Perché parliamo di “movida”
Storia di una parola spagnola dalle origini molto lontane dal significato attuale: dal riscatto successivo alla dittatura di Francisco Franco fino al calcio
La parola “movida” – tornata da giorni sulle pagine dei giornali – è stata presa in prestito dallo spagnolo, e deriva dal verbo “mover”, cioè “muovere”. Tra la tante accezioni che il vocabolo aveva quando ha iniziato a essere usato in modo comune nella nostra lingua, se ne è affermata stabilmente soltanto una: la vita serale e notturna molto movimentata. Negli anni Ottanta in Spagna la parola “movida” indicava qualcosa di molto diverso e molto specifico: un movimento chiamato La Movida madrileña, che esplose spontaneamente dopo gli anni vissuti dal paese sotto il regime di Francisco Franco. Il movimento celebrava la liberazione e le libertà, le idee libertarie di sinistra e la controcultura, nella musica, nelle arti, nella letteratura e nel cinema.
La Movida madrileña
Il primo aprile del 1939 finì la Guerra civile spagnola, e Francisco Franco diede inizio a una dittatura che durò circa 35 anni. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1975, in Spagna iniziò la cosiddetta Transiciòn verso la democrazia. Fu un periodo di grande cambiamento, di passaggi delicati dal punto di vista politico e sociale, e di grande desiderio di libertà. Gli anni Ottanta in Spagna furono il tempo della liberazione sessuale, della cultura alternativa, punk-rock, della rinascita dei movimenti femministi, in una società ancora fortemente cattolica e rigida. Si parlava di omosessualità, di contraccettivi, di secolarismo, postmodernismo e droghe.
L’inizio della Movida madrileña viene fatto coincidere con il concerto per José Enrique Cano Leal, il batterista del gruppo Tos morto nel 1979 in un incidente automobilistico. Il concerto si tenne al Politecnico di Madrid il 9 febbraio del 1980 e venne trasmesso in radio: fu un momento storico per la città e per la musica spagnola. Le radio e i giornalisti musicali cominciarono a occuparsi di gruppi indipendenti fino ad allora poco noti, che iniziarono a loro volta ad incontrarsi e a suonare insieme (fu leggendario il “concerto di primavera” del maggio del 1981 che riunì oltre 15 mila persone e che durò per circa otto ore). Vennero fondate case discografiche indipendenti e intorno alla musica iniziò a svilupparsi, spontaneamente, un movimento sociale e artistico di controcultura più largo che contagiò anche altre città e che fu sostenuto politicamente da alcuni sindaci di sinistra, che volevano lasciarsi alle spalle gli anni del franchismo.
Se la strada fu lo spazio della Movida (“Esta noche todo el mundo a la calle” o “Madrid nunca duerme” erano alcuni slogan del tempo), le riviste indipendenti furono il riferimento e il simbolo culturale del movimento: La Pluma Eléctrica, 96 Lágrimas, Du Duá, e soprattutto La luna de Madrid, gestita da artisti o aspiranti artisti e che nel suo periodo migliore raggiunse le 30mila copie: era provocatoria, iconoclasta, parlava di fumetti, fotografia, pubblicità e design, letteratura, filosofia, moda, musica, teatro e di ogni altra espressione artistica. E poi ancora Madrid Me Mata o Madriz, altre pubblicazioni spesso finanziate dalle amministrazioni comunali.
La Movida ebbe le sue voci di riferimento nella musica (Kaka de luxe, Alaska y los Pegamoides, Alaska y Dinarama, Radio Futura, Nacha Pop, Los Secretos, tra gli altri) e una grande varietà di sottoculture musicali; ebbe le sue case discografiche indipendenti come DRO, GASA, Lollipop Records; le sue radio e i suoi programmi televisivi, i suoi luoghi di culto (La Vía Láctea, La sala del sol e La sala Rock-Ola); i suoi stilisti, i suoi artisti di strada, e i suoi ideali letterari, i cui obiettivi si possono riassumere nelle parole del poeta Gregorio Morales: «Superare la narrazione ottocentesca e d’avanguardia. Assunzione completa del presente, proprio per definirlo, negarlo e saltarci sopra. Costruzione di nuove realtà che mostrino orizzonti sconosciuti. Essere la regina delle arti, l’avanguardia del rinnovamento, colei che definisce le mode. (…) E nonostante tutto, non cercare la trascendenza, bensì l’umorismo, l’ironia, le lacrime o la bellezza».
E poi ci fu il cinema, con Pedro Almodóvar come massimo esponente del periodo, che in quegli anni girò i suoi primi film: Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio (1980), Labirinto di passioni (1982), L’indiscreto fascino del peccato (1983) e Che ho fatto per meritare questo? (1984). Accanto a lui vanno citati anche Fernando Trueba e Iván Zulueta con Arrebato (1980), film sperimentale e di avanguardia, considerato il più famoso cult movie del cinema spagnolo.
Il fenomeno della Movida madrileña durò fino al 1986, quando i musicisti e gli artisti che ne erano diventati il simbolo raggiunsero la popolarità e il successo commerciale. Quel momento smise dunque di avere un senso di ribellione e riscatto, lasciandosi però alle spalle un’eredità indiscutibile raccontata e celebrata ancora oggi da libri, documentari, ristampe e film.
In Italia
Giuseppe Corsini, sull’enciclopedia Treccani, ha spiegato che la parola “movida” «è attestata per la prima volta nell’italiano scritto nel 1990». Il vocabolo mantenne il significato proprio – e dunque il particolare dinamismo intellettuale di Madrid e della Spagna postfranchista – ma fu usato anche «in una serie di accezioni estensive che lo portarono tra l’altro a designare, specialmente nella lingua a effetto dei giornali, una qualsiasi persona che per vivacità ed estroversione sembrasse in sintonia con la stessa movida spagnola; poi la squadra di calcio rinnovata e vincente del Real Madrid; infine, scherzosamente, ‘mossa’ (diamoci una movida)».
L’associazione tra “movida” e calcio fu fatta dall’allora giocatore argentino Jorge Valdano, che parlò de La Quinta del Buitre – una generazione di calciatori spagnoli cresciuta nel settore giovanile del Real Madrid che divenne uno dei simboli del cambiamento sociale in atto – dicendo che era “il braccio sportivo della transizione” verso la democrazia della cosiddetta “movida”.
A partire dagli anni Novanta, poi, “movida” ha assunto in Italia «il significato generico di animazione, situazione, ambiente piacevolmente movimentati». E nella lingua comune, col tempo, è questa l’accezione estensiva che si è depositata: «quella di ‘intensa e vivace vita artistica e culturale notturna’, propria in particolare di tutti i grandi centri urbani, spagnoli e di altre nazioni».