A Roma i cantieri per la metro C sono rimasti aperti, ma inutilmente: gli scavi sono fermi
È tutto impantanato in un lungo – ed esemplare – procedimento burocratico e non è chiaro quando se ne uscirà
Nei mesi in cui le restrizioni dovute alla pandemia da coronavirus hanno impedito la maggior parte degli spostamenti e bloccato le attività economiche, solo pochi cantieri in Italia sono rimasti aperti: oltre a quello per la ricostruzione del ponte Morandi di Genova – la cui struttura infatti è stata completata lo scorso 28 aprile – è rimasto funzionante anche quello per costruire la terza linea metropolitana di Roma, la metro C.
Con l’adozione di misure di sicurezza straordinarie, gli operai hanno continuato a frequentare i cantieri di scavo delle nuove gallerie della metropolitana, ma i tunnel in questi ultimi mesi non si sono allungati di un solo metro. Nuove lungaggini burocratiche hanno infatti impedito che si procedesse con gli scavi e il cantiere è stato tenuto aperto solo per la manutenzione dei suoi enormi e complessi macchinari. C’entrano il comune di Roma, i suoi uffici tecnici e la storia travagliata della metro C: al momento non è chiaro quando gli scavi potranno riprendere, ma sapere cosa è successo fin qui può aiutare a farsi un’idea delle cose.
Dal 2007, anno in cui sono cominciati i lavori, è stata completata solo la parte della nuova linea metropolitana che va dalla periferia orientale di Roma fino a San Giovanni, poco lontano dal centro. Manca ancora la parte che passa per il centro storico e che dovrebbe terminare oltre il Tevere, nel quadrante nordoccidentale della città. Peraltro non c’è ancora un progetto definitivo della seconda parte del tracciato, per cui in molti a novembre avevano pensato che il proseguimento della linea potesse essere messo a rischio.
Perché a novembre? Perché poco prima era sembrato che il destino delle due grandi frese meccaniche che scavano la galleria della metro C fosse rimanere interrate sotto ai Fori Imperiali. Per via della mancanza di finanziamenti e di un progetto esecutivo per la continuazione degli scavi, per qualche settimana era sembrato che la soluzione ai problemi del cantiere fosse chiudere gli scavi, lasciando lì anche i macchinari. Le due frese meccaniche – o talpe – si trovavano circa a 30 metri di profondità, tra i Fori Imperiali e piazza Venezia, nel centro della città, ma non c’era modo di tirarle fuori da lì se non completando il tunnel.
Le frese meccaniche sono infatti macchinari lunghi decine di metri e molto complessi da operare. Non possono semplicemente essere smontate e portate via da una galleria che stanno scavando e non possono essere lasciate spente in attesa: hanno bisogno di un cantiere di alimentazione sempre in funzione.
Per evitare la loro sepoltura serviva una variante al progetto esecutivo che permettesse di allungare la tratta in costruzione di poche centinaia di metri, fino a piazza Venezia, dove dovrebbe essere costruita una stazione della linea. Era una questione burocratica piuttosto semplice e già nota da gennaio 2018, ma il comune di Roma aveva cominciato a occuparsene solo nel luglio del 2019, quando sembrava ormai troppo tardi per rispettare i tempi tecnici per l’approvazione definitiva del nuovo progetto. Le frese meccaniche si sarebbero fermate quindi a metà del tracciato, con un consistente tratto della linea ancora da costruire.
Dopo molte polemiche, la situazione si era sbloccata nelle settimane successive, quando il comune di Roma e il ministero dei Trasporti si sono accordati rapidamente per approvare la variante necessaria al progetto e accelerando i tempi. Nell’approvazione del progetto era stato coinvolto anche il CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica), che decide in merito ai finanziamenti per le grandi opere pubbliche: senza la sua approvazione gli scavi non sarebbero potuti proseguire e il via libera è arrivato il 12 marzo scorso (in tempi eccezionalmente brevi).
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Ma il lungo iter burocratico che sta dietro al progetto della metro C non è ancora finito. L’autorizzazione finale per i lavori deve darla il comune, in quanto ente finanziatore dell’opera (insieme allo Stato) e in quanto socio unico della società appaltante, cioè Roma Metropolitane. Il 6 marzo il Dipartimento Mobilità del comune aveva stilato un atto per l’approvazione, che prevedeva una serie di passaggi prima di diventare effettivo. In ordine: il controllo della Ragioneria Generale, che si occupa della gestione finanziaria dell’amministrazione; una verifica del Segretariato Generale, che si occupa di assistere la giunta sulle questioni amministrative e giuridiche; l’approvazione da parte della giunta comunale; l’esame da parte delle commissioni competenti e infine un passaggio all’Assemblea Capitolina, il consiglio comunale di Roma.
Al momento l’atto che riguarda i lavori della metro C ha ricevuto solo la verifica della Ragioneria, che peraltro lo ha rimandato al comune con alcune osservazioni e chiedendo alcuni interventi prima di approvarlo. Tutti gli altri passaggi sono ancora da fare e i tempi sono incerti.
Secondo Ilaria Piccolo, consigliera comunale del Partito Democratico e vicepresidente della commissione Mobilità, il problema è che occuparsi della questione metro C è diventata una faccenda complicata e spinosa: l’opera ha una storia lunga e travagliata (che avevamo raccontato estesamente qui) e ci sono state indagini della procura di Roma e della Corte dei Conti. Perciò, ha detto Piccolo al Post, «gli uffici tendono a prendersi tutto il tempo che ci vuole per l’approvazione di un atto, e dall’altra parte manca una politica che sappia dettare i tempi quando ci sono situazioni urgenti come questa».
Nel frattempo la società costruttrice, Metro C Spa, ha segnalato in una lettera al ministero dell’Economia il «preoccupante stallo» e ha richiesto alle «amministrazioni competenti di assumere i provvedimenti necessari alla ripresa delle attività di scavo». Nella lettera, Metro C scrive anche che Roma Metropolitane, la società appaltante, era «perfettamente consapevole che l’iter approvativo della variante doveva concludersi nella prima decade di gennaio 2020, onde consentire la tempestiva ripresa degli scavi meccanizzati».
Sulla questione si era espresso più di un mese fa anche l’assessore alla Mobilità Pietro Calabrese, quando aveva scritto su Facebook che «gli atti idonei alla ripartenza delle talpe e alla costruzione delle gallerie dalla futura stazione di piazza Venezia arriveranno presto in Assemblea Capitolina». Successivamente la portavoce dell’assessorato ha ribadito al Post che l’iter di approvazione sta andando avanti normalmente e che l’atto deve ancora passare tutte le fasi anche a causa della situazione di emergenza sanitaria e del sovraccarico di lavoro degli uffici.
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