Lo studio dell’INPS sul vero numero di morti per l’epidemia
Rispetto alla media degli anni precedenti, tra marzo e aprile ci sono state 19mila morti in più oltre a quelle del bilancio ufficiale sul coronavirus
L’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) ha pubblicato uno studio secondo cui tra il primo marzo e il 30 aprile 2020 in Italia ci sono state circa 47mila morti in più rispetto alla media degli anni precedenti nello stesso periodo, a fronte di 28mila decessi ufficialmente attribuiti al coronavirus nello stesso periodo. C’è quindi uno scarto di circa 19mila morti che non è finito nei bollettini ufficiali delle regioni e della Protezione Civile. Un’ulteriore conferma del fatto, ormai noto da mesi, che il bilancio reale dei morti dovuti all’epidemia da coronavirus è assai più alto di quello ufficiale.
L’INPS ricorda che bisogna prendere questi dati con cautela, perché a influenzare il numero di decessi di marzo e aprile 2020 è intervenuta tutta una serie di fattori legati all’epidemia. È praticamente certo che parte di queste 19mila morti non è finita nei bollettini ufficiali perché non è stata dovuta alla COVID-19, ma alle conseguenze più o meno dirette dell’epidemia. Il sovraccarico del sistema sanitario, per esempio, ha peggiorato l’assistenza delle persone con altre malattie e con improvvisi problemi di salute: le attese per le ambulanze, per dirne una, sono aumentate drasticamente in certe zone del Nord Italia. Altri pazienti potrebbero aver rinunciato ad andare in ospedale per paura del contagio, e per questo potrebbero non aver ricevuto le cure che in condizioni normali avrebbero salvato loro la vita.
– Leggi anche: I guariti che risultano nuovamente positivi al coronavirus sono contagiosi?
Ci sono anche state caratteristiche straordinarie di quei due mesi che hanno certamente abbassato i decessi dovuti ad altro: per esempio gli incidenti stradali, drasticamente diminuiti durante il lockdown, o quelli sul lavoro.
Per confrontare il 2020 con gli anni precedenti, insomma, bisogna tenere conto di molti fattori. Ma è l’INPS stesso a concludere che il bilancio reale dovuto all’epidemia è certamente superiore a quello ufficiale – che il rapporto definisce «poco attendibile» – e ci sono ulteriori elementi che lo confermano: i decessi in eccesso infatti riguardano in misura superiore gli uomini e le fasce di età più anziane, cioè le categorie in cui è registrato il tasso di letalità più alto. La distribuzione territoriale di questi decessi, poi, combacia con quella della diffusione del coronavirus in Italia.
– Leggi anche: L’idrossiclorochina previene il coronavirus?
«Possiamo attribuire una gran parte dei maggiori decessi avvenuti negli ultimi due mesi, rispetto a quelli della baseline riferita allo stesso periodo, all’epidemia in atto» dice l’INPS, che ricorda come i test virologici, gli unici che possono far finire una persona nei bollettini ufficiali, sono stati fatti prevalentemente in ospedale, e molto difficilmente quando il decesso è avvenuto in casa.
Per calcolare la media delle morti in Italia negli anni precedenti, l’INPS ha costruito una “baseline”, cioè una media dei decessi giornalieri nel periodo 2015-2019 ponderata con la popolazione residente. Un primo elemento rilevato dallo studio è stato che tra gennaio e febbraio del 2020 il numero di decessi è stato allineato con la baseline, e anzi addirittura inferiore: è dovuto a una minore incidenza della mortalità dell’influenza stagionale dell’inverno 2019/2020.
Poi però le cose cambiano. Al Nord, tra il primo marzo e il 30 aprile, la mortalità tra i maschi è aumentata del 94 per cento, tra le femmine del 75 per cento; al Centro è cresciuta del 14 per cento e dell’8 per cento, al Sud del 6 per cento e del 4 per cento. Gli incrementi sono superiori tra le fasce d’età più anziane.
Le province di Bergamo, Brescia, Cremona, Lodi e Piacenza presentano tutte una percentuale di decessi superiore al 200%. Quasi tutto il nord-ovest dell’Italia risulta interessato da un incremento dei decessi superiore al 50%. Le regioni che si affacciano sul mare Adriatico presentano incrementi contenuti ma significativi. Nel sud Italia, la Puglia, che è stata la regione interessata dai maggiori rientri dal nord alla vigilia dell’uscita del DPCM del 9 marzo, è quella che evidenzia un maggiore incremento della mortalità.