda Il Fatto, «i giudici del capoluogo etneo chiesero per lui l’archiviazione, istanza poi respinta dal Tribunale dei ministri, che a sua volta ha chiesto al Parlamento l’autorizzazione a procedere. Lo scorso 12 febbraio con 152 voti il Senato ha dato il via libera al processo, che inizierà a ottobre». Repubblica aggiunge poi che nessuno dei magistrati siciliani che si sono occupati delle inchieste su Salvini compare nelle conversazioni di Palamara: «Non i pm di Agrigento che per primi lo hanno indagato e non quelli di Catania dove pure il procuratore Carmelo Zuccaro (da sempre vicino alle posizioni del leader leghista sull’immigrazione) aveva chiesto l’archiviazione venendo poi bypassato dalla decisione del tribunale dei ministri che ha chiesto e ottenuto l’autorizzazione a procedere per il caso Gregoretti».
La Verità ha anche pubblicato una serie di passaggi che riguardano giornalisti che hanno seguito l’inchiesta o hanno rapporti di amicizia e confidenza con Palamara, aggiungendo così la sensazione che gli schieramenti – nelle contrapposizioni tra i ruoli giudiziari più importanti – riguardino non solo la magistratura e la politica, ma anche l’informazione, e che anche la stessa pubblicazione dei colloqui ne sia un elemento.