Il modello svedese non salverà l’economia svedese
Nonostante negozi, ristoranti e alberghi siano rimasti aperti l'economia sta soffrendo, anche se meno che altrove: è molto legata alle esportazioni, quindi al resto del mondo
Dall’inizio della pandemia da coronavirus, il governo della Svezia e i suoi principali consulenti scientifici hanno giustificato l’approccio del paese per contenere il contagio – che non prevede estese restrizioni agli spostamenti o alle attività lavorative – spiegando che avrebbe comportato meno danni economici rispetto ai paesi che avevano applicato un lockdown quasi totale. «Una volta che chiudi tutto è difficile tornare indietro», aveva detto al New York Times Anders Tegnell, epidemiologo e consulente dello stato.
Stando agli ultimi dati il modello svedese sta sollevando perplessità sempre maggiori, sia dal punto di vista sanitario sia da quello economico. Oltre ad avere registrato il tasso di mortalità più alto in Europa nell’ultima settimana (ma un numero di morti molto più basso di altri paesi, in rapporto agli abitanti), il governo svedese ha annunciato che nel 2020 il PIL nazionale si contrarrà del 7 per cento, un dato appena più basso della media europea ma paragonabile a quello di altri paesi che hanno imposto maggiori restrizioni e registrato meno morti come Portogallo, Ungheria e Irlanda.
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Secondo alcuni osservatori, era inevitabile: l’economia svedese è talmente interconnessa a quella degli altri paesi europei, e specialmente a quella dei paesi nordici, che difficilmente avrebbe potuto proteggersi da una crisi economica globale.
Questo non vuol dire che la Svezia vada male come gli altri, attenzione: alcuni dati suggeriscono che nel breve termine la Svezia potrebbe effettivamente cavarsela meglio di altri. Dalla metà di marzo la spesa dei consumi delle famiglie è diminuita soltanto del 30 per cento, rispetto a una riduzione del 70 per cento registrata in Finlandia. L’immatricolazione di nuovi veicoli ha subito un calo del 37 per cento, a fronte di una riduzione vicina al 100 per cento in Italia, Regno Unito e Spagna, fa notare il Wall Street Journal. La ministra delle Finanze Magdalena Andersson ha detto che «parrucchieri, hotel e ristoranti sono stati meno colpiti rispetto ad altri paesi», perché di fatto non sono mai stati chiusi dal governo.
Due giornalisti del New York Times che di recente hanno passeggiato per Stoccolma, la capitale del paese, hanno scritto che a prima vista non sembra che gli svedesi si siano rintanati in casa: parchi e ristoranti sono molto frequentati, anche a causa delle temperature benevole, e «le persone che camminano per strada indossando una mascherina sono generalmente osservate come se fossero appena atterrate da Marte».
«Scene del genere non raccontano tutta la storia», ha scritto di recente il Wall Street Journal: «la società svedese sembra spaccata a metà, specialmente nella capitale, Stoccolma. Mentre i più giovani continuano a vivere come se niente fosse, i più anziani e le altre categorie vulnerabili alla COVID-19 tendono a stare chiusi in casa». Anche alcuni negozi sono stati costretti a chiudere: il Wall Street Journal cita per esempio una famosa merceria di Stoccolma, attiva da più di un secolo, che ha chiuso definitivamente in queste settimane a causa della pandemia.
Ma i danni più ingenti li hanno subiti altri settori. Reuters fa notare che circa metà del PIL della Svezia dipende dalle esportazioni, e che diverse delle sue aziende più note come Volvo ed Electrolux «hanno dovuto licenziare migliaia di dipendenti a causa della riduzione della domanda».
Le aziende che sono rimaste aperte hanno avuto ulteriori problemi. A marzo gli stabilimenti di Scania, uno dei più famosi produttori europei di veicoli industriali, hanno dovuto interrompere la produzione perché gli operai non avevano più a disposizione alcuni componenti essenziali che provengono da paesi in lockdown, come la Francia. «È bastato questo per interrompere la produzione», ha detto a Reuters il CEO di Scania, Henrik Henriksson.
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Dall’inizio di marzo circa 122mila persone si sono registrate come disoccupati su 10 milioni di abitanti, e secondo stime del governo entro la fine dell’anno il tasso di disoccupazione potrebbe salire al 10 per cento: un dato soltanto sfiorato negli anni successivi alla crisi economica del 2008-2010.